Racconto di Silvana Guarina

(Sesta pubblicazione)

 

Giulio non ricordava quando il suo affetto per Laura si fosse tramutato in amore. L’aveva conosciuta che era piccolissima, era la sorellina di Federico, suo amico e inseparabile compagno di scuola, e l’aveva vista crescere. Dapprima, anche lui come Federico, l’aveva considerata una simpatica e dolce creatura con la quale giocare qualche volta ai baby sitter. La piccola Laura adorava farsi caracollare in giro sulle spalle del fratello o di Giulio e in età di scuola materna imitare i loro giochi. Spesso demoliva le costruzioni di colorati mattoncini di cui loro erano appassionati nelle medie. Giulio ricordava benissimo per esempio l’impegno che avevano messo per preparare i Fossili di dinosauro e il Saturn Apollo 5 con i Lego per alcune lezioni di storia e geografia per strappare qualche credito all’insegnante. Laura ci aveva messo le sue manine tentando di dare un tocco personale a quelle costruzioni. Federico, vedendo il disastro che invece aveva combinato, voleva ucciderla ma lei era corsa fra le braccia di Giulio in cerca di protezione, promettendo che avrebbe fatto la brava. Quando fu più grandicella, Giulio le insegnò il gioco dell’Oca, il Monopoli e il calcio, poi, con la pazienza che mancava a Fede, le diede ripetizioni di matematica e persino la aiutò nello studio dell’inglese.
Loro l’avevano sempre chiamata la Piccola, dapprima affettuosamente poi, nel corso della loro adolescenza, il tono con il quale veniva pronunciato quel nomignolo diventò via via ironico, e anche un po’ scocciato. Furono sempre meno disponibili a portarsi appresso la piccola, e quando le prime fidanzatine apparvero all’orizzonte degli inseparabili amici, la piccola fu spesso dimenticata. Laura ne aveva sofferto ma di fronte alla lunga serie di Gianna, Loredana, Alessia, Margherita, Viky, Marianna e chissà quante altre, sembrò farsene una ragione. Mentre Laura passava al liceo, Federico e Giulio si iscrissero allo stesso ateneo ma in facoltà diverse. La loro amicizia non ne risentì, mentre i rapporti con Laura si fecero sporadici. Le lezioni in facoltà e lo studio tenevano molto impegnati i due ragazzi ma riuscivano sempre a trovare dei momenti da trascorrere insieme. Momenti ai quali Laura faceva di tutto per non partecipare. Giulio si informava spesso sulla vita di Laura: Federico gli riferiva i successi della sorella, gli ottimi voti nelle materie letterarie (adesso si è montata la testa-diceva- da grande vuole fare la scrittrice!) la sua passione per la lettura (a casa ci sta pochissimo, è sempre in biblioteca a leggere!) e il ballo da sala (le hanno affibbiato uno spocchioso ragazzo che se scopro che allunga le mai lo faccio secco!).
Giulio, diversamente da Federico, decise di trasferirsi per l’Erasmus alla London School of Economics&Political Science ma rimase in contatto con il suo vecchio amico. Tutti decretarono un “momento difficile” per Laura quell’estate, al mare, in Versilia, dove molto spesso le loro famiglie trascorrevano insieme le vacanze, quando Giulio portò Maggie, una londinese bionda e fin troppo spigliata, con la quale amoreggiava apertamente. Giulio, come i famigliari, fu costernato nel vedere la piccola trasformarsi in una scontrosa e musona ragazzina. Al terzo giorno di supplizio, Laura volle fare da sola un giro in bicicletta sulla sterrata in pineta ma cadde e si fece male. Fece una scenata con fiumi di lacrime e, preoccupati, i suoi genitori preferirono riportarla a casa, interrompendo le vacanze. Da quel momento in poi Giulio, nei suoi rari ritorni a casa, non riuscì a incontrare Laura. Sembrava che lei avesse sempre una buona scusa per evitare i pranzi, le cene o i barbecue, e quella volta che i ragazzi la invitarono a sciare con loro, tanto brigò che si fece mandare una settimana a Malta per un corso di inglese full immersion. Dalle Alpi al Mediterraneo: sarebbe stato abbastanza improbabile incontrarsi, realizzò Giulio rammaricato. Dopo l’università e una breve vacanza a casa, Giulio partì per gli States per un master nella prestigiosa School of Management di San Francisco: gli piaceva studiare e voleva farsi una posizione più che dignitosa per offrire un futuro migliore alla donna della sua vita e ai suoi figli. Non tornò in Italia se non nelle feste di Natale durante le quali la piccola era riuscita a organizzare un viaggio con le amiche. La mamma di Federico mostrò orgogliosamente tutte le foto e i video che la figlia Laura postava e Giulio non poté far altro che constatare che la piccola era cresciuta. Eccome che era cresciuta! Ormai era una ragazza e tutto di lei parlava del suo carattere deciso e determinato. Era anche più carina di prima! Terminato il master, Giulio ebbe un’allettante offerta di lavoro a Seattle che accettò. Ora, rientrato in Italia per le sue prime ferie, era deciso a riallacciare l’amicizia con la sorella del suo miglior amico. Non gli bastavano di certo quei pochi messaggi ai quali lei rispondeva sistematicamente con qualche emoticon o poco più. Così’ decise di andare a cercarla. Entrò nel locale dove sapeva che ogni giorno vi consumava il pranzo.
