Racconto di Silvio Esposito

(seconda pubblicazione – 9 dicembre 2020)

 

 

 

La filastrocca che amavano cantare quando si ritrovavano era la dimostrazione di quanto il loro legame fosse forte: «Sempre insieme noi siamo e ogni cosa cosa condividiamo, mai nessuno ci dividerà, neanche la morte mai potrà, poiché torneremo e insieme resteremo per sempre.»

Però Laura e Valentina non immaginavano che da grandi la vita avrebbe fatto pagare loro un prezzo altissimo.

Laura non avrebbe voluto alzarsi, ma doveva e, anche se controvoglia, spostò la coperta di lato e si alzò di scatto. Messi i piedi in terra il pavimento era gelato, lei storse il naso rabbrividendo e trovate e calzate le pantofole, come un automa andò nel bagno. Lavato il volto si era poi truccata alla meno peggio, non aveva tempo da perdere, doveva svegliare Andrea, scendere a comprare il latte, preparare la colazione e ogni minuto era contato per lei. Da quando Arturo era diventato un angelo del paradiso non era facile organizzare tutto. E meno male che Valentina le dava una mano non lasciandola mai nelle canne nei momenti di difficoltà. Con la sua amica del cuore aveva condiviso tutto: il giorno del fidanzamento, la perdita della verginità, il matrimonio, e avevano dato alla luce anche due splendidi bambini a distanza di un’ora l’uno dall’altra. Valentina era diventata madre di una bellissima bambina di nome Miryam e lei di un maschietto che aveva chiamato Andrea. Non vivevano insieme e tuttavia il loro legame era così forte che sapevano quando una aveva bisogno dell’altra; per questo erano grate a Dio.

Ora, se lei non voleva fare davvero tardi al lavoro, doveva buttare giù dal letto Andrea ed entrata nella sua cameretta, al vederlo accoccolato stringere a sé la copertina, rise commossa. Anche il piccolo ometto non voleva saperne di alzarsi, ma non poteva lasciarlo in casa da solo.

«Andrea è ora di alzarsi, devi andare a scuola e lo sai che tutto è cronometrato. Se non ti sbrighi la mamma farà tardi e stasera dovrà recuperare. Perciò adesso ti alzi, ti lavi, ti vesti e… no! Non riaddormentarti, ormai sei grande e puoi fare tutto da solo. Io nel frattempo che ti prepari, esco  a comprare i cornetti ripieni al cioccolato, quelli che ti piacciono tanto… Ah, non passare dalla cucina prima di esserti lavato e vestito, faccio in un lampo, al mio ritorno metto su il latte a scaldare così faremo colazione insieme.»

Andrea, però, non ce la faceva proprio ad alzarsi. «Mamma non sto bene oggi, credo di avere la febbre, non me la sento di andare a scuola, mi bruciano gli occhi e sembra che tutto mi giri intorno.»

«Sicuro? Fammi un po’ sentire.»

Poggiata la mano sulla fronte del bambino, scottava. L’inverno appena arrivato aveva portato con sé l’influenza e di certo non poteva mandarlo a scuola in quelle condizioni. E stava per dirglielo che Andrea si era riaddormentato. Lei allora lo coprì delicatamente e, prima di andare, si chinò per baciarlo sulla fronte, la quale scottava molto e la cosa iniziò a preoccuparla non poco.

La febbre si era alzata, troppo e doveva chiamare il pediatra, si era detta. Laura stava per comporre il numero, ma il telefono squillò interrompendola e si chiese chi mai potesse essere a quell’ora. Forse era Valentina, pensò e alzata la cornetta rispose convinta fosse lei: «Ciao, sapevo che eri tu e…»

Con sorpresa la voce dall’altro capo del filo non era quella di Valentina, ma di un uomo, che con un tono freddo e distaccato le disse: «Parlo con la Signora Laura?»

«Sì! Sono io. Cosa posso fare per lei, Signore?» Rispose Laura con un nodo in gola.

«La Signora Laura De Stefanis?»

«Sì sono io… senta! Ora inizia a farmi preoccupare. Cosa vuole da me? Sono Laura De Stefanis… ma questo è il mio cognome da signorina, lei come fa a saperlo?»

