Racconto di Donatella Rabiti

(6 gennaio 2021)

 

 

Mi sono svegliato presto. Alle quattro il mio cervello è già attivo. Non sono abituato a dormire più di due ore di filato. Mi serve una pausa di veglia tra una dormita e l’altra. Ma stamattina non mi sono riaddormentato.

Io lo so quando è iniziata la mia insonnia, dall’epifania dei miei vent’anni.

Con Piero eravamo andati al cinema. Quelli della mia compagnia erano usciti con gente nuova che avevano conosciuto al mare. Avevano già festeggiato insieme il capodanno all’albergo dello zio di Simona. Una serata indimenticabile, secondo Federico. E volevano replicare il divertimento il 5 gennaio, come aveva urlato, ubriaco, Gianfranco appoggiato alla ringhiera che dava sulla scogliera di fronte al terrazzo dell’albergo. Me l’aveva raccontato Simona al telefono.

Io ero rimasto a casa il 31 dicembre. Non me l’ero sentita di trascorrere tutta la serata a sentire Marco raccontare per filo e per segno quello che aveva fatto da giugno a settembre nella casa dei nonni al mare. Piero era andato a una festa di amici suoi della scherma.

Il programma dell’Epifania l’avevo deciso io: con l’auto di mia sorella sarei passato a prenderlo. Prima tappa la pizzeria di Cosimo, poi il cinema a due isolati da lì. A mezzanotte saremmo già stati a casa. Il giorno dopo ci aspettavano i suoi nella loro casa in montagna.

Io e Piero ci conoscevamo da pochi mesi, al nostro primo anno di Giurisprudenza. A dicembre avevamo preparato insieme un esame parziale: lui trenta, io un dignitoso ventiquattro. La vacanza di gennaio sulla neve era un regalo meritato per entrambi. Ma più per me che per lui, dal momento che io non ero mai stato a sciare.

Quella vigilia dell’epifania di trent’anni fa salutai in fretta mia madre, mentre stava terminando di prepararmi la valigia. “Certo che io e tuo padre non abbiamo mai potuto darti vacanze così”. Ricordo che mi arrabbiai con lei. Quale vacanza? Per lei andare a sciare per una settimana era una vacanza? Per la famiglia di Piero era poco più di un week-end. Uscii sbattendo la porta.

Il film fu una barba. Fuori la temperatura era calata in poche ore di dieci gradi. Ci accorgemmo troppo tardi del ghiaccio sull’asfalto. Piero mi stava parlando dei suoi amici della montagna, io ingranavo la quarta. L’auto si girò su stessa e finì la sua corsa venti metri sotto, sulla scogliera.

Ripresi conoscenza quando una torcia illuminò l’abitacolo. “Questo è ancora vivo”.

Stamattina presto nella testa mi sono risuonate queste quattro parole. Era un pezzo che non mi capitava di ripensarci.

Sono le sette e inizio il mio turno. La caposala mi passa le consegne del collega. Farsi bastare poche ore di sonno è una prerogativa di noi medici.

Per me ogni 6 gennaio è l’anniversario di quando la mia vita cambiò di colpo. Epifania è illuminazione che porta improvvisamente a riconsiderare la propria vita: quella notte decisi di cambiare facoltà.

Negli anni ho incontrato tanti Pieri in pronto soccorso. Diversi sono riuscito a salvarli.