Racconto di Claudio Spadoni

(Prima pubblicazione)

 

 

Le parole, come un fiume in piena, si costringevano a stento all’interno degli argini della ragione e la ragione mal riusciva a contenerle. Quante parole erano state dette, e quante di queste erano divenute momenti di amore intenso. Ma quante, quante altre non erano state che promesse mai mantenute. E molto spesso quel parlare al vento aveva ferito i loro cuori. Perché, di tutti i desideri, il più forte era sempre stato quello di potersi incontrare per amarsi: amarsi a qualunque costo, a qualsiasi prezzo, perché l’illusione di essere liberi di amarsi li aveva portati ogni volta a spingersi fino all’estremo limite del sogno, fino al limite massimo del possibile da compiersi. Ed era stato così anche quel giorno, in quello che sarebbe stato l’ultimo dei loro giorni insieme. Lo sapevano che il tempo non era più per loro. Almeno non più in quel punto esatto della loro esistenza. Da domani altri orizzonti avrebbero ospitato i tramonti che avevano fatto tremare d’emozione i loro cuori. Altre albe avrebbero illuminato i loro risvegli; albe lontane tra loro, in due punti diversi del mondo.

Seduta sul bordo del letto, Anemone si sciolse i capelli e li fece cadere con grazia sulle spalle nude. In ginocchio dietro di lei, Amore la cinse ai fianchi stringendola al petto mentre acque di limpido cristallo brillavano nei suoi occhi. Rivoli di calda rugiada segnarono i seni di lei quando Amore liberò le sue lacrime. Anemone le raccolse e se le portò al cuore trasformandole in una corona di purissimi diamanti. Mai vi fu tra loro un silenzio così pieno di parole. Le loro mani si strinsero nell’attimo stesso in cui le labbra si unirono in un bacio inumidito dal pianto. Un bacio pieno, fatto di passione e sale. Quando l’ombra della sera riempì completamente la stanza, Anemone si lasciò cadere dolcemente sul letto. Amore la seguì coprendola col suo corpo. I loro occhi tracimanti di malinconia si regalarono un bagliore pieno di un’eterna promessa d’amore. Lei si aprì a lui col suo essere profondamente donna e dolcemente e appassionatamente lo seguì nei movimenti, lo assecondò nelle intenzioni e fino in fondo lo nutrì con tutto il suo essere.

Fuori dalla stanza che dava gli occhi sul mare, un vento impetuoso frustava le fronde degli alberi, spargeva nuvole di sabbia e con esse i suoni della passione dei due amanti. L’ultimo sussulto di godimento lasciò Anemone e Amore svuotati ed esausti stretti in un abbraccio che non avrebbero voluto mai sciogliere. Nel silenzio del tempo che si era fermato, i loro cuori ritmavano in un armonico tumulto, come due tuoni lontani persi nel pieno della tempesta.

Dal momento in cui Anemone si allontanò da lui, Amore sentì il cuore stringersi in una morsa. E ben presto quella morsa si trasformò in una ingombrante inquietudine che lo avvolse e lo fece rimanere immobile a scrutare l’orizzonte verso cui lei si dirigeva dissolvendosi, sempre un po’ di più, a mano a mano che aumentava la distanza dai suoi occhi. E continuò a seguirla, quella esile donna dai sinuosi movimenti, quella donna forte e consapevole di ciò che più di ogni altra cosa voleva dalla vita: lei voleva essere sua. Essere sua ed amarlo come ora, ora che si stava separando da lui. Ma lo faceva solo col suo corpo, mentre in lui lei si fondeva totalmente, e per sempre, col suo cuore. La sera spalmò le sue ombre sulla casa cambiando il colore dell’intonaco e mutando l’intensità dei cristalli di luce, e la luce scemò lentamente fino al compiersi della penombra intera.

