Racconto di Paola Zagarella

(Prima pubblicazione – 14 maggio 2021)

 

 

 

Sono trascorsi anni da quel febbraio. Da quel giorno in cui scoprimmo di avere un nemico che non vedeva l’ora di prendersi le nostre vite, non più in sordina, come aveva fatto fino a quel giorno ma apertamente, utilizzando tutti i Media a disposizione. Sapeva dell’esistenza di Internet, dei Telegiornali, delle Radio, dei telefonini e di tutto quello che aiutava questo grosso Essere chiamato Umano, a comunicare. Sta piovendo fortissimo e siamo in allerta arancione, accanto a me, Mattia sta aspettando con lo smartphone, stretto tra le mani, le ore16, quando passeremo a gialla e quando spunterà il previsto timido sole.

Non sa che cosa fare, la sua chat si gonfia di messaggi preparatori in attesa della grande festa di Compleanno di Lollo, mi dice che potrebbero essere in ventidue …

“Ti annoi?” Gli domando.“Ieri, mi hai chiesto della ‘museruola di stoffa’, ricordi, o hai già dimenticato?” Era così che mamma ed io la chiamavamo, quando lui, ancora troppo piccolo per comprendere, mi chiedeva che cosa fosse quella palla rossa colorata con tante buffe sporgenze che assomigliava tanto al giocattolo del nostro cane, e che appariva sempre alla TV.

“Adesso, ti racconterò… che non ci credeva nessuno, neppure i dottori e gli scienziati, proprio nessuno, figurati me e la mamma! Pensa, Mattia, che hanno cominciato a dire che dovevamo indossare tutti una mascherina, potevamo scegliere il modello, magari anche il colore ma la bocca e il naso andavano coperti per proteggere la propria e l’altrui vita.

