Racconto di Simona Volpe

(Prima pubblicazione)

 

“Die Toten reiten schnell”

Lenore, G.A. Bürger

 

Aveva iniziato da poco a nevicare. Era felice. La neve le piaceva moltissimo. Incollando il nasino alla finestra, rimase a fissare i fiocchi che cadevano silenziosi. Anche Mimì, la gatta di casa, sembrava contenta, acciambellata accanto alla sua padroncina.

“La porto fuori lo stesso?”

Si girò verso Anna, la sua tata, con un visino speranzoso.

“Ma sì, è solo un po’ di nevischio” rispose Ada, la domestica, con i suoi modi spicci, continuando a riordinare le tazze nel mobile del soggiorno. “E poi lo sai che i suoi genitori sono fissati con lo stare all’aria aperta.”

Anna iniziò svogliatamente a prepararsi; la bambina la raggiunse raggiante di gioia quando la vide prendere il suo cappottino e il cappellino di lana.

Uscirono. Sara diede giudiziosamente la manina alla tata mentre camminava sotto l’ombrello insieme a lei. Stava attenta a non mettere i piedini dentro le pozzanghere; non aveva alcuna voglia che Anna alzasse la voce per rimproverarla. Quando arrivarono, aveva già smesso di nevicare; in terra, uno strato di cristalli soffici e bianchi donava un’atmosfera prematuramente invernale alla piazza.

“È iniziato presto quest’anno”

“Bisognerà ricominciare a spalare. Ho già mal di schiena al solo pensarci.”

“Speriamo non nevichi così tanto come l’anno scorso!”

La bambina si guardò intorno contenta ma frastornata dal vociare intorno a lei: non capiva perché tutti quegli adulti si lamentassero della neve. Era così bella! Osservò estasiata quel candido manto venato di rosa dai pallidi raggi del sole morente.

“Vuoi fare un giro sulla giostra?”

Sara annuì. Sotto il baldacchino finemente decorato in blu e oro, quei cavallini di tanti colori la aspettavano impazienti. Si sedette a cavalcioni di uno azzurro con gli zoccoli argentati.

“Tieniti forte!” le gridò Anna, mentre la giostra iniziava a girare.

Sara si concentrò sul suo intrepido cavallino, che immaginava galoppare nel cielo; ogni tanto si voltava a cercare il viso attento della sua tata tra la folla. Dopo alcuni giri si accorse di non riuscire più a scorgerla. C’era così tanta gente quel pomeriggio che si accalcava intorno alla giostra!

Tra tutte quelle persone lì intorno spiccava, nel suo abitino bianco, troppo leggero per una gelida giornata autunnale come quella, una pallida ragazza dai lunghi capelli corvini. Aveva un viso dolce ma un’espressione triste. La bimba la perse di vista, poi la scorse di nuovo; questa volta notò che anche lei la fissava. Il giro finì e gli adulti si apprestarono a far scendere i bambini dalle loro cavalcature. Sara restò ferma ad attendere la sua tata, girando la testolina da una parte all’altra per cercarla. Si sentì toccare sulla spalla. La misteriosa ragazza vestita di bianco, guardandola intensamente con i suoi grandi occhi verdi, l’aiutò a scendere dalla giostra. Forse Anna era occupata e aveva mandato, al suo posto, un’amica che lei non conosceva. Fortunatamente non si trattava di Pia! Quella donna dai capelli scarmigliati e dagli occhi cattivi non le piaceva proprio!

La bambina diede fiduciosa la manina alla sua nuova tata e insieme a lei si fece strada a fatica attraverso la folla festante. La mano della giovane era fredda come il ghiaccio; poverina, stava sicuramente congelando senza cappotto!

Sara le strinse forte la mano, per scaldargliela. Si sentiva contenta e sicura. Si fermò solamente quando i suoi occhietti intravidero, tra tutte le bancarelle dei dolcetti, quella delle mele stregate.

La ragazza la tirò dolcemente, ma lei fece caparbiamente resistenza, indicando con il ditino quelle leccornie. Quei grandi occhi verdi la osservarono curiosi per un po’; infine Sara sentì la presa allentarsi. La bambina si diresse emozionata verso la meta, sempre tenuta saldamente per mano dalla ragazza.

“Ecco qua una bella mela stregata per questa bella piccina!” disse l’uomo, porgendole una grande mela rossa caramellata.

Sara la prese avidamente tra le manine e iniziò a mordicchiarla. Si sentì tirare di nuovo, questa volta dal braccino. Si incamminarono di nuovo. Che strano, pensò la bambina. Anna dava sempre dei soldini quando le comprava qualcosa. Ma forse, con tutta quella calca, era difficile.

Lentamente si allontanarono sempre di più dalla piazza fino a raggiungere un piccolo parco. Non c’era nessuno lì. Si sedettero su una panchina bagnata; la bambina, mentre gustava estasiata la sua mela, si sentì avvolgere dalle braccia della ragazza. Com’erano forti!

Le sembrava quasi di non riuscire più a respirare, tanto stretto era quell’abbraccio!

 

La mela cadde in terra quando Sara perse conoscenza. Anna la ritrovò grazie ad alcuni passanti, riversa su una panchina poco distante dalla piazza.