Anemone guardava fuori dal finestrino del treno che percorreva quelle valli con lo sguardo che spaziava senza meta, così persa a seguire i suoi pensieri ostentando una sicurezza assolutamente irreale. Di tutto ciò che apparteneva alla sua esistenza, di passato, presente e futuro, ad Anemone rimaneva solo una possibilità da vivere: “l’altra sua vita”. E da quella “altra sua vita”, Amore era escluso. Amore, sempre lui, solo lui. Lui così impresso nel suo cuore, nei suoi pensieri, nel suo corpo; fissato alla sua pelle come una sindone indelebile che avrebbe resistito all’usura del tempo per l’eternità. Lo sconforto l’assalì all’improvviso e si trovò a buttarsi all’indietro, a corpo morto contro lo schienale, a socchiudere gli occhi e a stringerli per fare uscire un pianto imperioso che voleva solo tracimare, per non scoppiare dentro. E in quel rigarsi di lacrime il viso, Anemone si trovò a pensare alla sua unica verità, l’unica verità che le dettava il suo cuore: “Se d’amore devo morire, solo per Amore, il mio amato, voglio continuare a vivere”. Con un gesto ricavato dalla memoria della sua infanzia, Anemone si prese le gambe stringendole alle ginocchia, le sollevò e si rannicchiò sul sedile di quello scompartimento vuoto. Il buio della galleria la avvolse mentre il fischio del treno si fece sentire, acuto. E in quel ritrovato conforto d’ombra, rivide gli attimi della passione appena trascorsa, risentì i fremiti, le vampate, il mutar d’intensità del ritmo dei loro corpi in amore. Quel pensiero le portò brividi su tutto il corpo. Si strinse di più a sé, appoggiò meglio la testa e si calò in un confortante oblio con l’eco della voce del suo cuore a tenerle compagnia: “Se d’amore devo morire …”

Dalla fuga di Anemone erano trascorsi già sei mesi ed in questo interminabile tempo il cuore di Amore aveva battuto solo di solitudine e disperazione, e impotenza, e voglia di non più vivere. Poi, il pensiero più razionale aveva preso forma, si era travestito di sicurezza e aveva camminato lungo il sentiero del ragionamento che lo portò alla risposta più vera, più somigliante ai suoi dubbi e alle sue paure: “Lei non sarebbe mai più tornata”. Questo continuava a ripetersi: ”Mai più …” e, mentre se lo ripeteva, la sua mente si riempiva dell’immagine di Anemone. Si riempiva del colore dei suoi occhi di smeraldo abbagliante, dei suoi capelli, del suo profumo, delle sue forme, dei suoi colori. E, più di tutto, Amore si riempiva di lei dentro, fino all’estrema profondità del cuore. Sommerso da questo turbinio, capì. Capì che all’amore non devi mai togliere tempo, né gliene devi sollecitare troppo. No! L’amore deve vivere del suo tempo, e nel suo tempo deve crescere e diventare grande… e bisogna saperlo aspettare, magari per sempre, oltre l’infinito esistere… oppure, andare a cercarlo.

 

Tempo dopo …

Anemone pettinava i capelli della piccola Camilla guardando lontano, verso l’orizzonte limpido fatto di mare e cielo che le portava il ricordo della sua vita “di prima”, nella casa che dava gli occhi sul mare. E al centro di questo tormento dei pensieri c’era sempre e soltanto lui: Amore.

Lui, ancora così vivo, così presente. Tanto vivo e tanto presente che le sembrò quasi di sentire il suo profumo riempire l’aria lì vicino… e ancora di più quella intorno a lei. Poi Camilla si girò e con lo sguardo andò oltre la figura della madre. I suoi occhi si riempirono dapprima di stupore, poi di una luce interrogativa finché le sue labbra si vestirono di uno straordinario sorriso. E Anemone, che stava osservando la figlia, non ebbe bisogno di voltarsi per sapere il perché. Il suo cuore in tumulto già aveva capito quel che sarebbe avvenuto da lì a un attimo quando si sarebbe voltata. E, ancor di più, sapeva quel che sarebbe stato di lei, della loro vita dopo, iniziando da quel rincorrersi di irrefrenabili lacrime fatte di gioia e d’amore.