«Ciao! Posso sedermi al tuo tavolo?» le chiese dopo averla individuata a un tavolo.
«Sì, sì, si accomodi pure. Tanto ho quasi terminato il mio pranzo!» acconsentì lei senza neppure alzare lo sguardo dal suo smartphone.
«Sono cambiato così tanto che neppure mi riconosci?» continuò Giulio.
Un tentativo di approccio? Laura fu costretta ad alzare gli occhi e guardare in faccia l’importuno. Lui rise, la sua solita inconfondibile risata, mentre lei cercava invano di riprendersi dalla sorpresa e dire qualcosa.
«Sembri stupita di vedermi!»
«Stupita?! Direi scioccata.» riuscì infine a articolare malgrado la bocca completamente secca. Un sorso di coca la aiutò e lo guardò sedersi di fronte a lei e piazzare il vassoio con il suo pranzo sul tavolino del self service dove di solito si recava nella pausa pranzo.
«Addirittura scioccata?!» esclamò lui.
«Sono secoli che noi poveri mortali non abbiamo tue notizie.» ironizzò.
«Non sai che sono sempre in contatto con tuo fratello?!» # Federico mi ha detto che quando ti comunica i miei saluti tu cambi discorso o addirittura te ne vai senza neanche ascoltarlo.»
«A casa ci sto poco e quando ci sono ho molto da recuperare con i miei.» cercò di scusarsi senza metterci troppo impegno. «Che ci fai qui a Firenze?» gli chiese cercando di mantenere un tono neutro.
«Sono venuto a trovare te. Se Maometto non va alla montagna…»
Per un attimo lei si sentì lusingata. Dopo tutto Giulio era uno splendido ragazzo, anzi con i suoi trent’anni era un uomo che in qualsiasi ambiente non passava inosservato. Bello, sì, ma senza la bellezza artificiosa di un modello; elegante ma non affettato, con personalità e stile da vendere. Sembrava che il giorno della sua nascita tutte le doti e le virtù si fossero concentrate in quell’unica persona.
Un rapido sguardo intorno le confermò che anche in quella sala ragazze e signore più mature avevano già subìto il suo fascino.
«Che vuoi?» chiese più duramente di quanto avrebbe voluto.
«Ma allora è vero che ringhi quando si tratta di me!» sospirò «Piccola, voglio riallacciare la nostra amicizia.»
«Non mi sembra di essere piccola.» Di nuovo l’odiato nomignolo! «Amicizia? Sono la sorella del tuo amico Federico. Punto.»
«Solo? Io invece ho sempre pensato di essere un amico, non solo il ragazzo del piano di sopra. Sono quello con il quale ti piaceva giocare anche a pallone, quello al quale ti rivolgevi quando tuo fratello ti faceva i dispetti, quello che hai chiamato a squarciagola alle due di notte per farti leggere le favole e che ti ha tenuto fra le braccia fino a quando ti sei addormentata.» le rispose un tantino risentito.
« Mi rinfacci che a otto anni, con un febbrone da cavallo, tanto che persino Federico era impressionato, sei venuto nel cuore della notte a casa mia? Se ti ricordi bene stavo delirando! Non ero nel pieno delle mie facoltà.»