«Deve scusarmi Signora De Stefanis. Sono il Dottor Vincenzo Guidoni e le parlo dal pronto soccorso. Vede, io…»

«Come dal pronto soccorso! Cosa è accaduto e a chi? La prego, non mi lasci in sospeso… No! Mio dio, perché proprio lei!» Esclamò confusa Laura sperando non fosse accaduto quello che le era passato alla mente qualche attimo prima.

«Mi lasci finire Signora, non è come pensa. Ma per telefono non posso dirle tutti i dettagli, è necessario che lei mi raggiunga qui. Vede, la signora Valentina Rossi è…»

Laura non lasciò finire il dottore interrompendolo bruscamente. «Ecco! Lo sapevo io che si trattava di lei…»

«La prego, Signora De Stefanis, così rende le cose più difficili. Non è come pensa lei, c’è stato un incidente e la sua amica è rimasta coinvolta. Però non è…»

«Come sta? Si è fatta male? Devo saperlo, altrimenti io…»

«Non m’interrompa sempre! Si calmi e mi lasci finire. La Signora Rossi al momento non è in pericolo di vita… siamo riusciti a stabilizzarla, ma dobbiamo operarla e visto che la sua amica prima di entrare in sala operatoria ha chiesto di vederla è necessario che venga qui al più presto. Se non operiamo entro un paio d’ore c’è il rischio che le cose si complichino.»

«Arrivo subito dottore e… mi dica, il marito la figlia come stanno? Perché so che erano insieme. Tornavano da un viaggio e… non posso crederci che possa essere accaduto.»

«Non posso parlare di cose delicate per telefono, quando mi raggiungerà la informerò di tutto per filo e per segno.»

«Dottore, mi dia il tempo di sistemare alcune faccende, non ci metterò molto.»

Laura non era riuscita a trattenere le lacrime al pensiero che la sua amica Valentina fosse in fin di vita. Ma, No! Si era detta, doveva smetterla di pensare negativo, tutto sarebbe andato per il verso giusto e, tornata in sé, per prima cosa adesso era necessario trovare qualcuno che badasse al piccolo. Pertanto bussò alla vicina, voleva chiederle se poteva accudire per un paio d’ore Andrea. Fatto, la vicina cordialmente accettò e lei, indossato un maglione a giro collo e un paio di jeans, chiamato un taxi salì per recarsi al pronto soccorso.

Alla Triage l’infermiera di turno le disse di attendere in quanto il dottor Guidoni sarebbe arrivato quanto prima per accompagnarla in sala di rianimazione. L’attesa per fortuna non durò molto, altrimenti i pensieri negativi che le passavano per la testa l’avrebbero fatta impazzire. Infatti vide venirle incontro un uomo sulla cinquantina che, arrivato a un passo da lei, si presentò dicendo di essere il dottore con cui aveva conversato al telefono.

«Finalmente ci conosciamo, sono il Dottor Guidoni.» Presentatosi la prese sotto braccio e la scortò fino all’ascensore. Una volta che si chiusero le porte il Dottore le raccontò cosa era successo.

«Signora i suoi amici sono rimasti vittime di un pirata della strada che ha preso in pieno la loro auto… Ecco, sarò schietto con lei, il marito della sua amica non ce l’ha fatta, è morto sul colpo… Mi spiace moltissimo Signora, non abbiamo potuto fare nulla per salvarlo.»

Laura sentì mancare la terra sotto i piedi, e stava per cadere, che il dottore la sorresse per tempo. «Vuole un bicchiere d’acqua, Signora? La prego, ora si sieda, sarà meglio.»

«No, grazie! Sto in piedi. Vada avanti e mi dica di Valentina e la figlia, loro sono salve, vero?»

«Sì! La sua amica è viva… come lo è anche la figlia. La Signora Valentina, però, come le avevo accennato al telefono, deve sottoporsi a un intervento chirurgico: la sua milza si è spappolata con l’urto violentissimo. Il chirurgo e gli anestesisti sono pronti a procedere, quindi lei ora vada a parlare con la sua amica e faccia in fretta.»

«Non mi ha detto della bambina, la piccola come sta?»

