Racconto di Massimo Cardellini

(Prima pubblicazione)

 

 

Era senza dubbio una giornata asimmetrica.

 

Se lo sentiva. Ne era certo. Anzi, sicuro.

Non era in fondo la prima volta che gli accadeva. Oramai cominciava a capirlo prima che esse facessero irruzione nelle sue tranquillissime giornate.

Non ci faceva, quasi, più caso. Non che la cosa gli dispiacesse, anzi…, alla lunga finiva con l’appassionarsi al loro verificarsi per via di quel non so che di strano, di profondo, anche di poesia che esse manifestavano a modo loro.

Eh sì! era proprio una giornata asimmetrica.

Oramai non aveva più dubbi. Non sapeva cosa di preciso gli accadeva quando cominciava a presentirle. Però, qualcosa doveva esserci, per forza… Quando ne avrebbe avuto la prima conferma, chissà? Tempo dieci minuti, sentenziò mentalmente.

Proprio così, era decisamente una giornata di quelle asimmetriche. Almeno così le chiamava lui.

Se le altre erano sempre uguali a se stesse, allora esse non potevano che essere simmetriche. Quelle anomale invece, a cui andava incontro sempre più raramente, come le avrebbe dovute chiamare se non asimmetriche, visto che asimmetrico era il termine opposto a simmetrico?

Certo, avrebbe potuto dar loro anche un altro nome, ma lui le aveva chiamate così forse perché qualche tempo prima aveva sentito oppure letto qualcosa circa i due termini opposti e per quanto ne avesse potuto capire, le due parole gli erano piaciute. Ma comunque si volessero chiamare quelle giornate, aveva deciso che quello era il loro giusto appellativo.

Avrebbe potuto chiamarle «diverse», aveva pensato di farlo infatti, ma non stava bene. Quella era una grande parolaccia, per quanto ne sapeva lui. Neanche a lui glielo dicevano più ormai… Evitava di pronunciarla sempre anche quando usarla era magari pertinente. Non si sa mai…. I rimproveri gli facevano molto male e lui cercava di evitarli sempre, per quanto piccoli potessero essere quando erano rivolti a lui. Mentre camminava, anche se quella era una giornata diversa, cioè no, asimmetrica, molti lo salutavano e lui come sempre, educatamente, come era solito fare ricambiava calorosamente.

La luce, ecco cosa poteva essere. Sì, c’era qualcosa nella luce del giorno che la rendeva insolita. Come dire…? era più, ecco, sì, più… opaca! sì, opaca! Eppure quando ciò capitava c’era sempre un gran bel sole nel cielo di un bel blu cupo e privo di nuvole. C’era qualcosa nella luce, proprio così. Come mai se ne accorgeva soltanto ora!?

Si sentiva proprio bene quando una giornata asimmetrica stava per sopraggiungere. Avrebbe potuto fare qualunque cosa, volendo anche di male, ma lui non era certo il tipo, anche se nessuno se ne sarebbe mai accorto. Bisogna dire che aveva ancora un po’ paura di esse, anche se non se ne sapeva spiegare il motivo perché quando una giornata asimmetrica stava per accadere, beh, le cose avevano tutta un’altra come dire… logica, eh, sì! E allora non si sa mai…

Meglio non reagire, comportarsi come se nulla fosse e poi sarebbe tutto passato. Cioè tutto sarebbe tornato alla normalità, come si dice. Non che lui ci vedesse tanta differenza, perché le giornate simmetriche o asimmetriche che fossero erano per lui sempre estremamente complicate. Però le asimmetriche le trovava come dire…, beh, diciamo incredibili, e perché no, belle! eh sì, proprio di un bello da morire, belle e soprattutto vere, più di quelle simmetriche, altro che!

