Racconto di Felicia Buonomo

(Prima pubblicazione)

 

C. ha una corporatura che lo avvicina all’idea di un armadio umano: quadrato, ma molliccio, dal grasso che fuoriesce dalla sua umanità.
È molto acclamato, con quel suo fare brillante, dedito alla boria. Fa parte di una cricca ambita, quel sotto sistema che ha avuto la fortuna di essere finito sotto l’ala di uno dei capi più in vista all’interno dell’ecosistema lavorativo, benché molto criticato all’esterno.
Ogni mattina percorro otto piani, prima di arrivare nello spazio di lavoro che condividiamo, dove bisogna sempre guardarsi le spalle e sperare che C. non sia troppo in forma per fare i suoi tipici teatrini da animatore turistico.
«Dovresti cambiare taglio di capelli. E anche quegli occhiali, sembri uno sfigato», dice C., assicurandosi di avere una platea in ascolto. La platea tace nelle parole, è rumorosa nelle risate.
C’è un grande chiacchiericcio al termine degli otto piani che ci ha visti condividere le giornate di lavoro. L’incredulità è il sentimento tipico dei puri, o dei colpevoli, lo devo aver pensato un attimo prima, immaginando la scena. C., tuttavia, pensa al giorno dopo.

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