Racconto di Silvio Esposito

(Quinta pubblicazione – 17 giugno 2021)

 

 

 

Un giovane camminava ramengo per i vicoli di un borgo assolato con le mani in tasca e la testa china. Ce l’aveva con il mondo intero e per questo prendeva a calci tutto ciò che trovava lungo il cammino lanciandolo lontano. Tra i tanti oggetti in terra lasciati all’abbandono, ne colpì uno insolito: non era una delle solite lattine o il pacchetto di sigarette vuoto lasciati in terra all’abbandono da persone incivili. Perciò si avvicinò curioso per vedere a cosa aveva dato un calcio e chinatosi, vide che si trattava di una lampada a olio e doveva essere anche molto antica visto quanto era sporca e ammaccata.

Comunque la prese e la rigirò tra le mani. A una prima occhiata capì subito che era d’oro massiccio e la scoperta lo lasciò di stucco, ma si riprese subito per girarsi intorno con circospezione e vedere se ci fosse qualcuno che lo avesse visto prenderla. Non c’era nessuno nei paraggi, solo un cane poco più avanti che rovistava tra la spazzatura in cerca di qualcosa di buono da mangiare. Allora lui celò la lampada d’oro sotto il giubbotto e corse via.

Raggiunto un luogo sicuro e appartato, il giovane tirò fuori la lampada e guardandola meglio, si ricordò che da bambino gli avevano narrato la favola di un certo Aladino e di un genio che viveva all’interno di una lampada simile a quella che lui aveva trovato. Dunque la prese tra le mani sudaticce; faceva caldo e poi l’emozione del ritrovamento aveva peggiorato le cose rendendole oltremodo appiccicaticce. Al che prese il fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e poi con quello cominciò a strofinarla energicamente, proprio come ricordava gli aveva detto la narratrice che facesse Aladino per far apparire il genio.

Anche se non ci credeva, continuava a sciorinare e sciorina che ti sciorina, all’improvviso dal beccuccio della lampada iniziò a fuoruscire una nebbiolina azzurrognola, che però si diradò quasi subito e al suo posto apparve un essere gigantesco e dalla pelle azzurra come il mare.

Il giovane rimase meravigliato e incredulo e si disse che doveva essere per forza quello il famoso genio di cui si narrava nella favola. Tuttavia non era sicuro che lo fosse e quindi se voleva saperlo l’unica era accertarsene.

L’essere, intanto che lui pensava a come approcciarsi, lo sovrastava. Ma per quanto fosse grande e grosso il giovane non si spaventò, anzi, lo guardò spavaldo e poi disse, comunque con un tono insicuro e tremante: «Chi sei tu? E cosa vuoi da me?»

Alla domanda, l’essere gigantesco non rispose guardandolo con disinteresse. Poi come se ci avesse ripensato, rispose e lo fece con un tono di voce che rimbombò nelle orecchie del giovane: «Salve a te, mio padrone. Io sono il genio della lampada e ti ringrazio tanto per averla lucidata. Erano millenni che non uscivo a prendere un po’ d’aria fresca e quindi ora per ricompensarti hai diritto a esprimere un desiderio. Qualunque esso sia io, il genio della lampada, lo esaudirò.»

Il giovane non sapeva cosa chiedere, ricordava che i desideri nella favola erano tre, ma questo genio ne esaudiva soltanto uno e quindi lui doveva pensare bene a cosa chiedere. Comunque aveva le idee ben chiare su cosa chiedere in proposito e cercò di non sbagliare nell’esprimersi. «Genio, ecco io voglio che tu esaudisca questo mio desiderio… Dunque, io vorrei che tutto ciò che mi rende infelice sparisse per sempre dalla mia vita! Null’altro.»

Il genio guardò con cipiglio serio in giovane e poi, con la sua voce possente, annunciò: «Presto fatto, padrone, il tuo desiderio è stato esaudito.»

L’istante successivo il giovane ragazzo si volatilizzò nel nulla e di lui non rimase che qualche granello di polvere che per un po’ vorticò nell’aria.

La lampada d’oro a quel punto cadde in terra, in attesa che qualcun altro la trovasse e la strofinasse, ma il fortunato questa volta avrebbe fatto meglio ad avere le idee ben chiare in fatto di desideri.