Racconto di Patrizia Birtolo

(14 dicembre 2020)

 

 

Amo viaggiare in treno, vorrei farlo di più. Dare spazio a ciò che amo è il mio proposito per l’anno nuovo. Per ora mi sottraggo a ciò che non amo: certi inviti.

Se sei single, ti devono invariabilmente coinvolgere in qualche festa. In una sperduta, mal riscaldata casa di montagna, tra un gamberetto e un calice di moscato troverai un campionario di fanciulle – di solito dal bruttino all’inguardabile – speranzosamente agghindate al loro meglio.

Basta. E basta ristoranti dove mangio troppo, male e a caro prezzo; basta locali casinisti, e stavolta basta anche viaggi in capo al mondo.

Mi occorre un impegno preciso e originale per tappar la bocca a tutti.

“Che fai l’ultimo?” indagano con velato sadismo i colleghi man mano che si avvicina la data fatidica. E io: “Capodanno in treno!”

No che non ci vengo a casa vostra, tra bambini urlanti, mogli compassionevoli per la mia condizione di giovanotto libero e solo, suocere intenerite e nonni storditi.

L’ultima tombola con le zie di un collega, l’anno scorso, mi ha stroncato.

Sto viaggiando su un treno del 1930 riadattato per l’occasione. Partenza poco dopo le sette da Lecco, cenone servito da camerieri in abito scuro, mentre, cullati dal dondolio ipnotico delle rotaie, prelibatezza dopo prelibatezza raggiungeremo Mantova prima di mezzanotte. Si brinderà, guarderemo i fuochi in piazza. Poi ancora qui, colazione sul treno e di nuovo a Lecco per le sei e mezza. Sto poco distante dalla città e dal lago, dieci minuti e sarò a casa.

Al cocktail di benvenuto noto lui.

Azzimato, porta gli anni con vero stile. Mi guardavo intorno sperando in qualche bella ragazza tutta sola: l’atmosfera da Orient Express mi ispira parecchio. Ma, curioso di natura, ora voglio dedicarmi al raffinato ottuagenario.

Forse la curiosità è reciproca: qui davanti a me, picchietta la copertina del mio libro delicatamente.

Porto sempre con me un libro. Se una notte d’inverno un viaggiatore pareva adatto alla circostanza. E poi Calvino mi fa sentire al sicuro.

“Gran bel libro” mormora bonario “un bene leggere Calvino senza esservi obbligati.” Sorrido: mi è già simpatico.

“Intendo dire da un insegnante” puntualizza gentile.

“Amo quest’autore” mi vien da dire in maniera banale ma sentita “l’avrà letto anche lei…” lascio cadere nel discorso.

“Ho conosciuto Italo” afferma con naturalezza.

La tartina è lì lì per andarmi di traverso.

“Un grande scrittore, un vero signore. Un cervello di prim’ordine. Ma non c’è bisogno lo dica io.”

“Me ne parli, la prego…”

***

Una serata in un soffio. Siamo allo stesso tavolo, Luigi ed io. Mi delizia tutta la cena con racconti della sua giovinezza. Un alone di mistero lo circonda, dev’essere di ottima famiglia: mai dovuto lavorare, sarà titolato o giù di lì. Ha girato il mondo, amato donne stupende, vinto e dilapidato fortune… Mi sento piccolo così, al tempo stesso baciato dalla sorte. L’anno vecchio si congeda alla grande.

“Stiamo per arrivare!” Guardo incredulo l’ora: il tempo ha corso all’impazzata.

“Allora la saluto. Lieto di averla conosciuta, lei è davvero una persona a modo.”

“E il brindisi, la colazione?” L’idea di perderlo di vista mi abbatte.

“È il mio ultimo viaggio” dice con empatica dolcezza.

“Ma…”

“Non si rattristi. Son troppo vecchio per sobbarcarmi la fatica del ritorno. Quest’atmosfera” si guarda intorno frullando la mano tremolante a indicare l’arredo anni trenta “è la mia atmosfera. Volevo riassaporarla.”

Il treno si arresta, tutti si avviano al vagone guardaroba, lui indossa un elegante cappotto nero e prende dalle mani di un inserviente un bastone da passeggio.

“Mi spiace se ho arrecato disturbo… Mi rammenterò la sua gentilezza.”