Tra la folla anonima e frettolosa che si stava recando al lavoro quella mattina, un giovane si parò all’improvviso di fronte a una giovane e con il volto di un angelo le disse, con il cuore pieno di una passione che avrebbe potuto uccidere una persona qualsiasi ma non lui: «Signorina, è da tanto che faccio di tutto per farmi notare da lei. Ma lei neanche mi vede. Mi evita. Volevo dirle che io senza di lei non posso più…».

Ma la signorina, una giovane donna di una bellezza rara e altera che aveva appena compiuto i venti anni, udite quelle parole, interruppe la confessione del ragazzo dal volto d’angelo e ponendo le sue delicate dita sulle sue labbra e, con il più grande dei dolori che un essere umano non avrebbe potuto sopportare, ma non lei, disse: «Oh, se mi sono accorta di te…. Di te so tutto, credimi, e anche se non ci parleremo mai, né mai ci conosceremo, sappi, e questa è cosa vera, che io non ti merito. Sono troppo presa dalla mia condizione che amo più di me stessa e di ogni altra cosa al mondo e, anche se so che con te sarei stata la donna più felice di tutti i tempi, ti farei soltanto del male, e alla fine arriverei a odiarti e a fare quanto mi è possibile per distruggerti e questa sarebbe la mia sola e unica preoccupazione sin quando non ti avessi annientato. Credimi. Mi conosco».

La bellezza del giovane dal volto d’angelo sfiorì allora in una smorfia di titanico dolore, chinò il capo, e ritornò a farsi inghiottire dalla folla da cui era emerso poco prima. E così la giovane. Nessuno dei passanti aveva mostrato di essersi accorto di quell’insolito incontro e di quello strano dialogo. Ognuno aveva proseguito per la propria strada ignaro di quanto accaduto.

Aveva visto giusto anche con i tempi, ormai stava diventando un vero esperto di giornate asimmetriche. Per forza, anche uno come lui… dagli e dagli ci sarebbe arrivato… Era stato proprio bello. Aveva sentito proprio i brividi lungo la schiena a quelle parole e le lacrime gli si erano affiorate agli occhi. Quant’è profonda la verità, e quant’è bella e terribile. Peccato che gli altri non riescano a vedere e udire nulla, persino i soggetti coinvolti negli episodi che le giornate asimmetriche sembravano scegliere.

Lentamente riprese a dirigersi verso la stazione ferroviaria distante soltanto cinquecento metri, senza che accadesse nulla di asimmetrico. Alla stazione molti di quelli che erano lì presenti lo salutarono cordialmente. Lui salutò anche questi con calore, gioia e affetto. Salutare i conoscenti era per lui una delle più belle cose che gli potesse capitare durante la giornata. Era anzi, quasi la principale delle sue occupazioni e preoccupazioni.

Prese posto, come al solito, in un vagone per non fumatori, anche se in quelli per fumatori vi erano ugualmente persone simpatiche e degne di saluto. Il fumo però faceva male e poi puzzava molto e gli mozzava il respiro, e per di più così gli era stato detto di fare e lui di certo non era una persona a cui piacesse disubbidire alle raccomandazioni soprattutto se provenivano da persone che amava o rispettava. Come al solito, dopo la partenza del convoglio osservò con interesse, quasi estasiato, il paesaggio che si snodava sempre diverso e mai noioso, spettacolo che non sarebbe mai riuscito a stancarlo e, anzi, che lo aiutava invece a rilassarsi, ammesso che uno come lui ne avesse bisogno.

Poco distante da lui, due persone un po’ attempate, come accadeva spesso sui treni, presero a conversare tanto per far passare il tempo. E dopo aver tanto parlato del tempo, di sesso, sport, e fatto qualche accenno a quella cosa che proprio sapeva non gli sarebbe mai entrata in testa e che non capiva cosa fosse e che veniva chiamata politica, uno dei due si fece di colpo serio in volto mentre l’altro ammutolì e si irrigidì.