«Sono corso da te, c’è una certa differenza.»
« E allora? Cosa vuoi adesso? Che ti restituisca il favore?»
«Se mi ammalassi…perché no?» sorrise ammiccando. «Saresti una splendida infermiera!» Lei stupidamente arrossì come fosse ancora una ragazzina.
«Che favola vuoi? Sono sicura di riuscire a trovarti qualche vecchio libro da rifilarti.»
«Spiritosa. Senti, direi che questo non sia il posto più adatto per continuare la nostra conversazione. Credo che qualcuno la stia scambiando per una scaramuccia fra innamorati.
Lei fece un balzo sulla sedia: ci mancava anche questa pensò. L’importante sperò che non fosse lui a equivocare.
«La si potrebbe anche concludere con un “Arrivederci alla prossima occasione”» disse in fretta.
«Quando sarebbe la prossima occasione?» chiese Giulio e subito prevenne la sua risposta che avrebbe potuto essere un mai più. «Che ne dici di cenare con me stasera?» propose.
«Spiacente» Laura sorrise soddisfatta. «Ho già un appuntamento.»
«Non c’è problema. Sono in ferie, di qua non me ne vado finché non ci saremo chiariti.»
«Come quella volta che in prima media ti incaponisti a farmi comprendere quella cosa astrusa di matematica torturandomi fintanto che non mi entrò in testa?»
«Vedo che qualcosa di me ricordi.»
«Sì, gli incubi che mi hai fatto venire.»
Quella sua ammissione così sincera, priva di ironia, lo sorprese tanto che la guardò stranito.
«Incubi? Ne parliamo domani sera. OK?» propose.
«Va bene,» si arrese Laura «ma non prima delle otto!»

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Alle otto in punto Giulio suonò il citofono. Appurato che non era un malintenzionato, lei accostò la porta e lasciò la sua coinquilina in attesa che Giulio salisse le quattro rampe di scale. Rosy si era fatta raccontare tutta la storia di questo ritorno dal passato, come lo avevo definito. E moriva dalla voglia di conoscere quel ragazzo che aveva avuto una grande influenza sulla vita della sua amica. L’ aveva assicurata che il rivederla non era altro che il primo passo per mettersi con lei. Ma figuriamoci!
«Non buttarti subito fra le sue braccia, aspetta un giorno o due!» fu la sua raccomandazione mentre se la rideva.
«Stai scherzando vero? Non voglio aggiungermi alla sua lunga lista di ragazze.»
«Non credo che questa cena sia per darti di nuovo lezioni di matematica. Magari un altro tipo di lezione! Se è bello la metà di quello che dici saresti proprio sciocca a non approfittarne. E poi non è l’unico amore della tua vita?» le chiese Rosy alla quale però non rispose se non con un’alzata di spalle.
Giulio, quando fu pronta, vestitino nero attillato e scarpe tacco 12, la scrutò alzando un sopracciglio e non nascose un sorrisetto che la irritò alquanto.
«Ciao piccola! Sicura di farcela fino alla mia auto su quei tacchi?»
«Tranquillo! Se mi dovessi rompere una caviglia sei esentato dal portarmi al Pronto Soccorso.»
Le aprì la portiera e la fece salire sulla sua decappottabile.
«Ancora questa vecchia auto?» chiese lei polemica.
Sapeva benissimo che era stata la sua prima macchina, regalo dei genitori per i suoi diciott’anni, e che l’amava come fosse un cucciolo. Quante volte, da perfetta sciocca che voleva fargli piacere a tutti i costi, si era offerta di lavarla e asciugarla con il panno di daino seguendo scrupolosamente le sue istruzioni? Si diede ancora della stupida, pensando alle ragazze che vi aveva scarrozzato. All’epoca avrebbe voluto esserci lei seduta accanto a lui con i capelli al vento! Giulio non fece commenti se non una specie di mugolio di assenso. La loro scaramuccia come l’aveva chiamata era iniziata.
Al ristorante, uno dei migliori della città, Giulio ordinò il vino e i piatti che lei prediligeva.
«Federico, suppongo.» disse incerta fra l’essere lusingata oppure contrariata per non essere stata consultata per l’ordinazione.
«Sì, fra amici ci si aiuta, ti pare?»