Sono basito, non riesco a dirgli altro. Con un pizzico di autentica malinconia lo guardo allontanarsi nella nebbia mantovana cha allaga il marciapiede della stazione.

Ho brindato, ballato. Giochi in piazza, concerti, artisti di strada, ragazze carine e tre nuovi numeri in rubrica: sono felicemente stravolto. Mantova ha donato divertimento a piene mani. Ora, crollato sul sedile del treno, provo a chiudere gli occhi. Come un ciclone entra nello scompartimento lui.

Sì e no cinque anni. Mi corre incontro, si pianta qui davanti e urla

“Ciao!” lo stesso impeto che un adulto userebbe per avvisarmi di un incendio nel vagone.

Sarà figlio di qualche coppia partecipante. All’andata non l’ho visto.

Sgambetta e batte a ritmo le scarpe contro il sedile. Coi piedi non arriva a terra. Attacca:

Gennaio mette ai monti la parrucca, febbraio grandi e piccoli imbacucca…

“La sai tutta?” Esalo con fantozziano stoicismo.

Marzo libera il sol di prigionia, aprile di bei colori orna la via e batte e ribatte coi piedi contro il sedile.

“…”

Maggio vive tra musiche di uccelli, giugno orna i frutti appesi ai ramoscelli…

Mi consolo: siamo a metà del guado.

Luglio falcia le messi al solleone, agosto avaro ansando le ripone… Dicendo “falcia” mima il gesto di fendere l’aria con il braccio come fosse una falce bipenne.

Settembre i dolci grappoli arrubina, ottobre di vendemmia empie le tina…

Ci siamo, fra poco ha finito.

Novembre ammucchia aride foglie in terra…

Tace. Aspetto. Beh? Ho chiuso gli occhi, da agosto in poi, ma adesso ne apro uno.

“E poi?”

Mi scruta, beffardo.

Dicembre ammazza l’anno e lo sotterra sibila sinistro.

Chissà perché sento un brivido lungo la schiena.

“Senti… E la Mamma? Non ti starà cercando?”

Spallucce. Poi, per tutta risposta:

“Hai capito?”

“Sì, bella filastrocca. Non hai sonno?”

“No. Hai capito?”

“Cosa?” comincio a irritarmi, lo ammetto. Il piccolo petulante fa:

“Ho ucciso l’anno vecchio!”

“Eh?”

“Il tuo amico. Quello con cui parlavi prima!”

Spalanco gli occhi. Bella fantasia, però. Come avrà notato me e con chi parlavo? Io di certo ero troppo preso dal mio distinto gentiluomo d’altri tempi.

“Come ti chiami?” voglio dirottare la conversazione.

“Luigi!” Esclama stupito.

“Ah” ho la bocca amara, tutta secca.

“Non mi chiedi niente?”

“Scusa?”

“Chiedimi, dai. Qualsiasi desiderio. Che vorresti?”

Eh, tante cose bimbo mio, sapessi… Vedere posti nuovi, tempo per i libri… Un Noi che finora non c’è stato, non nel senso definitivo e rassicurante che intendevo io… Sospiro.

“Beh?”

“Tu cosa vorresti?”

“Ho già tutto.”

“Ecco io…”

“Tempo scaduto! C’hai messo troppo!”

Che bimbo terribile, sono esausto. Albeggia: il primo giorno dell’anno nuovo. Appena a casa doccia calda e a letto fino a sera.

Mi guarda in tralice. Getta un’occhiata fuori del finestrino.

“Uh, è tardi. Vado. Ho un sacco da fare, io.”

“Non ne dubito!”

Punta l’indice, mi spara, poi mette via la canna del revolver immaginario in tasca. Scende dal sedile con un saltello, se ne va lungo il corridoio.

“Ciao” dico con un misto di sollievo e ingiustificata tenerezza. Alza la mano, saluta senza voltarsi. Apre la porta scorrevole, esce, la richiude. Schiaccia la faccia contro il vetro, fa boccacce. Tiro fuori anch’io la lingua. Riapre di scatto:

“Ehi… Me ne ricorderò! Non sai cosa t’aspetta! L’anno è appena cominciato!”

Correrò i miei rischi. Lo seguo allontanarsi nell’altro scompartimento, un filo d’inquietudine mi serpeggia dentro. Non sia mai abbia davvero ragione lui.