Racconto di Roberta Arneodo

(Prima pubblicazione)

 

C’è un sentiero che arriva dritto al comune di Montemale salendo tra boschi di castagni e muretti a secco le cui rovine assomigliano sempre di più a macerie. È così a portata di mano che viene da chiedersi perché in pochi lo frequentino.

Piccoli segnavia di colore verde, con al centro un sole allo Zenit, offrono una sponda, fanno da timone, perché, si sa, nel bosco ci si può perdere, tanto sui sentieri quanto dentro a sé stessi. Rimane la delusione ad ogni bivio di non poter andare da entrambe le parti, ma questa è un’altra storia.

C’è un ordine cosmico perfetto nel sottobosco, l’armonia che si percepisce tra pezzi eterogenei. Una pace ricca e vivente. Una vita sottostante che si risveglia, così come in noi si risveglia il ricordo di quella camicia sistemata con cura nell’armadio, a fine settembre. Ogni elemento ha il proprio posto, sa tenere il proprio posto. Così gli anemoni, le allegre ed esuberanti pervinche, le calme e misurate felci. Ai margini le fragoline di bosco. Sempre ai bordi, loro. Solo in certi spazi vuoti, aperti, neutrali tutto è ancora possibile e allora aspettano, questi spazi, ardentemente o disperatamente di essere colonizzati, ma sono pochi.

A terra le foglie stropicciate e i ricci delle castagne ricordano che c’è stato l’autunno. Il frullo d’ali degli uccelli, per un attimo, interrompe il ritmo silenzioso dei passi. Qualcuno ha raccontato di aver sentito proprio qui l’ululato atavico del lupo, ma nessuno in realtà lo ha mai visto.

Giù lungo la strada comunale, quando il profilo del bosco è ormai alle spalle, aggrappato ad una ringhiera che ha il colore della ruggine, un glicine sfiora un lillà tra il desiderio e il senso di colpa. Per quanto tempo potranno guardarsi negli occhi?

Ma anche questa è un’altra storia