Racconto di Letizia Zito
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«E questa foto? Che bella! Io sono proprio cicciottella, che meraviglia!
A quell’età essere in sovrappeso era permesso, diventi addirittura più bella con tutti quei simpatici rotolini».
Erica si era messa a guardare le foto di famiglia, quella che per lei era una semplice foto di noi due al mare, per me rappresentava un tuffo nel mio lato più oscuro, perché avevo rimosso dalla memoria quel giorno.
E ora riaffiorava, purtroppo.
«Mamma che c’è? Sei diventata bianca.»
Fino a quel momento ero riuscita a fingere, a nascondere a tutti l’atroce verità che io e molte altre donne custodiamo nel cuore, come un peso, un macigno che fa male. Fino a quel momento agli occhi di tutti e anche ai miei, ero una madre modello.
Poi quella fotografia, quella maledetta fotografia, mi ha sbattuto in faccia il peso, il dolore.
Per chi non sa, una bella fotografia, tu ed io quel giorno al mare, eri così piccola con quel costumino con le ciliegie, le codine, io sorrido a tuo padre che non faceva altro che immortalare ogni tuo spostamento, sorriso, smorfia. Il mare di una bellezza estrema aveva accolto una moltitudine di famiglie, la domenica apparteneva ai gruppi chiassosi, bimbi che passando riempivano malcapitate coppiette che non sapevano che la domenica era nostra.
Nella foto in lontananza s’intravede quella signora che si mise a chiacchierare con tuo padre di quanto tu fossi bella, di quanto fossimo fortunati ad averti, bla bla bla…
Io sorrido ma pochi minuti prima, mentre facevamo il bagnetto noi due, e papà dormiva beato sullo sdraio, pochi minuti prima avevo pensato di farlo, che sarebbe sembrato un incidente, che potevo ritornare a essere libera, a dormire ogni notte, a non dipendere da quell’esserino che aveva rubato la mia anima, pochi minuti prima ero un mostro!
È difficile ammettere a se stessi che quel dono, che tutti ritengono magico, può essere un inferno, impossibile confessarlo agli altri.
Adesso che i fatti di quella giornata erano sempre più nitidi, ricordo che guardai le altre madri e pensai chissà quanti altri mostri. Alcune avevano una gioia luminosa, non fingevano. Altre con occhiaie e sguardo spento, più che godersi una giornata al mare sembrava che stessero andando in guerra.
È stata l’unica volta che quel pensiero atroce si è inoltrato nella mia mente.
E se avessi ceduto?
Intanto Erica si era premurata di farmi bere acqua e zucchero, pensando che il mio colorito da cadavere fosse a causa di un calo di pressione.
Sapessi amore, sapessi che c’è stato un tempo che ho desiderato che non ci fossi. Anche se credo che tu col tuo piccolo cuoricino lo avvertissi cosa covavo dentro. Preferivi stare con tuo padre.
La foto ti è piaciuta tanto che l’hai incorniciata e l’hai esposta all’ingresso. Per un attimo mi ha sfiorato l’idea che tu sapessi e che il tuo gesto sia un monito a non dimenticare.
Quanto eri bella, quanto lo sei ancora ora.
Io sorrido.
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L’iniziale parte descrittiva guida il lettore ignaro verso un conflitto negato a se stessi, il più intimo e atroce contrasto tra la libertà e la maternità, tra i ruoli socialmente assegnati e i desideri impronunciabili. Commuove il senso di vergogna, il senso di colpa e il pudore che traspaiono dalle parole “concilianti”, dal perdono richiesto senza parole, dal silenzio che non acconsente, anzi, diventa diniego, ripudio, rifiuto, orrore dei propri pensieri. Una resa involontaria, ma necessaria, legittima. Breve, intenso e doloroso.
L’autrice mette in luce un punto focale delle neomadri: il conflitto tra l’amore materno e l’esigenza della riappropriazione del se’ . Argomento di cui si parla ancora troppo poco e che, di contro, meriterebbe maggiore attenzione a livello di struttura sociale.
Per un attimo, sembra di sentire accanto il battito di quel cuore di mamma che accelera fino a risalire in gola, il suo sgomento si materializza agli occhi del lettore, che rimane tra apnea e incredulità, fino a sciogliersi completamente nella leggerezza del sorriso finale insieme a lei.
Gli scritti di Letizia hanno sempre più stratificazioni. Il tono leggero, quasi incurante, nasconde pensieri conflittuali e li esplora senza filtri, ma sempre con affetto e profonda comprensione verso i suoi personaggi. Che, in fondo, siamo noi.