Racconto di Rosanna Carletti

(Prima pubblicazione – 25 gennaio 2021)

 

 

Toc… toc…

Sara si desta al rumore sordo, stropiccia gli occhi e tende le orecchie.

Comincia così questa nostra storia un po’ strana ma piena d’amore.

Sara, seduta sulla sedia di vimini, un po’ traballante, l’odore acre dell’umidità, si guarda attorno, non è impaurita solo stupita, riconosce l’ambiente, la cantina dei nonni, si chiede: ”Cosa faccio qua? Come ci sono arrivata?”

L’ambiente è avvolto dalla penombra, un raggio di sole penetra dalle inferriate che chiudono la piccola finestrella che si apre su un marciapiede a pari della strada, rompe l’oscurità e lascia entrare una scia di pulviscolo.

Sara osserva attraverso la grata, vede solo gambe che si muovono frettolose in strada, giungono rumori ovattati.

Toc… toc…

Il cestone di vimini sopra alla stufa dai cerchi arrugginiti pare abbia un sussulto, si muove, si ferma e ancora si muove, si rovescia, cade sul pavimento in cemento grezzo, rotola di un breve tratto, incredula Sara osserva.

“Ahia… che male” una vocina si sente sussurrare.

Dal mucchio di oggetti che escono dalla cesta un fermento si leva e alcuni gridolini di dolore si fanno sentire.

Un braccio si allunga, una gambetta si stira, e lentamente prendono forma i gingilli.

Un mucchietto di stracci si muove, una bambola vestita di cenci, boccoli di lana colore del sole arruffati, escono dalla cuffietta di pizzo, le coprono il pallido viso, è senza un occhio e dalla fossetta esce paglia inscurita, l’altro occhio è una biglia dai colori del cielo, la bocca è rosea, il naso schiacciato, le sopracciglia appena abbozzate, qualche lentiggine sparsa qua e là sulle gote sbiadite, ha le “ossa” rotte, ma vuol farsi sentire, a tentoni si divincola dal mucchio informe.

Seguendo il suo esempio alcuni soldatini, diverse le divise, nel petto lo stesso orgoglio, si mettono in fila ubbidendo a un comando che hanno chiuso nel cuore.

Chi è senza testa, chi senza una gamba, ma tutti impazienti di uscire alla luce.

Sara li guarda stupita, ascolta le voci confuse, poi chiede:

“Chi siete? Da dove venite?”

La bambola, che pian piano era salita sulle ginocchia di Sara, prende coraggio e comincia a raccontare: “Io sono Luce, la bambola di Maria. Lei mi cullava e mi pettinava. Sono stata sua amica, sua sorella, la sua compagna nelle lunghe notti invernali. Mi raccontava le sue amarezze, i suoi primi amori. Tanti anni trascorsi ad ascoltare i suoi segreti e farmi coccolare.

Poi era scoppiata la guerra. Un trambusto, uno scoppio, la gente fuggiva. Maria scappava ma in un lampo tornava, mi prendeva per mano, mi tirava e trascinava mentre sua mamma disperata urlava: “Maria, corri, fai presto”.

Il rifugio era un tugurio, la gente pigiata, chi piangeva, chi pregava, io stretta al suo petto le facevo coraggio.

Una notte correndo mi aveva persa per strada.

Maria era disperata, si era divincolata dalla mano della mamma e nella moltitudine di folla si era fatta largo, era riuscita a trovarmi. Ero stata calpestata, ero sporca, emaciata, avevo perso un occhio, mi aveva raccolta e stretta al petto, pareva che il mio dolore lo vivesse nel suo cuore.

Una vita insieme, Maria era cresciuta, io ero sempre presente a farle compagnia seduta in poltrona nella sua cameretta, l’ultimo saluto della giornata era dedicato a me: “Notte, Luce, a domani”.

Un soldatino vuole parlare, dire la sua, si fa largo tra gli altri.

“Noi siamo stati i compagni di Gino, con noi aveva trascorso le sue giornate più belle.