«La bambina fortunatamente è rimasta illesa, la mamma l’ha protetta con il suo corpo e… beh, ecco, per quanto riguarda la piccola dovrei dirle una cosa, ma solo se mi giura che per il momento non lo riferirà alla madre. È importante, Signora, per il bene della sua amica.»

«Va bene! Le prometto che non ne farò parola fino a quando la mia amica non si sarà ripresa.»

«Molto bene. Allora ascolti attentamente. La piccola Miryam attualmente si trova in isolamento. Vede, subito dopo l’incidente è stata visitata e siccome aveva la febbre altissima, e non era influenza, dalle ulteriori analisi è risultato che purtroppo è affetta dalla Sindrome di Crisponi. E purtroppo si tratta di una malattia rarissima e invalidante che non può essere curata. In tutto il mondo ne sono rimasti vittime solo sei bambini. Mi spiace dirlo, ma molto presto il corpo della piccola cederà alla malattia e noi non potremo fare nulla per evitarlo.»

Alla notizia il cuore di Laura perse un battito: Andrea e Miryam erano stati insieme al parco l’altro giorno e lei ora doveva sapere. «Dottore, mi dica… questa malattia è trasmissibile?»

«Si spieghi meglio?»

«Glielo chiedo perché ho lasciato a casa mio figlio con la febbre altissima per venire qui da lei pensando fosse influenza. Ma ora che lei mi dice che Miryam e affetta da una malattia incurabile mi chiedevo se potesse averla trasmessa a mio figlio. Lo crede possibile?»

«Lo è, ma non posso dire se suo figlio è rimasto contagiato così su due piedi, non prima d’averlo visitato accuratamente. Quindi dovrebbe tornare a casa e portarlo qui.»

«Quanto tempo ho a disposizione, Dottore? Sa, con il traffico non so se arriverò in tempo.»

«Ha ragione. Facciamo così, intanto che lei parla con la sua amica faccio preparare un’ambulanza che la porterà a casa in men che non si dica. La troverà ad attenderla insieme a un’infermiera non appena avrà finito di parlare con la sua amica.»

Rassicuratasi, Guidoni a questo punto l’accompagnò fino alla porta della camera in cui si trovava Valentina e le lasciò sole.

Un viavai di infermieri si davano da fare attorno al letto su cui si trovava distesa Valentina per prepararla all’operazione. Quando vide in che stato era ridotta a Laura venne da piangere: il volto della sua amica era tutto un livido e se non le avessero detto che era lei non l’avrebbe riconosciuta. Laura si avvicinò titubante al letto, dal volto della sua amica traspariva la sofferenza e lei si sentì male al pensiero di non poter far nulla per alleviargli il dolore. Poi una voce l’aveva fatta sussultare e si voltò guardando dritto negli occhi lo scocciatore.

Anzi, la scocciatrice, era un’infermiera che le disse senza mezzi termini: «Faccia in fretta a dire alla sua amica quello che deve, ancora pochi minuti e non potrà più sentirla.»

Se Valentina aveva richiesto volerle parlare doveva essere importante, pensava Laura che,  avvicinatasi, la chiamò per nome: «Ciao, Valentina. Sono Laura… come stai? Scusa, lo so che questa è una domanda sciocca, ma è l’unica cosa che mi è venuta da dire al momento. Parlami, ti prego, ho bisogno di sentire la tua voce.»

Le labbra di Valentina erano tumefatte così ogni parola che usciva dalla sua bocca era un tormento. «Ciao, Laura, non avrei voluto che tu mi vedessi in questo stato, ma non potevo fare altrimenti. Finalmente sei venuta, per un attimo avevo pensato di non rivederti più, sai. Dove sei stata? Lascia stare… poco importa, ora sei qui ed è quello che conta. Ho chiesto di te perché ho bisogno di sapere come sta la mia bambina… loro mi hanno detto che sta bene, però non me la fanno vedere e io se non la vedo con i miei occhi non ci credo… si è salvata, vero? Ricordo d’averla protetta con il mio corpo dopo l’urto quindi deve essere viva! E mio marito, come sta Giorgio? Perché non è qui con te. Voglio vederlo… anche la mia bambina, voglio vedere entrambi… altrimenti mi lascio morire qui e adesso. Laura devi dirmi la verità. Ricordi, ci siamo promesse che ci saremmo sempre dette tutto senza nasconderci mai nulla.»

