Racconto di Vincenzo Sottile

(Seconda pubblicazione – 30 marzo 2020)

 

Pomeriggio inoltrato di una tranquilla abitazione borghese, come ce ne sono tante. Inganno quel senso di prostrazione che si agita dentro di me da non so quanto tempo e baratto col mio cuore l’ingenuo tentativo di non pormi altre domande che sortirebbero un effetto detonante e darebbero fuoco alla polveriera dei miei sentimenti troppo a lungo sopiti. Tento di distrarmi con gli ultimi temi cartacei dei miei alunni prima che scoppiasse l’emergenza sanitaria. Insegno in una scuola media di un paesino limitrofo in due sezioni e il lavoro non mi manca perché si tratta di sei classi ma fra poco tutto si ridurrà a preparare le lezioni giornaliere da trasmettere in remoto. Poco male! D’altronde è un’emergenza nazionale e l’essenziale è non soccombere per conservare ancora un domani.

Mi chiamo Mario Ferretti e sono vicino alla soglia della quarantina. Un traguardo magico fino a pochi giorni fa, quando scherzavo con amici e conoscenti su tutto ciò, senza considerare quello che adesso intravedo con estrema chiarezza e che nessun sortilegio, nessun narcotico potrà più annullare: quella sensazione chiara, indelebile che permea la mia esistenza e quella di tutti. Non si tratta di retorica da quattro soldi ma siamo tutti delle meteore che fingono di non saperlo e s’inventano vite luminose, possibilmente sempre sotto l’onda perenne di riflettori che non si spengono mai.

Un po’ come il Grande Fratello, insomma! Il solito radical chic o l’inguaribile intellettuale tutto d’un pezzo sosterrà che sono gli sproloqui di uno squilibrato che non ha sale in zucca ma non è così. Possiamo ingannarci, far finta che tutto permanga com’era prima dello scoppio di una pandemia che sta decimando intere popolazioni e annienta i nostri pensieri, i nostri desideri e le nostre aspirazioni, dentro bolle vorticose dove inevitabilmente si finisce per covare sempre riflessioni distruttive e di morte.

Si ha un bel daffare a crogiolarsi nell’ottimismo e a coltivare solo l’ottimismo ma, presto o tardi, si scivola sempre nel parossismo e nella paura del contagio.

Siamo tutti uomini in carne e ossa e nessuno è un Dio anche se alcuni hanno fatto finta di esserlo e si sono eretti a giudici supremi, tentando d’influenzare pesantemente il destino dei loro simili.

Troppi conflitti basati sul terrore dell’atomica e di esplosioni nucleari, alcune nazioni opulente che hanno fatto bellamente i loro affari e i problemi di tante popolazioni maggiormente sottosviluppate che non si sono affrontati con la dovuta solerzia.

Ma cosa vado a pensare! Nessuno ha la bacchetta magica per risolvere i vari intrighi mondiali ma se la gente si fermasse un attimo a considerare quanto siamo esseri fragili, perfettibili ed esposti ai minimi rovesci della natura, senza quasi possedere le armi idonee per combatterli, non dico tanto ma si avanzerebbe nella lotta alla mancanza di cibo, alle tante malattie che decimano molte zone del terzo mondo, all’analfabetismo e a numerose altre piaghe che fioriscono sempre come una palude di funghi.

Però il solito discorso trito e ritrito che sentiamo ripetere quasi per ogni dove: «ma cosa posso farci, non è un problema mio!»

Tutto verissimo! Il problema non è di nessuno ma le persone si equivocano nel sottovalutare la parte nascosta dell’equazione: i problemi che vanno a intaccare i vari contesti sociali sono di tutti e chi li ignora si rende colpevole del delitto di lesa maestà perché non è più degno di appartenere al genere umano. Alla fin dei conti, se larghe fasce di persone permangono in condizioni disagevoli ne risente l’economia globale dell’intero universo anche se molti vecchi calabroni, che svolazzano di fiore in fiore per tenere il dolce nettare del successo tutto per loro, fanno finta di non darsene conto.

Siamo tutti isole perché ci portiamo appresso come una zavorra perenne, il nostro dramma di essere uomini ma, nel contempo, esistono anche delle oasi mentali dove riscopriamo la gioia di appartenere a una collettività con tutti i diritti e i doveri che scaturiscono da ciò. L’eterna ambiguità di fondo della razza umana che hanno tentato di decifrare dall’inizio dei tempi con scarso successo.

Sono qui nel salottino della mia casa con mia moglie Fiorella e nostro figlio di quindici anni Gerardo. Le ore di quarantena sono spesso noiose e dopo aver espletato i doveri connessi alle vicissitudini quotidiane ci ritroviamo tutti in un mare senza tempo d’incertezze e di cattivi pensieri.

