Racconto di Lucians

(prima pubblicazione – 12 aprile 2019)

 

Non aveva voglia di studiare quel giorno. I raggi di sole colpivano la sua finestra, entravano nella sua stanza portando tutto il profumo di un giorno di maggio. Sua madre non c’era, ma sapeva di averlo lasciato a fare i compiti, prima, e poi magari fuori a giocare con i compagni. Ma lui non ne voleva proprio sapere.

Aprì la finestra per lasciar entrare l’aria calda e il profumo del mare. Quel mare poco distante da casa sua e che vedeva dalla finestra. Chiuse il libro e i quaderni. Rimase seduto per un tempo imprecisato a fissare, davanti a sé, la finestra aperta e tutta la meraviglia fuori.

Ogni tanto inspirava profondamente fino a riempire i polmoni perché pensava che, così facendo, il mare si sarebbe avvicinato sempre di più a lui, come risucchiato da una forza invisibile. Sentiva il sale nelle narici, le alghe tra i capelli, i pesci nuotargli attorno, l’ammaliante canto delle sirene e la forza delle onde.

Assorto, in contemplazione non sentì subito il fischio che veniva da fuori, pur conoscendolo bene. Poi all’improvviso tornò in sé e realizzò all’istante che il suo miglior amico lo stava chiamando, fischiando sotto la sua finestra. Corse subito ad affacciarsi, come se non aspettasse altro. – Ciao – gli disse – come mai da queste parti, non fai i compiti? -Non ho voglia di studiare e tu? – rispose l’amico.

Cercò di nascondere la gioia che gli saliva dentro, e distogliendo lo sguardo, per timore di essere scoperto, rispose, mentendo, che stava studiando un po’ e che poteva comunque rimandare. -Andiamo sulla spiaggia, non c’è nessuno a quest’ora, vediamo chi di noi due è più fortunato a trovare una stella marina, ti va?

Eccome se gli andava! Qualche istante dopo erano già a caccia di stelle, anche se non se ne vedevano proprio.

Indossavano entrambi maglietta e pantaloncini corti. Faceva caldo, ma un caldo giusto, non eccessivo essendo maggio. Trovarono un grande tronco d’albero posato a riva da qualche passata mareggiata. Fecero una sosta, sedendoci sopra. Il suo compagno, in silenzio, fissava l’orizzonte mentre lui, alle sue spalle, gli guardava i capelli, folti e neri, appena mossi da una lieve brezza, e la nuca e poi il collo, le spalle larghe e robuste. Lui invece, in confronto, era più magro, ma anche più fragile.

Frequentavano la stessa scuola e allo stesso anno, l’ultimo della scuola dell’obbligo.

-Non vedi qualcosa laggiù? – disse il suo amico voltandosi e puntando con il braccio dritto verso l’orizzonte. -Non mi pare… no, non vedo nulla – gli rispose. – Quella macchia scura, posata sull’acqua, là, guarda bene – L’unica macchia scura che vedeva era quella davanti a se..

– Non vedo nulla. O quasi non so… forse è una nuvola – gli disse senza esserne troppo convinto. -Perché non ci tuffiamo e andiamo a vedere? – aggiunse il suo amico con aria quasi di sfida e un sorriso meravigliato. Come poteva dirgli di no? Sentiva per lui grande affetto. Si conoscevano fin da piccoli abitando a pochi metri di distanza, e da sempre era il suo miglior amico. -Okay, se vuoi, tuffiamoci – rispose. Si tolsero maglietta e pantaloncini rimanendo in mutande. Tutti e due, seppur uno di fronte all’altro, guardavano in direzioni diverse, evitavano di incrociarsi negli occhi, provando un po’ d’imbarazzo. Poi il suo amico si tolse anche le mutande, coprendosi con le mani i genitali e ridendo con gioia.

-Non abbiamo il costume da bagno – gli disse continuando a ridere. -Ti tuffi in mutande? – aggiunse. Si sentiva sprofondare nella sabbia. Il suo cuore batteva forte. Aveva davanti a sè il suo miglior amico nudo, allegro, coraggioso, pronto a tuffarsi, mentre lui non reggeva lo sguardo e non aveva il coraggio di togliersi le mutande. Ma alla fine, come sempre, cedette al suo amico e con grande imbarazzo si denudò del tutto e si tuffò in fretta e per primo in acqua, arrossendo dalla vergogna, seguito subito dopo dal compagno.

Cominciarono a nuotare prendendo, via via, il largo. Ogni tanto si girava per vedere la riva sempre più lontana, mentre l’amico tirava dritto, deciso e senza paura, come un siluro. Nuotavano bene fin da piccoli e il mare era sempre stato per loro un immenso luogo dove giocare. Ma cominciava a stancarsi. Sentiva la fatica alle braccia, alle gambe, e guardandosi alle spalle vide che adesso l’orizzonte era diventato la riva: si erano allontanati davvero tanto.