«Non dubito che fra voi ci sia sempre stata una certa solidarietà ma non mi aspettavo che Federico …»
«Che cosa? Mi dicesse tutto di te? Lo avrei strozzato non lo avesse fatto.»
«Addirittura?! Non credo di capire la tua curiosità per la mia vita.»
«Già, lo vedo.»
«Va bene, chiariamo e facciamola finita.» si spazientì Laura.
«Okay! Allora dimmi perché le cose fra noi sono cambiate.»
«Cambiate? Beh!» farfugliò lei «si cresce, si matura …»
«Certo» le diede ragione «ma non così, come è successo a noi, anzi a te. Per esempio perché quell’estate in Versilia, quando sei caduta dalla bici, hai fatto il diavolo a quattro per ritornare in città?»
«Ero abbastanza acciaccata e mamma si preoccupò per me. Che c’entra?» il ricordo di Maggie, la londinese, le imporporò le guance.
«Bella scusa.» la guardò come se volesse leggerle dentro. «Erano giorni che nulla ti andava bene, eri intrattabile, una vera peste! Questo me lo ricordo bene. Sembrava che ce l’avessi con il mondo intero e in special modo con me. È proprio da allora che cominciasti a cambiare.»
«Io? Intrattabile! Ma sentilo! Avevo quattordici anni! In piena adolescenza! Sembra che sia una fase difficile della vita. A te non è capitato forse?»
«No.» rispose sicuro di sé come sempre. «Spiegami perché dopo quell’estate non hai più voluto uscire con noi.»
«Il vostro gruppo non mi piaceva» inventò lì per lì «eravate troppo grandi, noiosi e scontati.»
«Noiosi e scontati?! Questa poi! Si parlava di filosofia, di politica, di libri, di musica vera, certamente non di discoteche e di ragazzini.»
«Non ricordi? Io ero piccola quindi non al vostro livello culturale! Ogni volta che esprimevo le mie idee facevate spallucce!» commentò acida.
Gli avrebbe ricordato volentieri quante volte li aveva sentiti parlare di ragazze anche in termini che si sarebbero potuti definire poco lusinghieri ma sicuramente l’avrebbe accusata di aver origliato e preferì tacere. Giulio approfittò di quell’attimo di silenzio per tornare a chiedere spiegazioni.
«Neanche in montagna con noi hai più voluto venire! Mi piaceva sciare con te, eri spericolata come noi, per nulla rompina come certe ragazze, e era divertente farti qualche dispettuccio. Ti ricordi? Facevi finta di arrabbiarti e poi ridevamo insieme. La tua è sempre stata una bella risata, mi piaceva! Mi avevi anche chiesto di portarti sul Grosté, a Madonna di Campiglio…»
Laura sbuffò poco elegantemente e lui sorrise comprensivo, quasi paterno, irritandola ancora di più.
«È ancora lunga la lista delle tue lamentele? Comincio a stufarmi.» cercò di abbreviare quella conversazione fatta di ricordi che le facevano male.
«Ho compreso benissimo che tu hai qualcosa da rimproverarmi ma non capisco proprio cosa possa essere.»
Dal suo sguardo lei cominciò a sospettare che invece avesse intuito tutto. Lui continuò «E dimmi anche perché alla festa del tuo diciottesimo compleanno hai fatto in modo di non ballare con me.»
Il vino che stava sorseggiando le andò di traverso e ci volle un po’ prima che riuscisse a smettere di tossire. Uno spettacolo pietoso.
«Sono passati sei anni! Non credo che sia il caso di parlarne ora!»
Era proprio un brutto ricordo che non voleva fosse riesumato dal profondo della mente dove lo aveva cacciato con fatica. Le faceva ancora male, molto male.
«Per l’esattezza sei anni, due mesi e undici giorni.» la interruppe. «E ci tengo a farti sapere che quella sera volevo dirti che per me piccola non eri più. Sì, Fede mi aveva avvertito che era già parecchio che arruffavi le penne quando ti chiamavamo con quel nomignolo! Ma per me eri la piccola perché…
«Non gradisco ricordare quella serata.» lo interruppe decisa «Avrebbe dovuto essere la mia più bella festa e invece qualcosa è andato storto.»
«Cosa?»
«Troppi imbucati.» buttò là per là, tanto per dire qualcosa.