«Non preoccuparti, loro stanno bene. I Dottori non volevano che la piccola ti vedesse in questo stato per evitarle un trauma più grande. Per quanto riguarda Giorgio si è fratturato le gambe e quindi ora è immobilizzato su di un letto. L’ho visto prima di venire da te e si è raccomandato di dirti che ti ama tanto. Ha poi aggiunto, sorridendo, di non preoccuparti per lui, ha la pelle dura e non te ne libererai tanto facilmente. Per quanto riguarda Miryam, la piccola sta benissimo e…»

Laura trattenne le lacrime buttando giù il magone e poi riprese. «La vedrai non appena sarà tutto finito. Non devi preoccuparti per lei, durante la vostra convalescenza mi prenderò cura io di Miryam, come se fosse mia figlia. Quindi rilassati, sono entrambi in buone mani.»

Valentina a quelle parole non trattenne le lacrime e, mentre piangeva, disse alla sua amica: «Questo è il motivo per cui ho insistito di vederti. Avevo bisogno di sentire la tua dolce e calda voce rassicurante. Specialmente sentirmi dire che avrai cura di mia figlia nel caso le cose andassero male per me. Su, non fare quella faccia triste, come vedi io non lo sono più. È vero, potrei non tornare, ma sapere che la mia bambina sarà in buone mani non mi fa temere la morte. Promettimelo! Promettimi che la mia bambina non soffrirà mai! Voglio sentirtelo dire. Ti prego, prima che io mi addormenti.»

Laura si sforzò di sorridere e la rassicurò. «Sai che lo avrei fatto ugualmente… comunque, se proprio vuoi sentirlo dire ti accontento. Io, Laura De Stefanis, prometto solennemente di amare Miryam come se fosse mia figlia. Va bene? Ora ti senti meglio?»

Erano venuti a prenderla, ma prima di andare voleva dire ancora una cosa a Valentina. «Lo so che lo avresti fatto anche se non te l’avessi chiesto, tuttavia volevo sentirtelo dire. Devi perdonarmi se te l’ho fatto giurare, ma ho così tanta paura di non farcela che era indispensabile lo facessi. Scusa, ho un’ultima preghiera da farti, ti andrebbe di cantare con me la nostra filastrocca, te ne sarei infinitamente grata.»

«Ma certo! Insieme, allora.»

Accostate le mani, presero a batterle con quel ritmo cadenzato che sempre accompagnava le  loro parole: «Sempre insieme noi siamo e ogni cosa cosa condividiamo, mai nessuno ci dividerà, neanche la morte mai potrà, poiché torneremo e insieme resteremo per sempre.»

«Grazie Laura, per tutto quello che hai fatto, fai, e farai ancora per me.»

«Ma che dici, sciocca! Sembra un addio il tuo… Grazie a te invece, per tutto quello che mi hai dato e continui a darmi.»

Ormai Valentina si era addormentata e non l’aveva sentita.

Adesso Laura doveva correre da Andrea, aveva in cuor suo un brutto presentimento: che fosse questo il loro destino? Pensò con il magone che le saliva in gola. Perché avevano condiviso sempre tutto, e se anche questa volta… ma no, si diceva! Il destino non poteva essere così crudele con loro. E ora capiva il significato delle parole che le aveva detto un signore una volta, dopo avere ascoltato la loro filastrocca. Il quale le aveva detto che la felicità non sarebbe durata per sempre, prima o poi la vita avrebbe presentato loro il conto. Ma se così dovevano andare le cose, allora perché doveva prendersi la vita dei bambini e non la loro? Perché quella dei figli? Perché il destino doveva portare via loro, ciò che amavano più di ogni altra cosa al mondo?

Con quel dilemma nella testa Laura era arrivata alla triage, dove questa volta venne accolta da una signora con un camice bianco che le disse: «Lei deve essere la Signora De Stefanis se non vado errato. È così, vero? Dalla descrizione fatta dal Dottor Guidoni non ci sono dubbi. Io sono la Dottoressa Del Gatto, Guidoni mi ha spiegato tutto sul suo caso, quindi se vuole seguirmi un’ambulanza ci attende.»