Quanto durerà? Riuscirò a uscirne indenne? Il vicino della porta accanto, quel simpatico vecchietto ultraottantenne è stato intubato l’altro ieri e ci siamo trovati davanti all’ennesima scena straziante con la figlia sposata che strillava come una fontana quando sono venuti a prenderlo senza che il marito riuscisse a calmarla!

«E le notizie contraddittorie» che provengono da ogni angolo dell’universo, sempre scabrosamente inquietanti! L’epidemia che si sparge a vista d’occhio in ogni angolo remoto del pianeta, nonostante gli enormi sforzi di tutto il personale sanitario che lavora con ritmi massacranti e con l’ausilio di poche unità per fronteggiare un flagello che sembra assumere ogni ora che passa proporzioni sempre maggiormente catastrofiche.

Questo pomeriggio Gerardo scalpita più del solito e con mia moglie non sappiamo che fare per farlo calmare e convincerlo dal suo folle proposito di uscire per andare a vedere gli amici della sua combriccola.

Come spiegare a un ragazzo così giovane che la sua esistenza rischia di essere probabilmente condizionata, se non stravolta nel caso peggiore, se non si conseguirà incontrare al più presto un ritrovato medico che arginerà questa folle corsa dei decessi che straziano interi agglomerati di famiglie e non fanno distinzioni fra persone di ogni età?

«Perché il virus», contrariamente a quanto si sperava all’inizio, non colpisce solo le fasce d’età più anziane ma non fa distinzioni e si comporta come un qualsiasi predatore onnivoro.

Certo, Gerardo è un ragazzo intelligente ma per lui e i suoi coetanei è molto più dura che per gente di cinquanta o sessanta anni che, sia pur temendo le conseguenze che potrebbero scaturire da tutto ciò, ha il flebile conforto di pensare in cuor suo che una parte della propria esistenza l’ha comunque vissuta indipendentemente da quel che sarà ed è riuscita a compiere svariate esperienze che hanno contribuito a pianificare il suo percorso di vita.

Con mia moglie ci guardiamo perplessi e non riusciamo a trovare le parole che siano più idonee a consolare un’anima in pena ingabbiata dentro fitti reticolati che triturano la sua prorompente ansia di vivere. Anche con la fidanzatina lunghe chiacchierate telefoniche che fanno lievitare le bollette ma in questo periodo chi va a formalizzarsi! Meglio fare qualche ricarica di cellulare in più che rimanere completamente isolati dal mondo, dai parenti lontani e dai vari affetti che si spera ognuno sia riuscito a disseminare dietro di sé anche se la civiltà tecnologica contiene una profonda contraddizione dentro la sua ferrea logica di mercato perché, da un lato, dà l’impressione d’incentivare i contatti mentre riprende con gli interessi tutto dall’altro, perché anche in condizioni meno anormali di queste ci ritroviamo perennemente intrappolati dentro mille impegni che non si possono rinviare e centelliniamo il tempo che potremmo dedicare verso i nostri cari e che non ritornerà mai più.

Ed è un tempo molto più prezioso di quanto siamo portati a credere! Finalmente sorrido a mia moglie e, con un cenno di tacita intesa, ci avviciniamo al nostro rampollo:

«Ti andrebbe di fare una bella partita a scarabeo? Lo so che non è il massimo stare con due vecchioni come noi ma devi renderti conto che anche Giada deve rimanere con i suoi e che i tuoi amici non potranno mai recarsi in piazza. Qui non siamo in una grande città e i controlli sono più rigidi ma è per il vostro bene e non si tratta di un gioco. Magari vediamo un film insieme, studi un po’ le lezioni che i vostri professori vi fanno in videoconferenza e trovi più tempo per coccolare Red».

Red è il nostro Labrador, grande come un armadio, che ci tiene compagnia da quasi dieci anni ed è stato un compagno insostituibile di giochi e avventure per nostro figlio quando era piccolo. Fortunatamente abbiamo una piccola casetta con giardino e non rimane sacrificato dentro un appartamento di pochi metri quadrati. Quando Gerardo era più piccolo erano un corpo e un’anima al punto tale che Red andava a prenderlo all’uscita da scuola tutti i giorni e gli faceva così tante feste da catapultarlo quasi sempre per terra fra le matte risate dei suoi compagni che gli erano tutti affezionati. Poi, con l’inevitabile sopraggiungere della pubertà, le cose sono leggermente mutate e il ragazzo lo segue meno perché sono aumentati i suoi impegni scolastici e le sue possibilità di diversione fra feste con i compagni e riunioni al parco e nei vari centri commerciali con i ragazzi della sua compagnia. Gerardo va a scuola in una città vicina più grande dove ci sono le scuole superiori che non avrebbe potuto frequentare nel nostro agglomerato di poche anime. Incredibilmente il cane sembra aver compreso la nuova gravità della situazione e si è adeguato senza colpo ferire cercando di disturbare il meno possibile il suo padroncino.

