Racconto di Gigi Pietrovecchio

(Prima pubblicazione – 13 febbraio 2019)

 

E quando finalmente, dopo incredibili sforzi, riuscì a voltarsi verso l’Est, in direzione dei successivi tramonti dei soli (L’ uno giallo, l’altro arancio e l’altro blu…) il suo sguardo fu rapito dall’immane e sinistra visione.

Tra i vapori del primo crepuscolo, arancio, il Tempio della Paura lo stava indagando nel profondo, o meglio stava tentando di farlo, con la sua subdola arroganza, con il suo occulto sospetto, con ciò che gli rimaneva del suo subliminale terrore.

Il colore delle sue mani non era mutato, il che gli suggeriva che anche il resto del suo corpo non aveva subito cambiamenti cromatici; era sempre blu, era sempre rimasto blu, nonostante le prove e le vicissitudini alle quali era stato sottoposto, suo malgrado. Da chi? … perché? … come?

Ce la fece a mettersi almeno in ginocchio; per vedere in faccia la grande costruzione, per confrontarsi, quasi alla pari, con la più potente divinità che ancora avesse la pretesa, assurda e totalizzante, di essere incondizionatamente adorata: la Paura.

Lui, comunque, lo sapeva; ancora per una volta, l’ennesima, aveva capito che di lui aveva timore… la Paura. Aborriva il Comandante, lo odiava; e non era assolutamente capace di concepire che qualcuno avesse avuto l’incoscienza e il coraggio di pilotare l’Eiréne, la nave biotronica, fino alle recondite desolate plaghe delle Anime Perdute. “No! Là non avresti dovuto andare, te ne saresti dovuto tenere lontano; e, soprattutto, non avrebbe dovuto esserti stato concesso di metterti in viaggio con la tua amica, quella dalla pelle rossa, quella dell’altro ramo della galassia, la discendente degli antichi autoctoni aborigeni del pianeta del Santo.”

Tale e tanta era la rabbia che ne emanava. Ed era l’ira contro di lui ed il suo equipaggio, un centinaio di persone appartenenti a svariati popoli delle galassie vicine e più lontane, quelle che solo lui aveva l’empatico potere di coordinare e mantenere unite. Il segreto? la collaborazione e la condivisione; e, non ultimo, la reciproca ed incondizionata fiducia. In verità lo rispettavano e lo seguivano, cioè… lo amavano oltre qualsiasi immaginabile misura, al di là di qualunque dimensione, oltre ogni razionale aspettativa; solo perché lui li rispettava, li seguiva e li amava oltre qualsiasi immaginabile misura, al di là di qualunque dimensione, oltre ogni razionale aspettativa.

Allora, le vicissitudini alle quali era stato sottoposto… Da chi?… perché?… come?…

Bene, quando finalmente, dopo incredibili sforzi, riuscì a voltarsi verso l’Est, verso i successivi tramonti dei soli… cominciarono a tornargli alla mente le recenti esperienze del suo esistenziale andare. Aveva lasciato il deserto, la Grande Città nel deserto, il luogo in cui menti psicotiche e malate avevano creduto di porre le basi di un mondo nuovo, senza però tener conto delle primordiali necessità e dei primitivi bisogni di qualunque essere umano, o di qualunque essere senziente…

Proprio da quel decollo erano iniziate le sue contrarietà, queste contrarietà. E poi contrarietà è un termine approssimativo, minimale e, in ultima analisi, insignificante. Quello che in realtà, fin dai primi istanti, si stava prospettando era l’estrema evoluzione della spietata guerra totale, in cui qualunque arma, qualunque mezzo, qualunque astuzia sarebbe stata recepita, accettata, accolta e sacralizzata come soluzione finale.

Tutti, ovviamente tutti i dotati di buon senso e di un minimo di autoconservazione, ripeto tutti… avrebbero preso per buona ed universalmente valida tale sottintesa proposta. Tranne lui.

No. Il senso di responsabilità nei confronti dei suoi uomini (uomini o altro, nulla cambia…), la dedizione al servizio ed il giuramento di agire sempre e comunque per il bene dell’universo, o degli universi, erano per lui, il Comandante di Eiréne, sempre con l’avallo di Eiréne, l’unica motivazione per continuare a lottare, a combattere contro ogni entità o energia negativa si presentasse intorno al cockpit della nave.

E in quel cockpit di ologrammi ne erano stati proiettati tanti, talmente tanti che lui ed il suo equipaggio avevano dovuto prendere, volta per volta, le decisioni più opportune che l’opinabile destino (… per quanto opinabile fosse…) avesse loro concesso.

In fondo, ma proprio negli intimi recessi della coscienza e del reale, andare al recupero di Anime Perdute non era una grande sfida, non era la gara nella quale giocare le proprie forze, le proprie risorse, il proprio status di potenza. Ma le Anime aspettavano, ma le Anime erano in attesa, ma le Anime bramavano la riscossa…

Ora, Comandante, ora è ora. Ora… agisci!