Tu non eri obbligato a metterla, eri sotto la fascia di età che lo permetteva e ogni giorno, prima di uscire, mi vedevi indossare quella striscia di stoffa che faceva vedere solo i miei occhi blu, che ti guardavano sorridenti, per farlo apparire un gioco. Tutto, poi, sarebbe cambiato. Siamo dovuti restare tutti e tre a casa, insieme, dal mattino alla sera, tu eri felice e lo era anche il nostro Fido. Ci alzavamo insieme, facevi colazione con me e la mamma e con Fido e la sua ciotola, poi ti mettevi sul tappeto a disegnare, guardavi i cartoni animati, coccolavi il cane, ascoltavi le canzoncine dell’asilo… stavi bene, tu, per fortuna. Tutto, poi, continuava a cambiare. La nostra cara amica infermiera ci raccontava delle notti e dei giorni che sembravano infiniti, con colleghi e medici a lottare per strappare una vita, non l’abbiamo vista più, troppo lavoro, troppo stanca anche solo per parlarci al telefono, troppo dolore, inaspettato, intorno a lei. Passavano i mesi e l’Esserino invisibile, crudele e assassino senza scrupoli, uccideva. Tu cominciavi a diventare irrequieto, ti mancavano Elisa e Matteo, i tuoi amichetti, non volevi più disegnare, vedere la Tv, accarezzare il cane, ascoltare le canzoncine, piangevi e gridavi i tuoi capricci. Noi sapevamo che cosa stava accadendo, ormai lo avevamo capito fin troppo bene, ma non abbastanza, ancora. Salutavamo gli amici dal telefonino, ridevamo, per soffrire di meno, un po’ si usciva, un po’ no; si parlava di colori, solo nelle ‘allerte meteo’, e nelle ‘zone’, come le chiamavano… ed ecco che i colori, che fino a quel giorno avevano imbrattato le mie tele, adesso rappresentavano disastri e possibile morte; giallo, arancione, rosso, arancione rinforzato, una tavolozza che aveva sempre queste stesse sfumature, monotone e stressanti.  Oggi 956 morti. E la vita continuava, senza abbracci, senza amici, ristoranti e bar chiusi, teatri e cinema deserti, tutto immoto, ovunque, tranne che negli ospedali. Tu, sembravi resistere, mamma e papà lavoravano a casa, noi eravamo fortunati, potevamo farlo, e allora giocavamo, ti leggevamo libri, salutavamo gli amichetti dal computer, facevamo tutto per regalarti normalità, tentavamo. Era un continuo ‘tira e molla’, dicevamo “sto bene, grazie” e poi, “mi sento depresso”, e ancora “andrà tutto bene”, “non vedo l’ora che finisca, non ce la faccio più”… ma c’eri tu, Mattia, che ci davi la forza di resistere. Oggi 753 morti. E la vita continuava, senza potersi stringere, unico contatto possibile, sfiorarsi il gomito, questo era il nuovo saluto, come se appartenessimo a un altro Pianeta. Polizia, Carabinieri, militari, mi chiedevi il perché avessero fermato la mamma, quel giorno che andava a trovare la nonna, non faceva niente di male, lei, andava dalla sua mamma, ma è bastato dirti che stavano facendo il loro lavoro, proprio come mamma e papà, allora hai capito. “Mattia, hanno chiamato i nonni per fare il vaccino… una punturina che li salverà” Speriamo, pensai allora. Oggi 497 morti. E la vita continuava, senza le vacanze, senza i giochi sulla spiaggia e le tavolate di Ferragosto. Intanto crescevi un po’, più in fretta, e cominciavi a capire, avevi voluto anche tu una mascherina azzurra come la mia, e ci avevi disegnato sopra due farfalline blu. Oggi 264 morti. E la vita continuava, senza un concerto, senza la folla allo stadio, senza applausi e grida di gioia per un goal fatto. Chissà, forse il vaccino funzionava…Oggi 103 morti. E la vita continuava, ancora tutti con la museruola, abituati ormai a quella fascia che ciascuno provava a personalizzare con dipinti, fiorellini, quadretti, sorrisi finti, la chiamavamo ‘museruola’ ma, in realtà, la mettevamo da soli! Poi, quel giorno “per il primo giorno dopo due anni, zero decessi dovuti al Covid19, una conquista” proclamavano Tv, radio e giornali, post sui Social, chiacchiere su autobus e metro. Quel giorno, abbiamo festeggiato! Come sembra tutto lontano, adesso. Mattia, abbiamo potuto rivedere i nonni senza museruola, e la prima cosa che ho fatto è stata baciarli sulle guance, li ho stretti fortissimo a me, per cinque minuti, forse dieci, poi li ho baciati ancora; a pericolo scampato. I telefoni sono impazziti, le chat si sono intasate, le strade si sono gremite di gente festante che si abbracciava, anche se non si conosceva, siamo usciti tutti dai balconi a gridare “è andato tutto bene”… tranne tantissimi, rimasti chiusi ancora in casa, a piangere i loro cari. La gente usciva di sera, dopo le h.22, libera di fermarsi a chiacchierare dopo una pizza o a qualunque cosa, purchè gustata a un tavolo a lume di candela o in una tavolata di venti persone, libera di gustare un gelato sul lungomare affollato di bambini in bicicletta e di assembramenti di ragazzi e ragazze, forse più amici di prima. Anche tu hai rivisto i tuoi amichetti, che ora chiamavi ‘amici’, perché, non so come mai, ma eri cresciuto di più… avevi capito qualcosa, qualcosa d’importante e ti sentivi più grande. Poi, abbiamo acquistato i biglietti per un concerto, quello di Vasco, che attendevamo da troppo tempo e tu ci hai chiesto di andare al cinema, a vedere l’ultimo dei tuoi supereroi preferiti, inutile dirti che sia lo stadio sia la sala, erano esauriti. Sono stati giorni meravigliosi, sere con amici, foto e selfie appiccicati come cozze sugli scogli, gite nei luoghi più famosi e affollati, e vacanze, vacanze, vacanze… dove… non importava più il dove, strano vero?”

Poi, tu mi guardi, e con occhi interrogativi mi dici: “Papà, hai desiderato solamente questo?”

Infili nello zaino il cellulare ed esci per andare alla festa.