-Ehi! Ehi!” urlò all’amico -, che si trovava a pochi metri davanti a lui. -Sono stanco, facciamo una pausa – Si fermarono, rimanendo a galla, ansimando profondamente.  -Sei già stanco – disse l’amico.  -Beh, nuotiamo da quasi un’ora, non so se te ne sei accorto, e poi ho dolore alle gambe, non vorrei mi venisse un crampo. – Rilassati, sta tranquillo, siamo quasi arrivati – gli rispose l’amico. -Arrivati dove? Non vedi niente? Com’è possibile?! Là, guarda! Eppure è grande e grossa, cazzo! Te lo avevo detto che si vedeva qualcosa prima, sulla spiaggia, altro che nuvola! –

Sembrava incredibile. Aveva nuotato tutto quel tempo senza minimamente vedere o far caso a quello che ora, invece, come un colosso, a poche decine di metri, gli appariva davanti imponente e affascinante. Una roccia enorme, tondeggiante, si ergeva dall’acqua per una decina di metri buoni. Impressionante!  – Torniamo indietro – disse all’amico, senza nascondere un certo timore – fra poco fa buio e siamo distanti dalla costa –

-No, io vado, voglio vederla da vicino e chi sa che non riesca a salirci sopra – rispose risoluto l’amico – Cosa?! Ma sei scemo? No ascolta, torniamo indietro, magari un altro giorno ci organizziamo meglio e ci torniamo! – E chi ti dice che la ritroviamo qui – lo interruppe bruscamente l’amico – io vado, se vuoi torna pure indietro, da solo. – “Ma dove vuoi che vada? Non ho mai sentito parlare di rocce che camminano! O che nuotano!

Andiamo, dai! Il sole sta per tramontare; Io vado, ciao! – lo interruppe di nuovo l’amico, e si avviò come un delfino verso il colosso. Lui rimase a guardarlo qualche minuto, non sapeva se seguirlo o andare. Ma poi lo avrebbe lasciato andare da solo? Si decise infine a seguirlo.

Arrivati sotto la roccia, entrambi rimasero senza parole. Sembrava non aver appigli, insenature, era compatta e alta sopra le loro teste. Lui si accorse che non sentiva più nulla, non sentiva il suo respiro, e nemmeno il vento, o il rumore dell’acqua che fluttuava alla base della grande roccia. Si sentì strano e confuso, non capiva. Era come se il tempo si fosse fermato in quel momento. Guardò il suo amico che invece era pieno di stupore e meraviglia, che sfoggiava adesso un sorriso che non aveva mai visto prima. Lui lo guardò negli occhi e gli disse qualcosa, che non capì, che non sentì. Poi gli fece cenno di seguirlo. Ormai ammaliato da tutto ciò non poté fare altro che stargli dietro. Il colosso aveva un diametro notevole e aveva intuito cosa il suo compagno stesse cercando girandogli intorno. Ad un certo punto notarono una lieve sporgenza, a pelo d’acqua, abbastanza comoda per aggrapparsi e salirci sopra entrambi. Salì prima il suo compagno. Lui rimase sotto, in acqua, a guardarlo. Notò il suo corpo robusto, la sua schiena liscia, le natiche tonde e sode, e le gambe piene, perfette, sulle quali cresceva una leggera peluria. Lo vide arrampicarsi senza problemi, come un granchio, e rimanere poi in piedi di fronte a lui, come una statua, con le braccia sui fianchi in tutto il suo splendore. “Da questa parte si può salire fin sopra la roccia senza difficoltà – gli disse – ci sono come degli scalini scavati da qualcuno – .

Non aveva sentito né capito nemmeno questa volta. Era sicuro solo di una cosa, e cioè che voleva raggiungerlo. Salì anche lui e seguì l’altro su fin sopra il colosso da dove poteva ammirare un mare omerico strabiliante, luccicante. Si distesero stanchi, vicini ed estasiati ad asciugarsi con gli ultimi raggi di sole. Non voleva pensare a cosa sarebbe successo a casa, alla madre che non lo aveva visto tornare, ai vicini e a nessuno. Quello era tutto per lui.

Girò la testa per guardare il suo profilo mentre l’altro con gli occhi chiusi sembrava dormire. Guardò il suo petto che si gonfiava e sgonfiava per ogni respiro. Allungò la mano cercando quella dell’amico. Tremava tutto e si sentiva felice. Non ci contava, forse. Chiuse gli occhi. Poi sentì stringersi la mano, forte, e senti che anche l’altro tremava. Si addormentarono così, con il cuore di ognuno che batteva forte…

La vita è un sogno, soltanto un sogno, Il sogno di un sogno…