Racconto di Doris Bellomusto

(Quarta pubblicazione)

 

 

 

 

Ho gli occhi neri della notte e so guardare le ombre. Non ho timore degli abissi, so scivolarci dentro, risalire in superficie a respirare l’aria che qui non c’è. Non faccio altro che andare, spingermi in avanti e attraversare questo spazio immobile, giorno e notte, senza tregua. Voglio un paio di gambe e terra ferma da attraversare.

Rinunciare alle gambe è stato un grande sacrificio, una metamorfosi brutale, ma necessaria. Riavrò le mie gambe quando saprò dove andare, per adesso, devo affrontare gli abissi alla cieca, affidandomi solo al mio istinto. In superficie è più facile orientarsi, ma da qui non si distinguono le direzioni e ogni scelta è una scommessa insensata e casuale

Sono sola, come tutti e, come tutti, mi muovo continuamente o resto sospesa a mezz’aria per riposare e poi ricominciare a vorticare. Ho rinunciato alle mie gambe per il timore di correre troppo lontana dalla mia vita, non volevo andare altrove da me e ho pensato che diventare una creatura d’acqua e silenzio potesse essere una via di fuga, una fuga necessaria, che mi allontana da una terra fertile, ma sempre tremante sotto i miei piedi, una terra sconosciuta alle mappe geografiche, si chiama realtà, è abitata da donne e uomini adulti, qualche vecchio, nessun bambino.

Sono fuggita in un giorno di sole per rifugiarmi qui e assumere questa forma ibrida. È bastato immaginarmi così per non riconoscere nient’altro che questa dimensione liquida e confusa.

Il mio sguardo non distingue più il contorno esatto delle cose, i miei occhi non vedono, bevono e bruciano. La mia bocca chiusa continua a pensare parole mute, i capelli si lasciano amare, i movinenti della mia coda disegnano segreti che non so decifrare.

Dicono che io sia una sirena, potrei cantare e incantare, ma non ho capito se è questo il mio destino. Forse, non ho bisogno di incanti e neppure di incantesimi, forse ho solo bisogno di liete presenze.

Dicono che passerà Ulisse e sarà mio compito ammaliarlo e consegnarlo all’ira di Poseidone, dicono così, ma io non sono certa che andrà così. Forse non canterò, mi riposerò a mezz’aria e seguirò le tracce disperse della sua umana presenza per tornare alla realtà e riavere le mie gambe.

Senza gambe non posso scegliere niente e resterò inchiodata a questa irreale dimensione, ho bisogno di riemergere, respirare, rivedere le cose per come realmente sono. Seguirò Ulisse, sott’acqua, nascosta, non perderò di vista la rotta di un uomo scaltro, che sa dove andare, perché sa perdersi e ritrovarsi. Forse si meraviglierà del mio mancato canto, dell’incanto perduto, forse non ci farà caso. L’unica mia certezza è questa incerta attesa, questa necessità di ritrovare una rotta, una terra ferma che mi restituisca le mie gambe e mi insegni a correre forte e camminare piano.

 

 

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