Racconto di Giuseppe Fabrizio Ernesto Coco

(5 gennaio 2021)

 

 

Ruth come sempre si sveglia presto, il pannolone umido la infastidisce, ma anche stavolta riesce a strapparselo e lanciarlo sopra il copriletto. In silenzio scende dal letto caldo e piscioso, per andare in bagno, asciugarsi la pelle umida e vestirsi. Sul comodino, dietro il contenitore della protesi, il bicchiere d’acqua, una sacra famiglia minuscola made in china, c’è la pagina di un quotidiano ripiegata su una foto che la ritrae seduta di profilo, impettita con il braccio destro nudo come una matrona, intenta a baciare la visiera trasparente di un operatore sanitario con indosso i dispositivi di protezione per il corpo. Sopra l’immagine s’intravede una parte del titolo: Per tornare alla normalità.

Da anni Ruth non realizzava ragionamenti ordinati e nell’ultimi mesi è stata ancora più confusa a causa dei vari cambi alla sua routine: prima l’ospedale, poi il trasferimento in una lunga degenza per positivi, dopo è stata inserita in struttura per recuperare le forze, successivamente altri due trasbordi provvisori. Le mancavano le facce, le voci e gli ambienti abituali Chi è tutta questa gente vestita di bianco? Casa vogliono? Mi chiamano per nome, ma non li riconosco.

Alla fine, era riuscita a riapprodare nella sua vecchia camera dalla cui finestra la mattina vede sorgere il sole. Due giorni prima le avevano detto che sarebbe stata lei la prima, di tutti i quattro piani, a ricevere la puntura per diventare imbattibile e quindi occorreva una preparazione più accurata, visto che all’evento ci sarebbe stata anche la stampa. Tutte quelle attenzioni la fecero sentire importante mentre la sua mente si perdeva nelle rimembranze: le fughe con la famiglia da perseguitata, il nonno che leggeva le storie ebraiche, le manifestazioni per l’aborto, la sinagoga vista dalle grate del matroneo, la solitudine della vedovanza.

Fatta la puntura, si sentì riconoscente verso chi l’aveva resa imbattibile e volle dargli un bacio in fronte: una benedizione, come faceva sua nonna.

Stamattina Ruth si sente vigorosa, vuole scappare dalla quotidianità nel modo in cui aveva sempre fatto: volando. Cauta avvicina la sedia alla finestra, sale sopra e dopo aver preso un bel respiro, spicca il volo. Inizia a muovere le braccia per prendere quota. È diretta ai ciliegi e ai filari di viti tra cui correva. Sbatte le braccia ancora con più vigore, vuol tornare a sentire il profumo dei campi di carciofo appena tagliati e rivedere la spianata di girasoli dove giocava a nascondino con Jonathan e Rachele. Cerca l’appartamento della famiglia Ravenna, il suo maestro di piano. La velocità le fa sentire freddo, però adesso è felice: ha ritrovato i luoghi della memoria.

Alice, con la tenacia dei suoi otto anni, scruta il cielo dalla finestra, spera di veder passare la befana e poterla fotografare. Da mesi le scrive mail implorandola di darle questa occasione. Guarda delusa la luce dell’alba quando la vede solcare il cielo, non è sulla scopa, muove le braccia come se avesse le ali. Rapida scatta e poi su WhatsApp digita Ho vinto! Poi inoltra a Pamela.