Racconto di Valeria Ronsivalle

(19 dicembre 2020)

 

 


Mi aggiro per le strade della mia città, sono qui da prima di Natale, dovevo rimanere per una vacanza, e son rimasta bloccata dalla pandemia.

Accarezzo le strade una a una, cercando di riappropriarmi di ricordi perduti. Di emozioni provate.

Di possibilità non sfruttate.

In un’altra vita… in una vita parallela. Dove tutto è possibile. Persino sentirsi parte di un tutto. Persino sentirsi finalmente in pace.

Persino sentirsi finalmente a casa.

Cammino per la strada principale: i negozi chiusi, in parte dal lockdown le danno un’aria spettrale. Ma per me questo è il posto più bello del mondo.

È qui che è il mio cuore. È qui che è la mia gente. Son qui le persone che amo.

È qui che ho lasciato la parte più vera e intima di me.

È qui che il mio spirito battagliero ha imparato a lottare. A emozionarsi per le piccole cose, a combattere per ciò in cui credo.

La piccola pasionaria dai capelli ricci, si aggira ancora per queste strade, per quei vicoli, furtiva prega sui banchi di quella chiesa.

Come fantasmi mi sfiorano i ricordi, in un’atmosfera a tratti surreale.

Passato, presente e futuro si azzuffano tra loro, mentre un nodo alla gola implacabile mi assale: è quasi finito il tempo, è quasi ora di ritornar su, a breve riapriranno i confini tra le regioni, e la pausa inaspettata finirà.

Accarezzo una a una le vie che non ho fatto in tempo a vivere, e nel frattempo son cambiate. Sfioro con la mia anima i volti dei miei amici e dei miei cari, rubo il calore che mi hanno dato in questi mesi, anche a distanza, ognuno nella sua casa.

Mi libro volando in aria con la fantasia, con la mia polvere di fata. Arrivo fino al Castello, alla Matrice, scivolo giù col pensiero dalla sua scalinata.

Sfioro Santa Barbara, poi Piazza Indipendenza, e infine la strada principale.

Non m’importa se qui non c’è ricchezza, se la povertà la fa da padrona: ho ricevuto più tra i muri di questa città fantasma, che nel posto in cui vivo, in cui i fantasmi sono coloro che ci abitano.

Un giorno mi abituerò, a sentirmi fuori posto, apolide, senza una meta.

Un giorno. Forse…

Ma non ora.

Oggi un urlo muto mi parte dalle viscere e straziante mi assale.

Poi mi affaccio al balcone e guardando l’Etna all’orizzonte ringrazio.

L’amara terra mia che tutto dà e tutto toglie. Ma quando ritorni ti riaccoglie come una madre che non dimentica.

E ti rimette al mondo con la sua forza, che avevi dimenticato di provare.