Eh si! Inutile negarlo! In ogni famiglia qualsiasi animale domestico, cane o gatto che sia, elegge un capo branco fra il nucleo degli umani e gli rimane fedele fino alla fine dei suoi giorni e in questo caso io e mia moglie eravamo stati relegati in secondo piano anche se ultimamente avevamo recuperato punti nella considerazione di Red visto che eravamo costretti a portarlo più spesso in giro per le sue necessità.

Sospiro di sollievo da parte di mio figlio e scrollata di spalle quasi teatrale come spesso i giovani sanno fare per darsi un tono da persone vissute e nascondere l’insicurezza che nel fondo attanaglia anche noi che non ci troviamo più all’alba della vita.

«Credevo mi voleste rimproverare per quelle insufficienze in latino e greco che ho rimediato al primo quadrimestre ma vi giuro che ce la sto mettendo tutta per recuperare e non passo tutto il tempo su internet a chattare con i miei amici. Anche Giada si è arrabbiata e mi ha esortato a recuperare. Sostiene che, se inizio a zoppicare da adesso che siamo in quarto ginnasio, non andrò più avanti e lei ci tiene molto alla scuola. Del resto l’avete conosciuta e avete visto quanto è secchiona!»

«Ma che bella notizia!» Ora è il turno di mia moglie d’intervenire con la sua classica dose d’ironia che me la rende amabile fin da quando eravamo ragazzi perché riesce a stemperare le mie fobie e le mie innumerevoli ansie. «Dovremmo fare un monumento a questa ragazza perché si può definire una fata turchina per te. Un po’ come quella di Pinocchio! Che bello! Qui vicino, nel nostro giardino, abbiamo un altro amico che potrebbe essere accostato alla Fata Turchina anche se non ha l’ausilio delle parole: il nostro insostituibile Red. Negli ultimi periodi l’hai trascurato troppo e potresti rimediare, non solo per uscire a fare quattro passi ma soprattutto perché è stato il tuo compagno di scorribande da quando eri un cucciolo anche tu. Che ne dici?»

Silenzio quasi spettrale che piomba nella stanza. Poi, di colpo, il nostro ragazzo ci sorride come non faceva da tempo e si lascia andare a una bella risata liberatoria:

«Quanto vi adoro e non lo dico tanto per dire! Forse non tutto il male vien per nuocere e mi avete fatto riflettere sul fatto che spesso diamo per scontate situazioni, cose, persone e animali come se fossero dei nostri possedimenti dei quali disporre a nostro piacimento in qualsiasi istante, senza renderci conto che viviamo sempre dentro un battello che può inabissarsi in qualsiasi istante»

«Ma come sei filosofo!» Fu il mio turno d’intervenire. «Spero tu abbia appreso una lezione fondamentale per ogni essere umano e vivente: quella di non chiudersi dentro uno zoo di vetro dove soffocare i sani impulsi naturali di gioia, amore ed altruismo che coviamo verso i nostri cari. E adesso vai che Red ti aspetta. È l’ora della sua passeggiatina quotidiana e vedo che scodinzola impaziente accanto al guinzaglio!»

Ancora uno splendido sorriso da parte di nostro figlio che ci guarda con quei suoi incantevoli occhi azzurri color del cielo e ci schiocca un bacio con la punta delle labbra mentre Red gli saltella tutt’intorno e minaccia di travolgerlo con la sua naturale esuberanza mentre gli sta annodando il guinzaglio al collo.

«Ecco! Il nostro ragazzo è uscito». Guardo mia moglie così intensamente e sbatto le palpebre così forte al punto tale che lei mi domanda meravigliata:

«Che cosa c’è amore?»

«Niente di particolare. Stavo riflettendo sull’intensità di un qualsiasi gesto d’amore come quelli che ci sono adesso negati come un bacio sensuale o un lungo abbraccio»

«Ti amo tanto tesoro! E vedrai che tutto questo finirà e rimarrà dentro di noi come un lungo, orribile sogno dal quale trarre però insegnamenti per pianificare una vita migliore che sia meno nevrotica e che ci renda degni di appartenere a questo stupendo pianeta troppo spesso maltrattato dall’ingordigia e dall’egoismo di chi lo abita. Adesso ho voglia di una bella tazza di tè bollente e poi, quando rientra Gerardo, iniziamo questa famosa partita di scarabeo. T’informo che oggi voglio prendermi la rivincita e stracciarvi, tutti e due!»