Racconto di Maria Claudia Cappellotto

(Seconda pubblicazione)

 

 

La notte dormiva con una vestaglia di seta, i capelli lunghi e pettinati, la pelle profumata ai fiori di ciliegio. La mattina si svegliava un’ora prima per cucinare i pasti — rigorosamente equilibrati con il giusto dosaggio di proteine, carboidrati, fibre, sale e grassi — che poi riponeva in vaschette di vetro riscaldabili in microonde. Scriveva su etichette: Marco, gluten free; Luisa, vegan; Pietro, senza grassi. Mentre preparava la colazione beveva una tisana detossinante e ascoltava un podcast, di solito sulla psicologia positiva. Quando li udiva scendere le scale, spegneva l’audio e rispondeva con un sorriso ai ‘Giorno, ma’ e ai Ciao, mamma. Pietro scendeva sempre tardi. Dormiva fino all’ultimo e usciva di casa di fretta, con un tintinnio di chiavi, la cravatta mal posta, la valigetta semiaperta e un saluto sbadigliato, pigro e lontano. Per se stessa dedicava soltanto quindici minuti. Li dosava: due minuti per lavarsi i denti, cinque per la doccia, tre per cambiarsi, cinque per truccarsi. Portava i figli a scuola nella macchina pregna del silenzio di due adolescenti chini sui cellulari. Notava la gonna corta di Luisa e il suo nuovo piercing al naso; osservava Marco, il taglio a cespuglio sulla testa, il tatuaggio al collo, le unghie smaltate. Li lasciava testare, provare, conoscersi. Quando avevano compiuto quattordici anni aveva insegnato loro l’uso dei profilattici e della pillola. Luisa aveva ammesso di essere bisessuale o pansessuale, ancora non ne era certa. In quanto a Marco, lui era chiuso nel suo mondo virtuale, nei suoi anime e manga. Una volta era entrata di nascosto nella sua stanza — perché il figlio non voleva si varcasse la soglia del suo mondo-camera — e aveva notato la libreria priva di polvere coi libri e i fumetti catalogati per genere. Era incappata nel sadomaso. Aveva sfogliato le pagine osservando i disegni, la spiegazione fin troppo tecnica dell’uso delle corde intorno al corpo, il piacere del dominante e del dominato. E si era sorpresa nel trovare la cosa interessante. Non ne aveva parlato poi, con lui. Due gemelli, due giovani adulti ormai, pensava mentre li vedeva varcare il cancello del liceo. Nel tragitto che la portò a lavoro selezionò un altro podcast e ripeté ad alta voce: Günaydın, bir kahve lütfen. Parole. Soddisfazione nel riuscire a porre la bocca nella giusta posizione per pronunciare la u con dieresi. S’impegnava. Lavorava. E non pensava.

Quando la sera arrivò a casa trovò il marito stravaccato sul divano con i vestiti del mattino ancora indosso e stazzonati. In realtà, tutto di lui le pareva come sgualcito, stropicciato, sfatto.

“I ragazzi sono di sopra, hanno già mangiato”.

Non distolse nemmeno lo sguardo dal televisore. Avrebbero potuto vivere lo stesso giorno senza accorgersene. Nulla cambiava nella loro relazione se non lo scandire del sesso settimanale.

“E tu, hai mangiato?”, chiese la moglie.

“Sì, mi sono fermato allo steakhouse”.

Steakhouse, ossia carne, burro, patate fritte, salse e birra. Avrebbe voluto parlargli della sua salute, del suo colesterolo, tuttavia tacque. Quante volte ne avevano già discusso? Se voleva morire, che morisse. Però, soltanto nel pensarle, si sentì in colpa. Cercò di richiamare la nuova frase in turco appresa quella mattina. Non ci riuscì. L’incessante sensazione di una sorta di stonatura, errore o bug nella sua vita, tornò. Ogni volta cercava di esorcizzarla dedicandosi a loro: figli e marito. Quella, però, tornava inesorabile. Lo lasciò lì e s’incamminò su per le scale verso la stanza. Era giovedì. Non aveva voglia di fare sesso, se poteva intendersi come sesso l’atto di stendersi e aspettare che lui finisse. Da quando era divenuto tutto così? In corridoio udì la risata di Luisa attraverso la porta della sua camera. Parlava al cellulare.

“Giulia è troppo figa! Domani le chiedo di uscire, chissà, magari riesco a farmela”.

