Racconto di Anna Rita Liscio

(Prima pubblicazione)

 

 

Avevo un occhio azzurro e uno marrone, coperto per metà da una palpebra calante. Le narici larghe: ci sarebbe potuto entrare il manico di una scopa e la deviazione del setto, faceva sembrare il naso deforme, come se fosse stato uno strumento musicale martoriato da un errore di fabbrica. Le labbra inesistenti si facevano notare di più delle orecchie, vistosamente a sventola. I capelli radi, untuosi, crespi. Le sopracciglia piuttosto folte, disordinate, quasi a formare un unico arco cespuglioso. Un vero cesso. Lo avevo già capito dall’asilo, perché i bambini non avevano peli sulla lingua. Dicevano quello che pensavano con una tale naturalezza da disarmare persino un kamikaze. Alle elementari quindi ero già abituata agli sguardi curiosi, di scherno, persino di disgusto. Nessuno voleva sedersi accanto a me, per questo la maestra ci faceva cambiare posto a rotazione. Non ho mai avuto una compagna di banco stabile. Mi sono mancate le amiche. Ci ho provato a invitarne qualcuna di pomeriggio a casa, ma ogni volta c’era una scusa diversa, il dentista, il nuoto, il catechismo e alla fine ci rinunciai. Mamma e papà mi volevano un bene viscerale. Il dramma era che loro erano di bell’aspetto. Lineamenti e fisici perfetti. Occhi limpidi, color azzurro cielo, come l’unico occhio che mi funzionava. Fossi stata meno brutta, avrei puntato sul carattere. Mia madre, con il suo nasino diritto, gli occhi dalle ciglia folte e le labbra sinuose, cercava di tranquillizzarmi.
– L’aspetto non è tutto.
– Non è vero. È la prima cosa che si nota. E l’unica che si ricorda.
– Si possono ricordare tante altre cose di una persona. Il suo modo di essere. Le azioni. Le grandi persone che hanno fatto la storia non erano tutte di bell’aspetto.
– Io non voglio cambiare la storia. Voglio essere invisibile. Non voglio più essere guardata.
Avrei voluto soltanto un decimo della sua bellezza. O essere insipida senza alcun tratto degno di nota.
Quando vidi quel ragazzo sulla spiaggia, non capii più nulla. Era a due postazioni più avanti e sedeva sulla sdraio, con le cuffie ed un capellino. Portavo degli enormi occhiali da sole e potevo osservarlo senza essere vista. Non saprei dire cosa mi attraeva, forse il fisico asciutto e la carnagione olivastra. I capelli ondulati, portati all’indietro, il profilo regolare, le labbra carnose; non ero mai stata attratta così fino ad allora. I miei interessamenti verso l’altro sesso si limitavano a sguardi non ricambiati, a batticuori taciuti, a rinunce già dalla partenza. Non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Non so dove trovai il coraggio di chiedere alla mia vicina di ombrellone, che lo conosceva, il suo numero di telefono e a digitarlo iniziando una conversazione. Finsi di aver sbagliato e attaccai bottone. Iniziammo a parlare del più e del meno. Discorremmo per ore. Per interi pomeriggi. Ci raccontammo le nostre giornate, i passatempi, i sogni. Quella al mare era stata la sua ultima volta, il giorno successivo era tornato nella sua città. Quando mi chiese di incontraci avevo già preso la mia decisione. Ero stanca degli specchi. Il mio viso riflesso mi disgustava.
Mi versai l’acido sulla faccia di getto. Percepii un bruciore indescrivibile. Chiamai disperata i miei genitori e uscii urlando dal bagno. Durante la corsa in ospedale, dentro di me, non sentivo più nulla. Ero vuota. Assente.
Ottenni ciò che avevo programmato. Ero finalmente cieca. L’occhio azzurro percepiva solo luci ed ombre. Non avrei più sostenuto gli sguardi. Mi sarebbero bastati i ricordi. Avrei vissuto attraverso gli altri sensi. E ciò mi sarebbe bastato.
Mi ci vollero mesi per abituarmi. Sentivo Loris tutti i giorni. Chiedeva insistentemente un appuntamento.
Alla fine cedetti. Era inutile continuare quella farsa.
– Lara, io devo confessarti una cosa che non ti ho detto.
– Anch’io Loris, quando ci incontreremo lo noterai.
– Non sarà possibile perché non vedo. Sono cieco dalla nascita.
Lasciai scivolare il telefono, mentre il mio corpo tremava tutto.