Salite sull’ambulanza, l’autista era partito a sirene spiegate così che tempo dieci minuti erano arrivati. La Dottoressa aveva portato con sé due infermieri per aiutarla a imbracare Andrea, che non appena entrarono nella cameretta udirono una donna, era la vicina, che cantava al bambino una sorta di ninna nanna. Cantilena che però non serviva, Andrea ormai era entrato in coma, questo aveva annunziato la Dottoressa appena lo aveva visto e, rivolta alla madre, annunciò con un tono di voce fermo e deciso: «Il piccolo durante l’assenza della madre ha aperto gli occhi e l’ha cercata?»

«No! Ha dormito tutto il tempo ed è strano. Di solito i miei quando hanno la febbre tenerli a letto immobili è sempre un problema.»

Laura quando sentì che Andrea era in coma urlò tutto il suo sgomento. «Noooo. Non può essere. Stamane stava bene e ora e lì steso come un…» La parola cadavere, Laura non era proprio riuscita a dirla.

Intanto che lei piangeva, gli infermieri si prodigavano nell’imbracare il bambino. Quando ebbero finito, la Dottoressa rivolse a Laura un sorriso affettuoso per poi comunicarle che erano pronti ad andare. «Non abbia timore signora, il suo bambino si riprenderà presto, vedrà, il Dottor Guidoni è un luminare in questo genere di malattie.»

Arrivati a destinazione, ad accoglierli c’era proprio Guidoni, ma non era solo, una donna molto carina che non poteva avere più di trent’anni gli faceva compagnia. La donna si presentò a Laura stringendole la mano energicamente. «Sono la Dottoressa Amelia Marchesi e sono specializzata in genetica. Io e il Dottor Guidoni ci prenderemo cura del suo figliolo Signora, come già stiamo facendo con la piccola Miryam.»

Dopo aver parlato con la Dottoressa, Guidoni prese sottobraccio Laura e la scortò fino a una sala vuota e asettica, là dove dopo averla fatta accomodare le aveva detto quello che una madre non avrebbe mai voluto sentirsi dire. «Ecco… Vede Signora, non so proprio da dove iniziare… Quindi ora mi ascolti senza interrompere, è già difficile così figuriamoci se lei interviene prima che io abbia finito. Come le dicevo al telefono, Miryam è affetta dalla Sindrome di Cresponi, una malattia, purtroppo, per la quale non esistono cure specifiche. Adesso viene il peggio, perché sentita la Dottoressa Marchesi, che ha prestato le prime cure al suo figliolo, mi ha riferito che l’ha contratta anche lui. Ecco, il vero problema di questa malattia non è che è incurabile, ma che le grandi case farmaceutiche tenuto conto dei pochi casi finora accertati nel mondo, solo sei attualmente, non investiranno mai soldi per trovare una cura.»

«Come non lo faranno? Allora lei mi sta dicendo che mio figlio e Miryam moriranno?»

«No! Ecco, a dire il vero non è proprio così che andrà a finire. Perché una cura ci sarebbe. Deve sapere che un team di biologi indipendenti ha trovato per caso una molecola che potrebbe cambiare tutto. Certo, la cura è ancora in via sperimentale… questo per farle comprendere che non ci sono certezze sull’esito della guarigione, ma vede…»

«Lo sapevo, c’è sempre un ma… e quale sarebbe, Dottore? Sentiamo cosa vuole propormi il destino questa volta.»

Guidoni non sapeva come dirlo. Il tempo, però, era tiranno e doveva trovare un modo di addolcire la pillola.

«Mi creda, non avrei mai voluto dirle quello che sto per dire. Ma devo… La cura è per un solo soggetto! Ecco, l’ho detto.»

Questa volta la lacrima scese dal volto del Dottore. Anche perché Laura non ne aveva più.

