Racconto di Maria Pia Rosati
“RaccontiConParola-2”
Scese dalla macchina e si avviò verso l’ingresso dell’aeroporto. Lui mise in moto e filò via velocemente: doveva riprendere i figli a scuola. Il volo per Roma era stato annunciato e tutto sembrava procedere secondo i piani.
Stavolta era stata lei a raggiungerlo fino a Torino. Il volo di andata alle nove di mattina, il ritorno nel pomeriggio, nel mezzo alcune ore da spendere insieme a quello che riteneva da sempre un amico. Non aveva bisogno di un’amante, ma solo di una breve parentesi, una giornata solo per lei, per loro due, solo tre incontri all’anno, quando lui veniva a Roma per lavoro. Poi ognuno tornava alla sua vita. Ma un filo sottile li legava fin da quando erano stati adolescenti. E nessuno dei due voleva rinunciare al piacere che riuscivano a regalarsi quando si incontravano, sentivano di meritare una pausa dalla noia delle loro vite. Forse un tentativo di rimanere attaccati alla adolescenza, l’unica possibilità per riscattarsi dalle delusioni dell’età adulta. Non avevano avuto il coraggio di confessare, neanche a sé stessi, che le vite che avevano scelto non li rendeva felici. C’era sempre un vuoto da riempire con un piacere puro e libero, ma senza farsi male, senza mettere in gioco le loro famiglie che rimanevano fuori dalla porta, quella di una stanza d’albergo in cui liberarsi, almeno per qualche ora, di tutto ciò che appesantiva l’anima.
La prima volta che avevano fatto l’amore era accaduto su una spiaggia, in una soleggiata estate quando andavano ancora al liceo. I loro corpi si erano subito sciolti, la sabbia umida sotto la schiena, il cielo stellato e in sottofondo la musica di un jukebox. Poi la vita li aveva divisi per diversi anni fino a quel weekend organizzato dai vecchi amici del mare. Lei si era appena lasciata con il fidanzato, mentre lui era sposato da pochi mesi. Ed era successo tutto in modo naturale, come fosse stato un appuntamento fissato vent’anni prima. Non avevano avuto bisogno di parlarsi: al termine di una serata in compagnia, erano rimasti da soli. Lui si era diretto al solito posto, sulla loro spiaggia, mentre lei gli stringeva forte la mano.
In attesa dell’imbarco si era seduta su una poltrona. Addosso sentiva ancora i brividi per l’emozione di quell’incontro. La passeggiata in centro di quella città sconosciuta, la corsa sotto i portici per ripararsi dalla pioggia, il caffè bevuto frettolosamente, mentre gli occhi di lui cercavano di sbirciare sotto l’impermeabile e dalla scollatura del tailleur scendevano fino ad accarezzarle le gambe. Poi lui iniziava a spogliarla all’ingresso del loft prestato da un amico. Ore che fuggivano veloci a dispetto della voglia di rimanere lì dentro per sempre, finché i loro corpi cadevano esausti in una immobile quiete. Poi l’orologio avvertiva che il tempo era scaduto. I vestiti raccolti in fretta e la corsa in aeroporto. E ora era lì, colma di malinconia che solo il trascorrere del tempo avrebbe sciolto. Era tempo di tornare a casa.
Il pensiero di suo figlio si affacciò all’improvviso. Aveva chiesto ad una sua amica di riprenderlo da scuola perché la giornata in ufficio era più lunga del previsto. Nessuno sapeva del suo viaggio e il gusto del proibito le aveva dato un’euforia mai provata. Fra meno di due ore sarebbe tornata da suo figlio, si sarebbero seduti a tavola, come in una qualsiasi serata di inizio primavera, l’ultima prima del ritorno di suo marito da un lungo viaggio di lavoro.
