Racconto di Maurizio Laurenti

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Una notte d’inverno come le altre, la voce impastata di Augusto riecheggia nel buio spezzando l’apparente calma nella stanza da letto: «Va bene Carla, ho capito, fra poco mi alzo. È tutta la notte che rompi le scatole, adesso vuoi il caffè a letto, ma dico io… a quest’ora?  Fammi dormire ancora una mezz’ora, dai, in modo che possa recuperare il sonno che mi hai fatto perdere nel raccontarmi la storia della tua amica Elvira e della sua disperazione dopo che il marito l’ha lasciata. D’altronde se l’è cercata con tutte le corna che gli ha messo mi sembra il minimo che Arturo l’abbia mollata, E poi è accaduto da più di tre anni! Che vuoi che me frega oggi? La vita evolve, continua il suo corso. Immagino che ormai lei abbia trovato un nuovo compagno non credi? Ah sì, dimenticavo: tu non puoi saperlo visto che la tua amica non la vedi più da tempo. E allora che me ne parli a fare? Lo sai che io non la frequento. Trovi sempre argomenti di discussione datati, mai una storia nuova, un fatto recente! Sembra che alcune cose per te siano rimaste aperte e ferme nel tempo. Fammi dormire dai! Sii buona… Sono le cinque di mattina! Ti prometto che dopo, quando mi alzo, la prima cosa che faccio è quella prepararti il caffè e te lo porto a letto nella tua tazzina rosa».

Carla non risponde, Augusto si gira dall’altra parte del letto e ritorna finalmente a dormire.

Le prime luci del mattino filtrano attraverso le persiane e subito dopo la sveglia comincia a squillare. Sono le sette del mattino: è il momento di alzarsi. Augusto, stiracchiando le braccia verso l’alto, fa un ultimo sbadiglio seduto sul letto, infila le ciabatte e barcollante si avvia verso la cucina. Deve preparare il caffè per Carla, una promessa è una promessa, con la moka invecchiata dal fuoco e dal tempo. Quel tempo che inesorabilmente scorre veloce anno dopo anno che imbianca i capelli e raggrinzisce la pelle, cambia il corpo ma non lo spirito. L’essenza dell’essere rimane tale.

Dopo aver messo la moka sul fornello e acceso il gas, Augusto ha tempo per rasarsi e vestirsi prima di sentire l’aroma del caffè nell’aria che gli riporta alla mente i ricordi di prima mattinata famigliare.

«Ecco: ti ho portato il caffè come lo prendi tu, amaro» esclama Augusto.

Carla è distesa sul letto con le braccia lungo il corpo. Non risponde.

Augusto, sorpreso, aggiunge: «Lo vedi come sei? Adesso dormi tu, va bene, non interrompo il tuo sonno anche se sarei tentato di farlo dopo la nottataccia che mi hai fatto passare. Metto la tazzina sul comodino, ti mando un bacio e scappo di corsa altrimenti non riuscirò a rispettare i tempi, e tu sai dove devo arrivare».

«Buongiorno dottò, prende il solito latte macchiato bollente?» chiede il barista.

«Sì, Cosimo, come sempre, grazie».

«La vedo stanco in viso stamattina, ha fatto le ore piccole eh» esclama Cosimo con un sorriso.

«Magari fosse così caro Cosimo! Ho solo dormito poco e male, mia moglie mi ha tenuto sveglio quasi tutta la notte, sussurrandomi con la sua vocina nell’orecchio, una vecchia storia di una sua amica. Sai come sono le donne, quando attaccano un discorso non finiscono mai anche se di notte, purtroppo».

«Ah già, sua moglie! Mi sembra che ultimamente la faccia dormire sempre meno. Ieri le parlava della morte del cane, la settimana scorsa dell’incidente automobilistico avvenuto qui all’incrocio e sempre di notte”.

«E quando vuoi che mi parli, di giorno non ci sono mai».

«Capisco dottò. Anche stamattina ci va?»

«Certo, come tutte le mattine. Ora ti devo salutare Cosimo, altrimenti faccio tardi. Metti tutto sul conto.»

Arrivato in fondo al viale in corrispondenza del cancello d’entrata, ad accoglierlo c’è Ruggero, il guardiano, che nasconde dietro di sé un seggiolino pieghevole su cui campeggia una rosa rossa a gambo lungo.

«Buongiorno signor Augusto, oggi è in ritardo. Ho già fatto tutte le pulizie, ho spruzzato il profumo nell’aria per eliminare quell’odoraccio di chiuso e cambiato l’acqua del vaso». Ruggero si gira prende la rosa e il seggiolino e li porge ad Augusto.

«Grazie, efficiente come sempre caro Ruggero. Ce ne fossero di persone come te» e s’incammina lungo la strada che lo porta all’edificio.

L’androne è poco luminoso freddo e spoglio, le scale che portano ai piani alti sono di fronte all’entrata. Augusto con frenesia sale i gradini, un paio alla volta, arrivato al secondo piano gira a sinistra e subito le narici s’inebriano dell’effluvio di rosa sparso nell’aria da Ruggero poco prima. Ecco ci siamo finalmente la vede la sua amata Carla: è lì che lo aspetta al terzo loculo della seconda fila.

L’acqua nel vaso è limpida, fresca, ideale per la rosa rossa a gambo lungo. La lapide è pulita come sempre, come tutte le mattine di ogni giorno ormai da tre anni, dopo l’incidente.

Augusto poggia lo sgabello sul terreno, si siede e, guardando la fotografia della moglie sulla tomba, esclama: «Dove eravamo rimasti ieri?»