Racconto di Maria Letizia Pecoraro

(6 gennaio 2021)

 

 

C’era una volta una principessa bella, come il sole d’estate, come la luna piena, bella da ammutolire chiunque la incontrasse, da incuriosire tantissimo quelli che da lontano ne udivano soltanto favoleggiare.

Viveva in un castello, posto sopra un bel monte, con la foresta intorno a farle da verde corona. Si beava della grande bellezza, ne godeva ogni istante, anche se, a dire il vero, col tempo si era stufata di tanta magnificenza. Tutto sempre brillante, il suo sorriso stampato, niente di interessante da pensare o da fare.

Un giorno girellando per casa, ops, per il castello, scopri un gran baule fermo in un angolo segreto, nascosto chissà da chi. Una novità finalmente!

L’avrebbe gridato ai venti, l’avrebbe detto a chiunque ma… lei era sempre sola, sola con quella bellezza sfolgorante ma inutile.

Aprì risoluta il baule e, udite udite, ne venne fuori la maschera più brutta del pianeta: un naso adunco e porroso, deforme da far paura, pochi capelli grigi a fare da cornice all’espressione più arcigna che avesse mai immaginato. Sul fondo vecchi stracci, anzi a guardare bene erano dei vestiti: brutti, ma proprio brutti, messi insieme per caso, senza eleganza alcuna; poi ancora due scarpe, spaiate, sporche e proprio malconce.

Era ancora sorpresa, la bella tra le belle, pensava e ripensava al come e al perché quel coso fosse finito lì, quando sentì una voce, stridula e catarrosa, venire, non si sa come, dal fondo del baule.

“Togliti la bellezza, mia fanciulla adorata, indossa questi stracci. Coraggio, dai, la bruttezza non è poi così male! Afferra quella ramazza che vedi alle tue spalle, saltaci in groppa e vedrai di cosa sarai capace. Là fuori il mondo aspetta qualcuno che dia doni, qualche rimbrotto burbero, cenere e carbone e qualche dispetto innocente. La gente, giù da questo tuo monte magico, dove vivi isolata crede ancora alle fiabe, se qualcuno ci prova a raccontarle bene, mettendo dentro al buono un poco di spaventoso”

La bella capì all’istante, lasciò cadere al suolo fascino e luccichii, inforcò quella strana scopa e, sghignazzando felice, prese a sfrecciare i cieli nella notte gelata.