Ma quella era una primavera bizzarra. L’altoparlante annunciò il ritardo sul volo per Roma: una bufera si era abbattuta sull’aeroporto di Fiumicino che per precauzione era stato chiuso. Subito un brivido, diverso da quello provato poche ore prima, cominciò a scuoterla. Il pensiero degli imprevisti, che non aveva messo in conto, cominciò a tormentarla: se i voli fossero stati cancellati per tutta la sera, come sarebbe tornata a casa? Cosa avrebbe detto a suo figlio e alla sua amica? Ma ciò che più temeva era il ritorno di suo marito l’indomani mattina. Cominciò a sudare e a camminare nervosamente avanti e indietro alla ricerca di una soluzione, di una scusa plausibile, di una giustificazione con sé stessa per essersi ficcata in un’avventura carica di insidie. Gli altri passeggeri sembravano tranquilli. Ma nessuno dei suoi familiari sapeva che lei si trovava a seicento chilometri da casa. In pochi minuti il buio della sera e la pioggia mista a nebbia avevano avvolto le piste dell’aeroporto.
Poi dei fulmini cominciarono ad illuminare il cielo e il rombo di un tuono la fece trasalire. Un violento temporale in pochi minuti inondò tutta la città. La tempesta si era spostata fino a Torino. L’altoparlante annunciò la cancellazione di tutti i voli per le successive due ore. Cominciò a tremare per la paura di trascorrere la notte in aeroporto. Mandò un messaggio alla sua amica scusandosi per il ritardo dovuto al traffico congestionato per il temporale. Trascorse le due ore di attesa del volo per Roma maledicendo sé stessa e la sua imprudenza.
Quando finalmente salì sull’aereo, cominciò a pregustare il ritorno, il tepore della casa, l’abbraccio di suo figlio e loro due sotto le coperte. Poi il comandante avvertì i passeggeri di allacciare le cinture: erano previste delle turbolenze. Lei si confortò pensando a quante volte aveva viaggiato su tutti i continenti e attraversato turbolenze. Ma quella sera era tutto diverso e tutto ormai la spaventava. Quando avvertì i vuoti d’aria, la paura si trasformò in terrore. Se l’aereo fosse precipitato nessuno avrebbe saputo che fra i passeggeri c’era anche lei. Chissà quanto l’avrebbe cercata suo marito. Forse alla fine l’avrebbe trovata fra la lista dei passeggeri deceduti nell’incidente aereo. E allora tutti si sarebbero chiesti cosa ci facesse lei su quel volo. Avrebbero frugato nel suo pc, controllato il telefono e alla fine avrebbero tutti scoperto il suo segreto: era una traditrice, per di più bugiarda, una che aveva ingannato tutti.
Rimase con la faccia nascosta nel bavero dell’impermeabile per nascondere la sua vergogna. L’aereo, giunto a Fiumicino, rimase in attesa di poter atterrare. Non aveva più il coraggio di guardare l’orologio, sperava solo di scendere viva e di rimettere piede nella sua casa, perfino di aspettare il ritorno di suo marito.
Quando finalmente toccò terra, non poté fare a meno di lanciare un urlo di liberazione nel freddo della notte e poi cominciò a piangere, un pianto rabbioso e strozzato, che nascose coprendosi il viso. Quando riaccese il cellulare, il bip l’avverti dell’arrivo di un messaggio. Era lui. Chiedeva se il viaggio di ritorno era andato bene e la ringraziava per la giornata trascorsa insieme. Ma lei non lo lesse nemmeno. Lo cancellò, si asciugò le lacrime e si affrettò verso l’uscita.
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https://www.mondadoristore.it/E-io-mi-fumo-la-vita-Maria-Pua-Rosati/eai978886770720/
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Un racconto intenso e profondo, capace di cogliere le contraddittorie necessità umane, rovistando nella sfaccettata psicologia femminile. Un frammento di storia diviene così un universo interiore complesso e armonico nello stesso tempo, nel quale chiunque può rispecchiarsi, rileggendo in parte sè stessa.
Breve e intenso.
Come i momenti che devi cogliere nella vita per ruotare di novanta gradi a destra o a sinistra.
Da leggere anche tra le righe.