Racconto di Debora Donadel

(Prima pubblicazione – 17 marzo 2021)

 

 

 

Leggo troppo. Penso troppo.

Dormo poco e male. Faccio degli incubi terribili o sogni assurdi in cui, inevitabilmente, mi arrabbio con qualcuno.

Perdo tempo.

All’improvviso mi viene la smania di cucinare, lo faccio per ore, cucino tutto ciò che riesco con quello che ho in casa. Chi mi conosce sa che, inspiegabilmente, nonostante la mia attitudine al disordine e alla distrazione, cucino piuttosto bene. Alcune cose meglio di altre, ovvio; ci sono dei miei piatti che sono quelli che familiari e amici chiedono a gran voce nelle occasioni conviviali: le lasagne, le polpette col sugo, la pasta allo scoglio, le capesante gratinate…Troppo facile, niente di tutto questo, o meglio, tutto questo e molto di più. Per esempio… È noto che i dolci non sono proprio la mia specialità, escono anche buoni, ma assolutamente inguardabili: lievitati a vulcano, crudi al centro, bruciacchiati sopra…Hai voglia a dar la colpa al forno…Una volta, in uno di quei programmi di sfide tra pasticceri, è stato detto che la pasticceria è rigorosa disciplina, servono ordine, dosi precise, seguire alla lettera le ricette…Ecco, forse è per quello che non mi riesce proprio di risolverla, la questione dei dolci.

Poi c’è la storia della mia fantomatica torta al cioccolato, preparata su per giù a fine anni novanta, per non so quale occasione, e riuscita così male ma soprattutto così dura, che leggenda narra che sbattuta con violenza a terra, abbia rotto le piastrelle. Non è vero, lo dico da allora, ma nessuno mi crede, e, anche i miei figli, che, all’epoca dei fatti, non erano ancora neanche pensieri, continuano a raccontare questa storia quando il mio nome viene accompagnato alle parole torta e cioccolato.

Beh, durante la quarantena, ne ho fatte due di torte al cioccolato, e… erano buone, soffici ed avevano un aspetto decente!

Resta il fatto che leggo troppo. Penso troppo. Perdo tempo.

Ma lo sto veramente perdendo?

C’è stato un momento, qualche anno fa, quando i ragazzi erano entrambi arrivati a un’età in cui potevi lasciarli a casa da soli senza il timore che incendiassero qualcosa o che morissero di fame, c’è stato un momento, in cui ho realizzato che là fuori, la vita era continuata: concerti, aperitivi, cinema, feste…

“Ho perso tutto!”, continuavo a dirmi e l’angoscia mi ha assalita, perché il tempo era trascorso e io non me ne ero accorta, perché tutti avevano vissuto; e io no. Questa sensazione era amplificata dall’impossibilità di riprendere subito in mano tutto quello che vedevo lì, alla portata degli occhi, finalmente spalancati in uno stupore ingenuo e allo stesso tempo triste. Perché la malattia e la morte mi ansimavano sul collo, anzi, passeggiavano al mio fianco, queste bastarde. E ho usato tutte le mie energie, anche quelle che avrei dovuto destinare ai miei figli, al mio matrimonio, alla mia casa, alle mie torte al cioccolato, per scacciarle il più possibile lontano. Ma loro non hanno mollato di un centimetro, si sono prese i miei genitori e continuano a guardare da vicino la nostra famiglia con l’alito pesante e l’aspetto lugubre e minaccioso.

Per provare a riprendermi un po’ di quello che avevo perso e che non riuscivo a ritrovare, mi sono rimessa a scrivere. Terapia. Necessità.

O perdita di tempo?

Chi definisce l’impiego del tempo? Chi scrive le leggi del suo riempimento, chi sentenzia se è stato perso o no? Chi decide che dobbiamo per forza riempirlo? Esiste un tempo vuoto? O anche quando si pensa a cose inutili, quando ti chiedono “A cosa stai pensando?” e tu non sai rispondere e loro credono chissà cosa e invece stai solo considerando che quella casa che stai guardando ti sarebbe piaciuta rosa e non arancio… cose così, inutili…Ecco, in quei momenti lì, il tempo è vuoto o pieno?

Generalmente, universalmente, tutti ti diranno che se arrivi a fine della giornata e non hai prodotto nulla di “visibile agli occhi” hai perso tutto il tuo tempo. La casa è ancora in disordine, il lavoro è rimasto accumulato sulla scrivania, la pila di roba da stirare si è alzata addirittura un po’…

Non si vede mica ciò che hai letto o pensato. Oh certo, puoi dirlo, ma sarà bollato lo stesso come tempo perso, sicuramente. Perché non è così che si riempie il tempo, quelle occupazioni le devi relegare nel tempo libero. Ma libero da cosa?

Insomma, lo ripeto: leggo troppo, penso troppo. Perdo tempo.

Sarebbe bello concludere con un “E me ne frego.” Eh sì, ci starebbe proprio bene. Ma se veramente non me ne importasse, non avrei scritto tutte queste parole qui, non avrei cercato di mettere in fila i pensieri, che tanto non mi riesce mai, sgarrano sempre, sono soldatini indisciplinati, si distraggono al primo batter d’ali, perdono il passo e spesso anche il senso e la direzione.

Insomma se non me ne fosse fregato niente, non avrei perso tempo.