Un pesante silenzio cadde sull’intero scompartimento, e dopo un po’ il primo disse: «Non è vero, sai, che ci sta bene da pensionato. Ti senti solo, specialmente con te stesso, non sai cosa fare e quel poco che fai non ti soddisfa. Ripensi alla vita che hai buttato via, a tutte le stupidaggini che hai fatto sino a ieri e ancora continui a fare. Soprattutto al nulla che hai lasciato alle spalle. E a quello in cui ti ritrovi prigioniero ora, non intravedi che quello in cui sprofonderai tra poco, con tutta la consapevolezza di aver sprecato l’unico vero dono che avevi, e niente di ciò che hai o che hai fatto ti è di consolazione. Per fortuna non ne sono cosciente che a tratti altrimenti sarei già impazzito o mi sarei ammazzato da tempo».

L’altro anziano, che non doveva essere stata che una conoscenza occasionale, aveva il volto rigato da un pianto silente e si mostrava incapace di dirgli qualsiasi cosa per il grande groppo che aveva in gola e che quasi lo soffocava. Allora, allungandogli un braccio sulla spalla, gliela scosse lievemente in segno di profonda empatia e, dopo aver tratto un lungo sospiro con cui sembrò riprendersi un poco, proferì dei suoni bassi e in un certo modo cupi, in una lingua o sonorità che non erano mai state di questo mondo, ma di una musicalità così arcana e apportatrice di una quiete tale che avrebbe placato il più turbato degli animi. E, infatti, l’uomo che aveva parlato per primo sembrò tranquillizzarsi di colpo, guardò con riconoscenza la persona che aveva di fronte, sorridendogli con gratitudine mentre i suoi tratti si distesero.

Una terza persona molto anziana anch’essa, che durante tutto il tempo non aveva fatto altro che dormire, a questo punto aprì lentamente gli occhi, scrutò il vuoto a lungo e poi disse, estremamente turbato in un soffio di voce: «Oh Eterno, come può l’universo intero, contenere tutto questo dolore?».

Poi, di colpo la luce strana andò via, la conversazione riprese dal punto in cui era stata interrotta: gli stessi argomenti, gli stessi luoghi comuni, lo stesso vuoto.

Era ormai arrivato. Dieci minuti di treno erano davvero pochi osservò anche questa volta. Che peccato! Ci avrebbe passato delle giornate intere in treno… Anche da solo… Era così bello viaggiare in treno! Sceso dal vagone, si diresse verso l’uscita, e da lì camminando sempre con passo regolare, il solo che avesse, varcò dopo circa una decina di minuti l’entrata di uno piccolo stabilimento salutato da tutti coloro che si trovavano nei paraggi e che lui ricambiò a uno a uno specificando il loro nome nel salutarli calorosamente, tranne il portiere che salutò di un ampio cenno del braccio e con un sorriso ancor più grande. A lui, chissà perché, voleva ancora più bene. Lo vedeva come un sorvegliante. Poi scomparve all’interno di un ampio capannone.

Un tizio in tuta blu si avvicinò allora al portiere per chiedergli: «Allora come sta andando il mongolo?».

«Zitto, per carità se ti sente il capo officina sono guai, neanche i sindacati potrebbero salvarti! Per non parlare di quelle…» e qui il portiere prese il tizio per una spalla, avvicinò la propria bocca all’orecchio come se volesse morderglielo mentre invece pronunciò una parola potentemente oscena, “…dell’Associazione Down, che ti prenderebbero e ti…” e qui, il portiere continuò con un’altra serie di notevoli oscenità a sfondo sessuale.

I due proruppero, allora, in una fragorosa e lunghissima risata mozzafiato, tanto da piegarsi in due e lacrimare copiosamente.

«No, va tutto bene ormai,» disse il portiere al tizio in tuta blu quando si fu un po’ ripreso. «Si è ambientato subito lui. Gli altri invece…. Ti devo dire che anche io…, all’inizio…. Beh, mi faceva una certa impressione… E chi li aveva mai visti prima? Sono molto affettuosi invece, sai? Magari tanti di quelli che dicono di essere normali…

Peccato che le giornate asimmetriche durassero così poco.