«Quindi sta a voi due decidere, parlo di lei e della signora Valentina, naturalmente. Quando la sua amica si riprenderà dall’intervento ne parlerete e mi farete sapere la vostra decisione. Altrimenti decideremo noi con un sorteggio: il nome che sortirà avrà la cura e si salverà. So che quello che le sto chiedendo di fare va al di là del concepibile, ma è l’unica possibilità… Anche se dal punto di vista deontologico potrà sembrare orrenda. Non c’è altro modo, mi spiace Signora, davvero e…»

Il cellulare squillò così che il Dottore lasciò riflettere Laura che, bianca come un cadavere, guardava il pavimento mentre ripeteva tra sé la filastrocca per farsi coraggio. «Sempre insieme noi siamo e ogni cosa cosa condividiamo, mai nessuno ci dividerà, neanche la morte mai potrà, poiché torneremo e insieme resteremo per sempre.»

Finita la conversazione, Guidoni tornò da lei con una faccia che non prometteva nulla di buono. Laura era sicura che lui stava per darle un’altra brutta notizia, e purtroppo così era.

«Mi spiace, ma devo darle una notizia che non le piacerà affatto. Durante l’operazione la sua amica ha avuto un’emorragia interna ed è entrata in coma… ma non si allarmi, non è irreversibile. Tuttavia non sanno quando ne uscirà con esattezza, può essere un giorno quanto un mese e…»

Meno male, pensò Laura, non sarebbe spettata solo a lei la decisione. «Molto bene dottore, allora non appena uscirà dal coma io e Valentina decideremo sulla sorte dei nostri figli.»

«Questo è impossibile! Forse lei non ha capito. La sua amica potrebbe svegliarsi domani, come tra dieci giorni o addirittura un anno e noi non abbiamo tutto questo tempo. Sono costernato, ma dovrà farla lei la scelta, e anche in fretta.»

«Come io, non può chiedermi questo, Dottore. Come posso decidere così su due piedi chi vive e chi muore! Questo compito spetterebbe a Dio e solo a Lui… Non di certo a una persona insignificante come me! Chi sono io per arrogarmi il diritto di farlo.»

«Lo so, Signora e condivido il suo pensiero. Però se non lo farà lei saremo costretti a farlo noi e, mi creda, sarà peggio di quanto immagina. È vero che lei non è Dio, ma saprebbe che è stata lei e non il destino a decidere sulla vita dei bambini, specialmente del suo. Faccia pure con calma… ma se vuole un consiglio, salvi suo figlio, perché non se lo perdonerà mai! Amare il prossimo è solo retorica spicciola. Faccia la scelta giusta, Signora, la prego.»

Laura arrossì per la rabbia e poi sbottò. «Lo crede veramente, Dottore? Crede veramente che amare incondizionatamente sia solo della mera retorica? Non è così e glielo dimostrerò. Io e Valentina ci conosciamo da quando eravamo bambine, sa. Abbiamo condiviso sempre tutto insieme: dal fidanzamento alla nascita dei nostri figli ed è per questo che io la amo più che a me stessa. Darei la mia vita per salvare Valentina. Stessa cosa farebbe Valentina per me e lei ora mi chiede di lasciare morire sua figlia? Giammai! Non permetterò che ciò avvenga! Sa, Dottore, Valentina prima di entrare in sala operatoria mi ha chiesto di badare alla sua bambina. E sa cosa le ho risposto? Ebbene, le ho promesso che l’avrei fatto a costo della mia vita. Pertanto, ora che mi trovo a dover decidere anche per lei non mi rimangerò la parola data, retoricamente parlando, Dottore! Non so quando la mia amica si risveglierà dal coma, è vero, ma quando lo farà, e ne sono certa, come potrei dirle che ho sacrificato la vita di sua figlia per salvare quella del mio bambino? Come potrei guardarla in volto e continuare a crescere mio figlio con questo rimorso? E ancora, quando Andrea sarà grande cosa mi direbbe sapendo che lui è vivo perché io ho scelto di sacrificare la sua amica Miryam? E poi sono sicura che Valentina al mio posto farebbe la stessa cosa. Lo sa, Dottore, è stato Dio che mi ha portato a questo bivio, vuole vedere quanto io sia disposta a perdere. Detto questo, sono giunta alla mia scelta, Dottore: la cura andrà a Miryam e mio figlio da lassù saprà perdonarmi. Io l’ho già fatto e anche Dio lo farà, perché Lui sa cosa vuol dire amare incondizionatamente. Grazie di tutto dottore, e ora la prego, mi lasci andare da mio figlio, voglio restargli accanto fino a quando giungerà il momento. Ah, quando Miryam sarà guarita la prenderò con me, sono io la responsabile della sua felicità e devo accudirla fino a quando la sua mamma non verrà a riprendersela.»

