Racconto di Elena Marrassini
(Quarta pubblicazione – 22 aprile 2021)
Okay ve lo dico, non ce l’ho proprio fatta questa volta. Ho fatto fuoco e fiamme. Nel vero senso della parola. Anni e anni di buon viso a cattivo gioco, anni e anni di no ma le lascio l’ascensore signora Rosa venga, ci mancherebbe e di ciao scusa cara, potresti spostare la macchina che devo mettere in garage la mia e altre robe così. Col cazzo. Ho deciso all’improvviso e basta davvero, non ci ho visto più.
Non ci vedeva più nessuno comunque, tra il fumo e la luce blu lampeggiante dei Vigili del Fuoco (tanto gentili) e della Polizia (molto meno gentile) e l’acqua e la schiuma bianca.
È bruciato anche il quadro della Simo, quello dietro al divano, il Mondrian 1921: i colori fondamentali sconfitti dal nero della fuliggine. Mi dispiace tanto, si era data tanto da fare per farle dritte quelle righe, col nastro da carrozziere e tanta pazienza. La riproduzione del Nodo Infinito è ancora intatta. Il Nodo Infinito del Karma: era meglio se bruciava lui, invece del Mondrian. Maledetto nodo, sembra proprio infinito, perenne. Come l’interconnessione tra cause ed effetti, direbbe la Simo, lei e la sua fissazione per le geometrie e il loro significato, lei e la sua fissazione per il Karma. Che infatti a me la Simo è sempre piaciuta per come dipinge, non per cosa dipinge: se ne sta a gambe larghe seduta sullo sgabello da pianista che era di suo padre e riempie le tele bianche con quei movimenti delle braccia lenti, delicati ma sicuri. Come le suonatrici d’arpa. È sempre seminuda quando sta con pennelli e colori: d’estate perché fa caldo, d’inverno perché tiene la stufa dello studio sempre accesa. Anche quella era stata di suo padre, la vecchia stufa a legna in ghisa. Quanto si è spezzata le reni a portare la legna su al secondo piano, la Simo. Otto volte su dieci l’ascensore era fuori uso, per colpa della Rosa. Perché era lei che lo rompeva dai: da devota gattara e condottiera di una delle colonie feline più popolose della città, “governava i gatti” come diceva lei, almeno tre volte al giorno, era tutto un salire e scendere.
E fosse male della Rosa, in questo condominio; la Rosa ha ottantatré anni, è quella più` normale, degli altri non ce n’è uno come si deve.
Avreste dovuto vederli stasera, mentre via via si presentavano a casa nostra nella stanza studio della Simo che io, gentilmente, avevo messo a disposizione dell’assemblea in quanto unica stanza grande e con più` finestre, in modo da poter mantenere le distanze e non creare “assemblamenti”, come dice la Valeria Topo del piano terra, quella con gli occhiali tondi e una manciata di denti buttati a caso in bocca – e no, Valeria, no, assemblare si assembla un computer, noi stiamo cercando di evitare assembramenti Valeria, non “assemblamenti” – ma nessuno che glielo spiega, ormai da mesi, da quando siamo dentro a questa pandemia e lei parla solo di quella, quando la si incontra per le scale o giù` nel portico. Sa tutto lei, tamponi rapidi no tamponi molecolari sì indice Rt e mascherine ffptpvmxv2. Però dice “assemblamenti”.
E poi lui, l’ex rappresentante che ha messo da parte una fortuna negli anni ‘70 e cura spasmodicamente i suoi baffi da gringo anni’70 e tiene l’unghia del mignolo destro lunga un centimetro come negli anni ‘70 e si concentra solo se mentre pensa si toglie il cerume dall’orecchio con quel centimetro di materia dura e appuntita. Però almeno è bravo a fare i conti e firma sempre con il rag. davanti al nome e cognome, ché ai suoi tempi chi si diplomava in ragioneria aveva il mondo in tasca: ora lui ci mette il cerume in tasca, zitto zitto.
E poi lei, la botoxomane, la bionda sessantenne figlia della Rosa, che si è conciata la faccia come quella del Burlamacco e sfila lei, sfila sempre proprio come un carro allegorico, al ritmo snervante dei tacchi dei suoi stivali in latex.
E infine Lui, Adriano. Pure il nome ha da imperatore: ex tenente colonnello dei carabinieri in pensione, colui che ha acquistato l’attico su in cima, colui che ha da solo tanti millesimi quanti tutti e quattro noi normo-appartamentati e quindi sta in alto come Zeus e ha sempre ragione lui, come in caserma, si vede che ci è abituato.
Eppure lui e il gringo mi stavano simpatici, nutrivo speranze in loro, credevo che grazie a loro due ne saremmo usciti dalla puzza di fogna della fossa biologica, dall’intonaco giallo della facciata che cade a foglie giù in strada in un eterno autunno che dura ormai da otto anni, dai ferri scuri di ruggine che fanno capolino dal cemento sbriciolato dei terrazzi.
E invece no, nemmeno su di loro adesso posso contare. Che li ho sentiti, sapete, il colonnello e Baffo, mentre facevamo la prova di web conference assieme all’amministratore, nel caso in cui l’assemblea in presenza non fosse stata possibile.
Quei due sono ancora più imbranati della Valeria Topo con la tecnologia; anzi lei mi ha stupito, padroneggiava skype con insolita destrezza mentre loro per niente. Loro hanno lasciato i microfoni aperti, si sono attardati parlando dei loro terrazzi confinanti e a un certo punto il colonnello ha detto all’altro che nel caso le regole lo avessero permesso ci saremmo trovati tutti di persona nella stanza grande delle due lesbiche del secondo piano, visto che il camionista – che sarei io – ha dato la disponibilità. E la santona? Ha chiesto l’altro. La santona – che sarebbe la Simo – è fuori per lavoro, ha risposto il gendarme.
Non ce l’ho fatta più, capite. Ho dato fuoco allo studio con tutti loro chiusi dentro a chiave, aiutata dal fornellino da incenso per conciliare il karma, dal tappeto, e dalla vecchia stufa a legna. Volevo bruciassero tutti, invece è bruciato solo Escher, il gatto della colonia adottato da tutti noi del condominio più disgraziato di tutto il quartiere. Questa manica di stronzi si sono solo affumicati, i pompieri sono stati bravi e io sono stata una incapace, cosa volete che ne sappia io di come si incendia una palazzina, sono solo una lesbica con il fisico da camionista che non ha mai creduto nel karma, che ci ha provato per amore, a credere nel principio causa-effetto, a praticare gentilezza a caso che poi ti torna indietro e Escher magari non muore, che era l’unico lui, che riusciva a mettere d’accordo tutti, almeno qualche volta.
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