Ora, adesso… che la pietà sia con te, che la pietà ti accompagni, ma non troppo. Che la giustizia sia la tua regina, se mai crederai alle corone…

No; tu, oltre al segno universale del tuo grado ad altro non crederai, ad altro non farai affidamento, ad altro non ti appoggerai per dare suggerimenti, ordini o disposizioni per contribuire al bene del futuro.

Ed allora incomincia a pensare che questa vita finisce ora e qui… Se vuoi ancora ingaggiarti per il domani, se vuoi continuare le battaglie per i tempi a venire… Allora, Comandante… allora, qui e adesso…

Fu in quel preciso istante che esplose nella sua mente e nel suo cuore il desiderio impellente ed irrefrenabile di ricongiungersi ai suoi indimenticabili compagni, maschi e femmine, ed alla sua fantastica ed ineguagliabile nave.

Troppo tempo era trascorso da quando, tutti insieme, condividevano vita ed avventure; quando si cimentavano nelle imprese più temerarie e più rischiose… Si ricordava, come fosse ieri, della ricerca e della liberazione della famiglia di piccoli scienziati sequestrati in un mondo freddo e lontano… era stata dura, molto dura, ma il risultato era stato fantastico, tutti sani e salvi a casa. Un’altra volta erano sfuggiti alla caccia degli adoratori della Paura: non era stato semplice resistere ai condizionamenti cerebrali ed ai depistaggi insolenti dei fanatici del terrore; solo la comunità di Eiréne avrebbe potuto far fronte a una simile proiezione di potenza e, in effetti, ne era stata capace.

Adesso li aspettava.

Sapeva per certo che il suo silenzioso messaggio carico di tensione era stato ricevuto dai destinatari, era sicuro che lo stavano nuovamente raggiungendo…

Un debole persistente ronzio lo avvisò del ritorno; e dal nulla, lentamente, si materializzò la famigliare sagoma della splendida astronave, senza fretta si avvicinò al livello del suolo, con tutta calma rimase sospesa ad un metro da terra e dalla prua prese forma un comodo scivolo dotato di gradini.

Una soffusa luce azzurrognola si espanse lungo la discesa e nel secondo crepuscolo della sera, quello di un piccolo sole giallo, un umano apparve nel vano che si era aperto ed iniziò a scendere verso di lui.

Era piuttosto alto, dall’aspetto olivastro, con gli occhi verdi.

Vestiva pantaloni e giubbotto grigio azzurri, calzava un paio di stivaletti neri ed aveva in testa un cappellino blu con la visiera, anch’essa blu. Sul petto a sinistra aveva un rettangolo di tessuto, o non tessuto, di un blu più scuro, posto verticalmente, con una riga spessa ed una più sottile ed un cerchio che le sormontava; tutto rosso, rosso vivo.

Raggiunse il terreno, avanzò di qualche passo, gli sorrise e si fermò.

Dietro di lui arrivarono altre tre persone e lo superarono molto discretamente.

Il primo era simile a un orso, decisamente più imponente dell’uomo, una volta e mezza, rispetto a lui; dalla tracolla pendeva un analogo rettangolo blu scuro con una riga spessa ed una sottile, rosse; il secondo si sarebbe detto, in termini terrestri, una specie di licantropo, poco più della metà del suo collega, un essere nervoso ed attento, che indossava la stessa combinazione dell’uomo dietro di lui ed aveva come grado una linea spessa e due cerchi, ovviamente rossi.

L’altra era una femmina, e lo si capiva dalla tuta attillata che ne rivestiva ed esaltava le forme; la sua pelle andava dal giallo all’arancio passando per tutte le sfumature fino al rosso, i capelli biondi cascavano fino a metà schiena; alla cintura il solito rettangolo riportava una linea spessa ed una sottile, rosse. Una gran bella umanoide… E, per giunta, compatibile con gli umani!

Sì, era grandioso il suo equipaggio, e lui li conosceva bene, e ne era incredibilmente orgoglioso.

Quanto era passato dall’ultimo incontro? Novant’anni!… novanta lunghi anni trascorsi nel volontario esilio sul pianeta Terra. Poi gradatamente un nuovo stato di coscienza si era insinuato nei suoi meandri cerebellari ed un giorno, improvvisamente, aveva effettuato il salto quantico nell’altra realtà, quella vera.

In quest’istante già immaginava il contenuto della prossima missione…

Il Capitano orso, la Capitana umanoide ed il Tenente di Secondo Cerchio licantropo gli si avvicinarono, lo salutarono e gli porsero la mano, o la zampa…

Subito dopo… il Capitano di Primo Cerchio War Tryar, Vicecomandante del vascello, gli si avvicinò, portò la mano destra alla tesa del berretto, lo abbracciò affettuosamente ed aggiunse: ”Bentornato, Comandante!”

Gli passò una giacca grigio azzurra con un rettangolo come gli altri, ma su di esso una linea spessa, due linee sottili ed un cerchio, rossi.

Finalmente il Maggiore Ran Thuryan, Comandante dell’Eiréne, aprì bocca e con tono estremamente consapevole e deciso, addirittura perentorio, diramò l’ordine esecutivo: ”Rotta gialla 336! Amici miei, si torna a casa!”

L’ultimo grande sole, blu, progressivamente scompariva all’orizzonte.