La cura aveva avuto successo e il peggio per Miryam era passato. Laura aveva fatto in modo che la piccola non sentisse la mancanza della madre per tre lunghi anni e, quando finalmente Valentina uscì dal coma, alla notizia ne rimase entusiasta: aveva mantenuto la promessa fatta, la figlia della sua amica era sana e felice, così come lei le aveva chiesto.

Durante la riabilitazione di Valentina i Dottori le avevano detto che il marito era venuto a mancare e lei non l’aveva presa bene, ma quando le dissero che la figlia era in ottima salute si  rincuorò: aveva ancora uno scopo per vivere.

Laura non vedeva l’ora di mostrare a Valentina come era diventata la figlia, una ragazza bellissima e, tra qualche anno, sarebbe stata un vero schianto così che Valentina avrebbe dovuto tenere a bada molti pretendenti. Laura aveva chiesto espressamente ai Dottori di non dire alla sua amica della scelta che aveva dovuto fare, non voleva lei lo sapesse, il cuore della sua amica alla notizia non avrebbe retto al dolore.

Così quando Laura le presentò la figlia, Valentina prima di ringraziarla per tutto quello che aveva fatto le chiese dove fosse il suo figliolo. E fu allora che Laura mentì una seconda volta, le disse che Andrea era andato in vacanza con gli amici e che quando sarebbe tornato non avrebbe creduto ai suoi occhi per quanto era diventato grande e bello. Dopodiché l’aveva abbracciata forte e, posta la mano di Miryam in quella della madre, dai loro sguardi capì di aver fatto la scelta giusta e rise lasciandole alla loro felicità di essersi ritrovate.

Dopo due settimane trovarono Laura esanime accanto alla tomba di suo figlio Andrea. Seduta, con la schiena poggiata alla lapide, come sempre aveva fatto negli ultimi tre anni. Questa volta, però, aveva in mano una boccettina di Valium, vuota, aveva ingerito tutto il contenuto.

Coloro che l’avevano trovata avevano detto che sembrava sognasse, aggiungendo che doveva essere un bellissimo sogno: poiché sul volto di Laura c’era il sorriso più bello che avessero mai visto. Era come quello di una madre che osserva in silenzio il proprio figlio orgogliosa. Altri, invece, avevano detto che doveva avere visto Dio prima di esalare l’ultimo respiro, e forse era, chissà.

Passati otto anni Valentina seguì la sua amica. L’avevano trovata riversa sulla tomba di Laura e aveva detto, qualcuno, che dopotutto quello era il loro destino e la filastrocca che amavano cantare ne era una testimonianza.

Passato il dolore per la morte della madre, Miryam si sposò e dall’unione nacque una figlia, che chiamò Laura: la madre le aveva raccontato tutto ed era il minimo che lei potesse fare per rendere onore alla sua amica.

Voi ora mi direte, ma non dovevano stare sempre insieme Laura e Valentina? Ebbene, un giorno, per puro caso, Miryam aveva sentito la figlia dire a una sua amica, il cui nome stranamente era Valentina, che non si sarebbero lasciate mai e che avrebbero condiviso tutto, nel bene e nel male. Ma non era finita lì, perché la filastrocca che presero a cantare per suggellare il patto con sua meraviglia era la stessa che cantavano la madre e la sua amica Valentina: «Sempre insieme noi siamo e ogni cosa cosa condividiamo, mai nessuno ci dividerà, neanche la morte mai potrà, poiché torneremo e insieme resteremo per sempre.»

Laura e Valentina erano tornate, la vita aveva dato loro un’altra possibilità e Miryam, a guardarle cantare, le si riempì il cuore di gioia e pianse.