Si stupì nel constatare la sicurezza della figlia. Alla sua età lei era così timida che non avrebbe mai avuto il coraggio di chiedere a qualcuno di uscire, men che meno a una ragazza. Aveva accettato il primo corteggiatore, Pietro, e poi si era sposata. Le cose fatte come devono essere fatte, avrebbe detto sua madre, fosse stata viva. Aveva fame. Fame di vita. Desiderava sentire, provare, sbagliare. Entrò in camera e poi si chiuse in bagno a chiave. Si spogliò. Fece sgorgare l’acqua nella vasca, buttò sali e bagnoschiuma e poi s’immerse nel liquido caldo. Fabrizio, il suo collega, aveva dieci anni in meno di lei e un fisico allenato. Sorrideva con gli occhi e quando ti ascoltava ti guardava la bocca attento a ogni singola parola pronunciata. Iniziò a sospirare e udire i propri gemiti. Quante volte aveva desiderato baciarlo. Immaginò di fare l’amore con lui. Respirò gemendo nel piacere liberatorio. Il suo corpo sentiva, lei era viva; ma allora perché con Pietro non?

Il giorno doveva partire per Istanbul. Viaggio di lavoro, con Fabrizio. L’aveva percepita, la sensazione, quel tasto on tra loro due. Aveva dieci anni in meno di lei, si ripeteva. Non poteva, si ripeteva. Basta flirtare con lui, si ammoniva. Rimase immersa nell’acqua nella pace del proprio corpo molle e soddisfatto. Mangiare, dormire e fare sesso. Le tre necessità degli esseri viventi. A un tratto, lo udì. Pietro aprì la porta della camera con passi pesanti, corse verso il bagno e abbassò la maniglia.

“Ti sei chiusa dentro?”

Fece la domanda con tono sconvolto, come se prendersi il proprio spazio fosse contrario ai dettami delle leggi imposte nello stato-casa.

Non faccio sesso oggi, avrebbe voluto rispondere. Rimase, però, in silenzio. Si alzò, si sciacquò il sapone dal corpo, si avvolse nell’asciugamano e aprì la porta.

“Sembra ci sia la nebbia qui”, borbottò.

L’uomo abbassò i pantaloni e le mutande, sedette sul water e iniziò con mugugni di sollievo a liberare gli intestini. Lei aprì la finestra e poi chiuse la porta dietro di sé. Da quando Pietro era diventato così? Si guardò allo specchio, tolse l’asciugamano e osservò il proprio corpo tonico frutto di diete, esercizi in palestra, creme rassodanti ed elasticizzanti e anti-smagliature e anti-cellulite e anti-buccia d’arancia e anti-tutto. Fu proprio in quel momento che successe. Le mancò il respiro. L’asciugamano cadde. Lei cadde. Tutto cadde. Si trovò accosciata a terra con la mano sullo specchio. Fissava il suo riflesso senza riconoscere la donna che aveva di fronte. I suoi occhi blu (li aveva sempre avuti così limpidi e luminosi?), quelle labbra carnose che qualsiasi giovane donna avrebbe voluto avere, quei capelli neri e lunghi gocciolanti sul seno pieno.

Che cosa sto facendo?, si chiese.

Nel frattempo Pietro tirava lo sciacquone, si spogliava, buttava i vestiti nel cesto della biancheria, entrava nella doccia, si strofinava e grattava, il tutto con sbuffi e borbottii continui. Quando entrò in stanza la trovò a letto, intenta a leggere un libro sotto la luce soffusa dell’abat-jour. Lei lo osservò attraverso gli occhiali da lettura con uno sguardo che mai gli aveva rivolto.

“Oggi niente sesso, Pietro, non ne ho proprio voglia”.

Il marito restò fermo con la bocca aperta in un’espressione di stupore mista a imbarazzo e disagio. Infine rispose con un “mhmm”, prese il pigiama da sotto il cuscino, diede le spalle alla moglie e si cambiò. Lei impostò la sveglia alle sette del mattino invece che alle sei. Se Luisa è abbastanza grande per sapere chi è, se Marco è abbastanza grande per poter esplorare le proprie fantasie sessuali, se suo marito ha deciso di lasciarsi andare, allora sarebbero stati tutti in grado di arrangiarsi per il pranzo. L’indomani si sarebbe recata in centro per comprare della lingerie. Reggiseni e mutandine in tulle, trasparenti, color pelle, che mostrano tutto. Poi avrebbe fatto la valigia e sarebbe partita con Fabrizio per Istanbul. Sentì il materasso abbassarsi sotto il peso di Pietro. Sorrise. Fabrizio. Istanbul. Poggiò il libro e gli occhiali sul comodino. E spense la luce.