«Che sappia io uno solo.»
«Una di troppo.» non riuscì a non calcare la voce sul pronome personale femminile.
«Quella ragazza mi si era appiccicata e ho reputato più opportuno mescolarla alla folla di amici per togliermela di torno.»
«Sbaglio o hai fallito?»
Giulio spalancò gli occhi e mentre lei si dava di nuovo della stupida per aver lasciato che i suoi sentimenti fossero  rivelati dalle sue parole. Lui se ne uscì in uno di quei sorrisi che non si possono dimenticare.
«Allora è questo che mi rimproveri?! Gelosa! La piccola è gelosa!» esclamò con un tono di vittoria.
«No, semmai usa il passato remoto. Anche remotissimo se ci fosse e si potesse dire.»
«Quindi eri gelosa di me da quattro lunghi anni?!» Ignorando la sua precisazione. «Da quella estate con Maggie!»
«Una volta eri bravo a fare i conti ma ora sembri essere peggiorato.» Laura arrossì fino alla radice dei capelli. «Semmai gelosa per una sera! Più che gelosa direi con-tra-ria-ta.» scandendo bene le sillabe.
« No, i conti li so fare ancora benissimo. Ho sempre sospettato che Maggie c’entrasse in qualche modo nel tuo cambiamento.»
Laura cercò di fargli capire, una volta, per tutte che la londinese o qualunque altra come Gianna, Loredana, Alessia, Margherita, Viky e Marianna che lui aveva frequentato, non c’entravano per niente. Che importava a lei delle sue ragazze?! Non fu molto convincente perché man mano che parlava il sorriso di lui si faceva più largo e i suoi occhi brillavano sempre di più.
«Hai dimenticato Roberta di Torino e Daisy di Boston.» aggiunse ridendo apertamente.
Laura ebbe l’insana tentazione di usare il coltello contro di lui invece che tagliare la bistecca che aveva ancora nel piatto. Lui se ne accorse e fece finta di esserne terrorizzato, facendola arrabbiare ancora di più. Poi quando venne il cameriere a portare il dolce, posò la sua mano su quella di lei richiamando tutta la sua attenzione. Quel gesto e il calore della sua pelle la distrassero da quello che stava dicendo. Si sentì di nuovo la quattordicenne sciocca e immatura che faceva di tutto per stare con lui, pendendo letteralmente dalle sue labbra, fremendo per avere la sua attenzione e approvazione. Ma caspita! Ora era una donna adulta!
Perse il filo del suo discorso varie volte ma lui, Giulio, se ne accorgeva e richiamava la sua attenzione. Ci mise un sacco di tempo per spiegarle che dapprima la considerava una sorellina, sì, a volte anche po’ petulante e invadente …
« Io non sono mai stata petulante! Neppure invadente!» lo interruppe inutilmente.
Lui le chiese di lasciarlo continuare. Con suo grande stupore aggiunse che via via che crescevano, anche se continuava a farle il dispetto di usare quel nomignolo, si sentiva sempre meno un fratello maggiore. Ai suoi diciott’anni avrebbe voluto farglielo capire ma le cose erano andate storte.
«Insomma, volevo aspettare il momento giusto per dirti quello che cominciavo a provare nei tuoi confronti. Volevo anche essere sicuro che tu provassi per me qualcosa di diverso dal classico amore fraterno.»
«Diverso dal classico amore fraterno?» ripeté Laura balbettando incredula.
«Poi i miei studi e il lavoro all’estero per farmi una posizione … e tu sempre più sfuggente … le tue sbrigative risposte ai miei messaggi su Whatsapp, più ricche di emoticon che di parole, e perfino l’università qui, a Firenze, così lontano da casa, mi hanno fatto pensare che volessi evitarmi e che di me proprio non ti importasse nulla.»
«Roberta di Torino e Daisy di Boston come le collochi nella tua vita? Un piacevole diversivo o un master di …»  stava per dire sessuologia ma riuscì a trattenersi.
«Ben due tentativi di ritornare a provare sentimenti fraterni nei tuoi confronti. Tentativi falliti, come vedi. E ora che sai, posso invitarti a ballare? Vorrei proporti di riprendere da quella sera, da quella festa, per dirti che quel “piccola” non vorrà più dire sorellina ma… se vorrai … l’amore della mia vita.»