“Ho perso di vista la mocciosa per causa tua!” sbraitava Anna mentre correva accanto al fratello che l’aveva trattenuta al tirassegno. “Se perdo il lavoro, sarà colpa tua, idiota!” aggiunse furente.

Sara si risvegliò nel lettino di casa sua, con un gran mal di testa e la febbre alta. Osservò Ada e Anna fare avanti e indietro per cambiarle il panno freddo sulla fronte. Nel loro chiacchiericcio riuscì a distinguere “sangue sul capottino” e “ferite sul collo e la spalla”. Forse si riferivano a quel forte prurito che sentiva proprio in quei punti? L’odore del brodo serale proveniente dalla cucina le procurò una forte nausea. Lei aveva solo voglia di continuare a dormire. Mandò giù un paio di cucchiaiate prima di distendersi e riaddormentarsi.

La mattina seguente Anna la trovò completamente sfebbrata. Sembrava che la bambina non ricordasse più di essere stata male. Per la verità, Sara non rammentava quasi nulla di quello che era successo il giorno precedente. A parte la neve. Si trastullò a lungo sul suo cavalluccio a dondolo accanto alla finestra, in attesa della sua passeggiata pomeridiana. Quando Anna la portò fuori, si diressero verso quella buia strada in discesa, diretti in quella casa. Iniziò a fare i capricci: non voleva tornare lì! Non servì a nulla: Anna la tirò decisa fino all’entrata di quel brutto posto dove faceva sempre troppo freddo e la lasciavano sempre sola senza nulla da fare. Non le piaceva proprio quando Anna faceva così!

Anche questa volta Sara fu messa in un angolo; le avevano lasciato il cappottino e il cappellino per non farle prendere un raffreddore.

“È vero quello che mi ha raccontato tuo fratello?” domandò Pia.

Le due amiche continuarono a parlottare fra loro a bassa voce; Sara non capiva quello che dicevano. Rabbrividì: non aveva mai sentito così tanto freddo come quella volta. Da una finestrella vicino al suo angolino notò che aveva iniziato a nevicare fitto fitto. Che bello! Come desiderava uscire a giocare nella neve!

Ad un tratto, si sentì chiamare. Non era sicura che qualcuno avesse pronunciato proprio il suo nome; aveva piuttosto sentito un richiamo dentro di sé. E poi la vide. Come aveva potuto dimenticarsi di lei? Era felice! Anna le aveva sicuramente voluto fare una bella sorpresa per non farla annoiare mentre si intratteneva con la sua amica!

La bambina uscì in strada, correndo felice da colei che la aspettava immobile sotto la neve…

 

La ritrovarono non lontano dalla casetta di Pia, in una stretta viuzza senza uscita. La piccola era pallidissima e delirava; Anna l’avvolse in una coperta pesante e, aiutata dall’amica, la riportò a casa.

Vedendola arrivare in quelle condizioni, Ada corse a chiamare il dottore. Il Professor Melin, il medico di famiglia, restò di stucco davanti alle strane ferite della piccina. Tartassò le due donne per sapere in che modo la bambina se le fosse procurate. Erano terrorizzate entrambe dalla possibilità che il dottore andasse dalle autorità a denunciarle. Passarono alcune ore sedute lì immobili, indecise sul da farsi poiché la situazione della bambina non dava segni di miglioramento.

Improvvisamente Sara iniziò a smaniare indicando qualcosa ai piedi del letto.

“È solo Mimì, tesoro. Vuoi che la mandi via?” chiese Anna premurosa.

Era molto agitata e ci volle un po’ per farla addormentare di nuovo. Infine le due donne, esauste, si assopirono: Ada sulla sedia e Anna ai piedi del lettino, stringendo la manina di Sara.

La bambina aprì gli occhi poco dopo che le due donne furono scivolate nel sonno. Aveva freddo e desiderava tanto sentirsi avvolgere ancora dal forte abbraccio di quella ragazza. L’aveva vista poco prima, accanto al suo lettino, con gli occhi verdi che le splendevano…Che buffa! Con la lingua faceva proprio come Mimì quando si leccava i baffi prima di mangiare

Sara si tirò su a sedere sul lettino: era così debole…tutta la cameretta le danzava intorno. Si alzò lentamente, stando ben attenta a non svegliare Anna che dormiva lì accanto. Andò alla finestra: lei era lì che l’aspettava!

Che voglia aveva di raggiungerla!

Pian pianino scese le scale; si alzò sulle punte dei piedini scalzi per arrivare ad aprire la porta d’ingresso. Finalmente era fuori! L’aria era gelida e lei indossava solo il pigiamino…

Si sentì immediatamente sollevare da terra da quelle braccia più forti di quelle del suo papà. Si accoccolò sul corpo esile della ragazza, chiudendo gli occhi. Era così piacevole essere cullata da quel lento incedere nella neve. Si sciolse in quell’abbraccio finché tutto diventò bianco, fondendosi con la neve…

 

Quando il vampiro, ormai sazio, la gettò su un cumulo di neve tra le tombe, Sara mosse impercettibilmente le labbra esangui per l’ultima volta, immaginando di sentire il dolce sapore della mela stregata.