Racconto di Giovanni Boncristiani

(Ottava pubblicazione)

 

Ex Germania Est, stazione di Karl Marx Stadt, qualche ora prima della notte.

Immerso nell’aria gelida e col volto graffiato da una brezza carica di nebbia, ero in attesa del treno per Dresden. La cittadina nella quale mi trovavo si chiama Karl Marx Stadt, quella che dopo la caduta del «muro» ha assunto un altro nome, un nome insignificante tanto che non lo ricordo.

Senza un reale motivo, rifiuto il caldo della sala d’aspetto e resto fuori. Sono fermo in piedi come sull’attenti ad osservare la sagoma di un uomo che si muove sulla banchina di fronte, proprio in mezzo alle due fila di binari.

E’ un uomo di colore, una persona con un qualche evidente disagio, vestito con un lungo e pesante cappotto scuro, in testa, ben calcato, un berretto di lana ed alle mani i guanti, di quelli che lasciano i polpastrelli nudi. Lo vedo rufolare in un cestino dei rifiuti e tirare fuori da questo alcune bottiglie di vetro. Pescate, l’uomo le colloca con cura in una grossa borsa di plastica rigida con tanto di vistoso e noto sponsor di sigarette. Terminato il «lavoro» al cestino sulla banchina in mezzo ai binari l’uomo, camminando leggermente ricurvo, li attraversa dirigendosi verso un altro cestino, quello più vicino a me.

In quel preciso istante escono da una porta laterale della stazione due militari, deduco siano qualcosa di simile alla nostra polizia ferroviaria.

I due si dirigono lentamente ma decisi verso l’uomo che, immobile, attende l’arrivo dei militari come un imputato attende il suo verdetto. Non essendo io vicinissimo, non comprendo esattamente cosa i tre si stiano dicendo, però lo intuisco. L’uomo consegna ai due un qualcosa che pare un documento e un foglio ripiegato in quattro, umido e sporco. Uno dei due poliziotti inizia a scrutare silenziosamente la documentazione tenendola con sole due dita per mano; l’altro osserva a breve distanza.

E’ più forte di me! Mi avvicino. Nessuno pare accorgersi della mia presenza.

Comprendo che all’uomo viene imputato di aver attraversato i binari senza essersi servito del sottopasso e pertanto deve pagare una multa di 25 euro. Mi faccio forza e mi intrometto sommessamente dicendo in un approssimativo tedesco: «scusate, si vedeva chiaramente che non arrivava alcun treno, e poi il tratto era brevissimo; non era assolutamente pericoloso».

Il militare, quello che in qualche modo intuisco essere il più importante dei due, mi ascolta nonostante non tolga lo sguardo dai documenti dell’uomo.

Ad un tratto solleva lentamente il capo e ruotandolo verso di me mi fissa intensamente.

Nel silenzio subisco lo sguardo proiettato dai suoi occhi chiari, uno sguardo che mi scruta nel profondo. L’impressione che ho, è quello che cerchi di leggere al mio interno.

Secondi brevi ma lunghissimi poi il militare a voce bassa afferma:

«Es ist nicht gefährlich … es ist verboten!».

«Non è pericoloso … è proibito!»

Impossibile ribattere!

Non riesco a trovare alcuna parola in replica a quella lapidaria affermazione. Lentamente mi allontano cercando con lo sguardo il malcapitato come per scusarmi di non essere stato in grado di aiutarlo.

Appena l’uomo ha ricevuto la contravvenzione ed i militari si sono allontanati mi avvicino ad Oshane, così si chiama quell’uomo come poco dopo mi ha confidato. E’ un rifugiato maliano che trascorre le notti nel vicino dormitorio e arrotonda raccogliendo bottiglie.

Quelle bottiglie, mi dice in un buon inglese, appreso nei corsi obbligatori che lo stato fornisce, gli renderanno 25 centesimi ciascuna. Nel Market vicino c’è infatti una macchinetta che, per ciascuna bottiglia introdotta, restituisce proprio quella piccola cifra.

Le prossime 100 bottiglie serviranno ad Oshane per pagare la multa.

Mi congedo dal mio nuovo amico certo che non lo rivedrò mai più e salgo sul treno per Dresden. Dormo circa un’ora e, arrivato, scendo per recarmi al mio hotel.

Appena fuori dalla stazione incrocio un gruppuscolo di persone, credo manifestanti che si disperdono nella piazza antistante l’edificio. I più sono individui non giovani con teste canute ma ci sono anche giovani rasati con i nasi schiacciati; sopra le loro teste un miscuglio di bandiere flosciamente svolazzanti. Ci sono quelle della Germania Est, della Russia, col volto di Putin e nere con qualche simbolo che non conosco.

Incuriosito mi avvicino ad una signora di mezza età per capire cosa stessero facendo anche se lo avevo intuito. La donna mi confida di essere stata ad una manifestazione politica e dice: «prima in Germania Est tutti avevano casa e lavoro, gli immigrati c’erano ma nessuno faceva caso a loro. Si dice che la gente «spariva» ma ai miei amici non è mai accaduto nulla.

Sullo sfondo, sfuocata, un’immagine, quella di un gruppo di giovani ubriachi che attendono diligentemente il verde per attraversare la strada anche se è notte, l’attraversamento è breve e non si vedono auto per decine metri… essenza dell’essere tedeschi!