Racconto di Rita Buccini

(Prima pubblicazione 26 – giugno 2019)

 

Rimaneva sempre una fessura tra le persiane accostate, era l’unico modo per schermare il calore intenso dei giorni estivi. Bastava distendersi sul letto dopo pranzo per avere subito due scelte a disposizione: dormire saporitamente oppure osservare quella fessura e lasciarsi trasportare oltre con l’immaginazione. Quel pezzetto di cielo lattiginoso per la calura aveva un che di magico e, se lo fissavi abbastanza, ti sentivi trasportare davvero oltre le quattro mura. Un trampolino di lancio fuori dal normale ma estremamente naturale per l’animo curioso. Quel giorno, lei, che era riuscita a ritagliarsi qualche ora, si distese sul letto per cercare di chiudere gli occhi di quel suo corpo un po’ fuori misura affaticato dal caldo. I soliti dolori a condire il tutto e a dare un ritmo anche alla sua mente. Il rumore di fondo del dolore si insinua peggio della polvere sottile, ancor più abilmente dell’acqua che si infiltra tra le rocce e le taglia col tempo. Il dolore del corpo arriva a stancare l’anima ma lei resisteva e combatteva. Là fuori c’era l’azzurro esagerato oltre la calura che riformava nuvole leggere, c’era una luce intensa ed era proprio quella che lei ricercava sempre in ogni angolo del mondo e della vita. Così si distese, sperando che, anche se teneva chiusi gli occhi, un po’ di quella luce potesse raggiungerla passando dalla fessura.

La prima sensazione fu la pesantezza e non sapeva distinguere tra la sua, del suo corpo, e quella data dall’afa. Si mescolavano come il fumo dell’incenso che ti avviluppa se ti avvicini abbastanza da interferire con il suo andare verso l’alto. Nonostante questa sensazione, il sonno non la vinse ma creò una bolla nel tempo, dove pensieri e desideri potevano essere lasciati liberi di correre in ogni direzione.

Ripensò all’amore, a tutte quelle volte in cui aveva desiderato con tutte le sue forze essere amata, ma c’era sempre il vuoto intorno. Così emerse la prima figura di fumo, la delusione. Quel vuoto pari ad un deserto… e non si meravigliò più di tanto nel fare il parallelo con quella giornata calda. Ci stava, eccome se ci stava. E più si sforzava di capire e meno comprendeva, anzi, nascevano nuovi perché sempre più stancanti e pesanti. Era arrivata a credere di essere grassa e pesante dentro proprio per colpa di quelle domande grevi. Del resto, come si fa ad accettare di buon grado di non essere accettata? Si creano nodi che creano altri nodi che poi si trasformano in agglomerati di piombo. Lei non era una donna, era una sorta di cava di pietra in disuso. I suoi blocchi non servivano a granché.

Ma dentro, molto dentro, lei aveva una controparte leggera ed era quella che si lasciava trasportare con la fantasia fuori dalla finestra cavalcando la fessura di luce. Quindi non era ancora morta del tutto. Fu una rivelazione. L’amore anelato, quello che cercava all’esterno, l’aveva piegata per indurla a guardarsi dentro alla ricerca di pensieri meno stagnanti. Tuttavia quel desiderio di coccole rimaneva e si fondeva a tratti col rumore di fondo del dolore fisico. Le venne in mente il detto, forse una sciocchezza che le indusse un sorriso misto tra sarcasmo e tenerezza, “chi si somiglia si piglia”, desiderio e dolore che risuonavano in modo simile.

Comunque era stanca, stanca da tempo, non solo per l’afa. Il caldo, forse, voleva solo far da consigliere, le faceva sentire che combattere qualcosa immensamente più grande di noi, talvolta, non è sano, sarebbe meglio cedere e riposare, quanto meno per recuperare le forze. Ognuno tesse la sua storia, intreccia i fili della vita e poi, a tratti, si siede per osservare il lavoro, non si può sempre andare a diritto senza fermarsi mai. Poi manca il fiato e tutto diventa pesante, anche ciò che non lo è. Questa era la verità. Lo spiraglio di luce tra le persiane era lì a rammentarle che la possibilità c’è sempre ma si deve andarle incontro. Ecco, forse quella era una risposta degna di attenzione, capace di forare la nebbia creata da miriadi di domande. Invece di vegliare sempre, di serrare la mascella digrignando i denti senza rendersene conto, di combattere sempre tutto e tutti o di desiderare troppo ardentemente qualcosa, era tempo di riposare davvero, almeno un pochino. Così, guardando la lama di luce che filtrava, nonostante tutto, chiuse gli occhi e lasciò scivolare via i troppi pensieri attraverso la finestra. Finalmente si addormentò serena.