Racconto di Rose Madonia

(Prima pubblicazione)

 

 

 

Campo di papaveri, sorriso.

Campo di papaveri, sorriso.

Lara scrutava dal finestrino del treno, come se volesse afferrare casepersonenuvole, ma solo il carminio di quei fiori lampeggianti riusciva a provocarle una reazione sensoriale, un sorriso.

Pavlov, giusto? Un suono può anticipare un piacere, un colore sollecitare un ricordo, un profumo prevedere un incontro.

E una canzone accompagnarti per il viaggio.

Campo di papaveri, i lucci argentati. Campo di papaveri, lascia che il vento ti passi un po’ addosso. Campo di papaveri, con le stagioni a passo di giava. Cresciuta a pane e De André, così rispondeva a chi le chiedeva dei suoi gusti musicali.

Appena le giornate lo consentivano, papà se la metteva sulle spalle, un soldino di tre, quattro anni, che da lassù dominava le vallate intorno al torrente e cantava, senza quasi capirne il senso, tutto il repertorio del cantautore genovese.

Dall’alto i campi assumevano colori uniformi, sembravano radunare le tifoserie di squadre sportive: i giallorossi, i viola, i granata, i bianco celeste, i rosanero. Lara si stordiva tra le tinte accecanti e quasi perdeva il senso dello spazio, l’equilibrio. Solo le mani ferme e decise di papà la riportavano alla concretezza del sentiero ombroso.

-Voglio camminare un po’, adesso, mettimi giù.-

Non camminava, in realtà. Saltellava scattava, si fermava, correva. Si chinava ad osservare e accarezzare steli e petali. Un grillo, ecco cos’era. E faceva un sacco di domande e si faceva raccontare i miti e le leggende.

Narciso, nato dall’abbraccio tra una ninfa e il dio delle acque, che non avrebbe dovuto conoscere se stesso, pena la morte.

-E morì, papà?-

-Sì, Lara, morì quando scoprì di essere meraviglioso-

Poi l’asfodelo, il fiore degli Inferi, l’orchidea fantasma (Cresce solo qui, sai, e può nascondersi sottoterra per anni prima di decidere a chi mostrarsi. Lo vedi, stavolta ha scelto noi.)

Quei ricordi che ancora avevano voce e passi, pelle e odore, le scorrevano sotto le palpebre che andavano piano chiudendosi. Li assaporava uno a uno. Li fissava nella memoria, sarebbero stati il suo nutrimento di sollievo e di leggerezza per i prossimi mesi. Un paio d’ore ancora e sarebbe rientrata nella città senza sole e senza volto, intrappolata in un tailleur, a cercare papaveri ribelli lungo i marciapiedi.