Gino giocava alla guerra, due eserciti schierati l’un contro l’altro armati e alla fine dello scontro ci riponeva in una scatola di legno, tutti assieme stretti stretti aspettavamo con gioia il sorgere del nuovo dì, per ritornare in battaglia e tenere compagnia a Gino.

Anche lui, al suono della sirena, correva nel rifugio, la scatola di legno sotto braccio, correva a più non posso. Al rifugio aveva conosciuto una bimba della sua età.

Una bimba taciturna, impaurita dagli scoppi, si teneva stretta al cuore una bambola di pezza.

Gino si era affezionato a quella sua coetanea, se dapprima la sbirciava nascondendosi tra le pieghe della gonna della mamma, di volta in volta si era fatto coraggio e piano piano era riuscito a farsi notare. Apriva la scatoletta, prendeva uno di noi, ci mostrava alla bambina che curiosa ci guardava.

Lei gli faceva vedere la sua bambolina e pian piano avevano fatto amicizia”.

Sara voleva sapere, conoscere la storia.

Come mai erano rinchiusi tutti in quel cestone?

Luce allora le aveva raccontato che, finita la guerra, la famiglia di Maria si era trasferita in un altro paese e per alcuni anni i due bambini si erano persi di vista.

“Noi soldatini, in fila sulla mensola nella camera da letto di Gino, lo osservavamo, le scriveva lettere d’amore, le chiudeva con un bacio, un sospiro e gli occhi languidi, poi apriva la nostra scatola di legno e la lettera giaceva lì assieme alle altre.”

Luce intervenne: “Anche Maria scriveva lettere d’amore, che riponeva nel cassettone, a volte mi parlava e raccontava il suo struggente amore per quel ragazzo”.

Si erano ritrovati da ragazzini e avevano stretto l’antica amicizia, ognuno di loro nutriva qualcosa di più e confidavano alla penna i loro sentimenti.

Un giorno Gino aveva preso coraggio e si era fatto avanti, sperava che anche Maria nutrisse gli stessi suoi sentimenti.

Maria non si era fatta scappare l’occasione e alla dichiarazione d’amore aveva risposto con un bacio.

Era nata così la loro storia d’amore.

Maria ad un loro incontro aveva portato un pacchettino legato da un nastrino di raso rosso e lo aveva regalato a Gino; alcuni giorni dopo il ragazzo aveva fatto la stessa cosa, aveva consegnato a Maria un pacchetto avvolto in un fazzolettino di filo ricamato a mano.

Si erano consegnati le loro struggenti lettere d’amore, che testimoniavano il loro legame seppur solo affidato all’inchiostro.

Uno squillo, un tramestio, Sara sobbalza, sbadiglia, la mamma chiama: ”Sara, è ora di alzarsi, forza, sveglia, tra un’ora si va a Messa”.

La bambina si guarda attorno, è nella sua cameretta, allora era un sogno.

Un impulso la guida, corre giù per le scale e scivola in cantina.

La stufa è ancora lì e sopra c’è il cesto, vicino la seggiola di vimini impolverata, sale in piedi sulla sedia malferma, traballante, con fatica apre il cestone e ne estrae una bambolina di pezza dai capelli color del sole: “Luce!” esclama, accanto alla bambolina alcuni soldatini di piombo.

Raccoglie i giochi e ancora di corsa sale le scale.

Bussa a una porta, la apre.

La nonna dorme, ha il viso sereno, quella notte l’aveva trascorsa tranquilla, la malattia che le mina la mente la fa apparire a volte come una bimba indifesa.

I suoi ricordi sono vaghi, offuscati dal tempo e dai dispiaceri.

Al fruscio dei passi di Sara, la nonna si desta e la bambina contenta le porge i balocchi: “Guarda, nonna, cosa ho trovato”.

Maria allunga un braccio, con la mano tremante afferra Luce, la guarda, le aggiusta i capelli e la porta al petto, poi prende i soldatini e sillaba: “Gi-no” e una lacrima le scende lungo le guance.

Antichi balocchi di una vita lontana.