Racconto di Vanni Gianluigi Bettega

(Seconda pubblicazione – 6 gennaio 2019)

 

La sponda destra dell’Adda, in Valtellina, è chiamata la costa di Cek mentre quella di sinistra la costa di Marok. Questo in riferimento alle antiche dominazioni che sull’Adda trovavano confine. In particolare la costa di Cek fa riferimento a Ceccobeppe e gli abitanti in prevalenza hanno caratteristiche nordiche, spesso biondi con occhi chiari. La costa di Marok fa riferimento alle dominazioni ispaniche, in prevalenza gli abitanti sono spesso più mediterranei, capelli e occhi scuri. Noi a Corenno Plinio, sulla sponda est del lago, facciamo idealmente parte del prolungamento della costa dei Marok, per cui anche mio papà aveva occhi neri e capelli corvini: quando mamma lo vezzeggiava lo chiamava il suo “ bel terun “ e Renzo “terunscel”, ragion per cui per me il termine terrone non aveva alcuna accezione dispregiativa: anzi!!

Esisteva in paese un signore chiamato Mario Napoli, di origine napoletana. Si era integrato perfettamente e aveva sposato la più bella del paese, tanto bella che posò diverse volte per pittori come Cesare Monti e finanche per Carlo Carrà, quando quest’ultimo, in tempo di guerra trovò rifugio a casa del Monti.  Mario parlava perfettamente il nostro dialetto, padroneggiava la U lombarda tanto che per chiamare dalla finestra la figlia più piccola Letizia, s’affacciava e urlava “ Tuuuuuuuzzzzz “ con la u rigorosamente lombarda che sembrava la sirena del battello Patria! Mio papà invece s’affacciava alla finestra, infilava indici e medi ai lati della bocca e ne traeva un fischio tale quale a quello di una locomotiva! Quando sentivamo la locomotiva, subito a casa!

Successe, eravamo nel 1955, che arrivarono in paese dei parenti di Mario. Arrivavano da Napoli con una vespa 125 faro basso, superaccessoriata con antenne, fregi cromati, sellino posteriore con schienalino laterale per l’amazzone, coprimozzi cromatissimi finanche per la ruota di scorta, la quale era montata rigorosamente dietro il sellino. Mi incantavo a sentirli parlare, mi colpiva la fluidità e la musicalità del loro linguaggio. Tant’è che un giorno a scuola, la maestra, esordì: – Chi di voi sa in quale città si parla la vera lingua italiana? – Alzai subito la mano: Napoli, ovviamente! Ci rimasi davvero male quando mi disse che no, quella città è Firenze!