Racconto di Lucia Marcone

(Seconda pubblicazione – 3 dicembre 2020)

 

 

Fa parte della nostra famiglia una cagnetta di nome Bianchina e non ci sono spiegazioni sul suo nome. Ha tutte le caratteristiche dei piccoli cani bastardini nervosi e capricciosi: ma il mio dolcissimo animale si distingue da tutti gli altri bastardi perché ha un punto in più di bastardismo. S’impegna, lei s’impegna nel realizzarsi in tutte le cose che facciamo noi umani della casa. Al mio nipotino ruba i pezzi delle costruzioni e li nasconde sotto i cuscini del divano come farebbe con un osso, a mia figlia sottrae la borsetta e poi passeggia per il corridoio tenendola fra i denti per il manico, a me e a mio marito prende di mira i libri, le biro, le gomme, i quotidiani e poi non vista li divora, li massacra, li nasconde.  Ultimamente si è appropriata della mia Tribuna Letteraria e quando me ne sono accorta era già felice sul divano che graffiava, sbandierava pagine sbattendo la sua testolina in tutte le direzioni e facendo un verso cagnesco e fanciullesco: leccava, masticava la mia rivista culturale.

Mi accosto con grazia e freddezza sperando nel recupero e che la bestiola non scappi come una saetta, intanto le porgo un deplijant natalizio colorato in cambio del mio mensile culturale di già macellato. Nulla. Vado a cercare, in frigo persino una fetta di mortadella e una fetta di panettone che era sulla tavola della cucina. Le parlo dolcemente – Bianchina…guarda cosa ti do… non massacrare tutto: su quella rivista c’è il mio orgoglio: trenta righe da me scritte e pubblicate che andranno sotto gli occhi di tanta gente di cultura… ti prego lascia… allenta la morsa. Nulla, ha più forza di me, masticando e digrignando, mi guarda con gli occhi appuntiti, inferociti. Ha compreso che sono troppo interessata, allora scatta via come un lampo sotto un letto basso. Che fare? Una scopata, una ciabattata? Piegarmi sul pavimento mi è impossibile per guardare la fine della mia Tribuna culturale, non sono più tanto giovare… rimarrei sul pavimento allungata e se mi rialzassi sarei curva come un centenario. E poi la conosco… servirebbe a nulla. Ritorno sul divano a far finta di niente, intanto che prego la vita salva alle mie povere parole. Eccola che arriva scodinzola felice, mi vuol parlare con quegli occhietti indifferenti e furbi. La mia rivista è dentro la sua bocca, fra i suoi denti: morsicata, sfilacciata, massacrata e sbavata. In me sale il dispiacere, l’amarezza. Picchiarla, strozzarla, ucciderla? Nulla di tutto questo, continua a scodinzolare e io l’accarezzo. L’accarezzo perché so il motivo per cui l’ha fatto. Si crede un umano e vuol far letteratura come la sua padrona che lui crede sia cane. E dentro questo imbroglio di ruoli e ambizioni, le capacità intellettive tra uomo e animale si confondono e la mia Tribuna Letteraria, con le mie trenta righe pubblicate, è finita in bocca a un cane che tanto mi ama, per cui, è convinto che io scrivo… da cani e per cani…!