Racconto di Mike Papa

(Prima pubblicazione)

 

 

Guardo l’uomo canuto davanti a me e penso che da quando ho memoria i miei non hanno mai perso occasione per ripetere il loro consiglio di vita numero uno: «Dai retta al nonno. Lui ha esperienza, sa tutto.»
Adesso che il vecchio mi ha strappato da loro e portato lontano li maledico mille volte per non essere riusciti a impedirlo.
E perché non sono ancora tornati a prendermi.
«Andiamo, dobbiamo muoverci, è l’alba» dice il nonno. Anzi, lo ordina. Lui non ”dice”, abbaia i suoi ordini, sicuro che gli obbedirò.
Ha ragione. Cos’altro potrei fare?
Riempio la bisaccia con i viveri, le borracce con l’acqua.
Poi prendo lo zaino con le poche cose che mi appartengono, il pupazzetto di Hulk, il libro di quarta… Lui intanto schioda le assi con cui la sera prima ha sbarrato la porta.
Ogni volta che entriamo in una delle case ormai disabitate a me piace fare un giro per capire chi ci viveva, le loro usanze, scoprire piccoli indizi di vita quotidiana, studiare le foto poste sulle mensole impolverate…
Lui non ha queste sensibilità, lui la prima cosa che fa è procurarsi assi per sbarrare porte e finestre. Rompe tavoli, sedie, letti… I chiodi e il martello li conserva gelosamente in uno scomparto del suo zaino, come reliquie sacre.
Lo so che bisogna farlo, ma la cosa mi infastidisce lo stesso.
Dopo che il rito è compiuto lui non si muove dalla postazione che si è scelto, di solito davanti all’entrata, la balestra in grembo, attento.
Io preparo da mangiare, a volte un piatto fresco, se trovo un frigo ancora in funzione con qualcosa di commestibile, altrimenti attingo alle scorte della bisaccia.
Lui non si accorge neanche di quello che mette in bocca, degli sforzi che faccio per offrirgli più di qualche scatoletta di tonno e un barattolo di ceci. Per dare a tutto una parvenza di normalità.
Di familiarità.
Dopo cena restiamo in silenzio, finché il sonno non mi sconfigge.
Una volta, i primi tempi, in una casa alla periferia di Firenze abbiamo trovato un camino enorme.
Io mi sono immaginato noi due che chiacchieravamo davanti al fuoco, lui che mi raccontava le sue avventure. Le esperienze che l’avevano portato a ”sapere tutto”.
Non me lo ha neanche fatto accendere, il camino.
«Il fuoco fa fumo, saremmo troppo visibili.»
Un filo di fumo nella notte? Lì ho cominciato a capire che voleva a tutti i costi contrariarmi, per un suo sadico piacere.
Lì ho cominciato a odiarlo sul serio.
Siamo pronti, adesso latrerà le solite parole.
«Stammi dietro.»
Esce guardingo, lentamente.
Ormai è quasi certo che i Curvi sono predatori notturni, ma a lui quel ”quasi” basta e avanza per essere prudente in modo asfissiante.
Solo una volta, all’inizio, ne abbiamo incontrato un gruppetto di cinque che vagava di giorno.
Il nonno li ha uccisi con la balestra, cinque colpi precisi, da lontano.
«Dove hai imparato a tirare?» gli ho chiesto.
«In guerra» mi ha risposto mentre recuperava le frecce dalle teste dei Curvi.
Mi aspettavo che mi raccontasse qualcosa in più, ma niente, il solito mutismo.
Affanculo.
Stiamo andando verso sud, così ha deciso lui.
«Almeno laggiù fa più caldo» è la sua giustificazione.
Camminiamo da settimane, questo sud sembra così lontano. E non sento affatto più caldo, anzi, più passano i giorni più un’aria gelida mi avvolge come una coperta.
Ma non fuori. Dentro.
Evitiamo le strade, sempre per il suo eccesso di prudenza, complicandoci la vita seguendo mulattiere e sentieri in mezzo ai boschi. Come se la nostra vita non fosse già abbastanza difficile.
Dopo qualche ora ci fermiamo a riposare in una radura baciata dal sole.
A me viene subito sonno, il tepore, la stanchezza… Poggio la testa sullo zaino e chiudo gli occhi.
Lui sembra non dormire mai, non essere mai stanco, nonostante l’età.
Un rumore di rami secchi mi sveglia. Lui è già con la balestra puntata verso il bosco vicino.
Due Curvi escono allo scoperto con la loro strana andatura, piegati su se stessi. Una coppia. Guardo meglio, sono mamma e papà. Sono tornati a prendermi.
Al nonno non interessa chi sono, se ne frega se quella è sua figlia. Vedo il dito che si contrae sul grilletto. No, stavolta no, stavolta non glielo lascerò fare. Prendo il martello-reliquia dal suo zaino, lo colpisco alla nuca. I capelli bianchi si tingono di sangue. Cade al suolo.
Io corro verso i miei, felice.
Loro finalmente si cibano di me. La coperta di gelo si scioglie.

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