Racconto di Danila Tracnec

(Prima pubblicazione – 24 marzo 2021)

 

 

Alla fine è successo. Non ci credevo, ma ho dovuto arrendermi all’evidenza; pensavo di scampare a questo destino che sembra non risparmiare nessuna donna dopo una certa età, ed eccomi qua. Se qualcuno me l’avesse predetto anni fa l’avrei liquidato con un’alzata di spalle e un sorrisetto scettico, invece neanch’io sono sfuggita al karma. Ebbene sì, lo confesso: sono una gattara.

Colpita e affondata.

In passato giudicavo con una certa sufficienza lo stereotipo della gattara media che avevo in testa: anziana, zitella, sola e, diciamolo pure, un po’ tocca. Avevo di queste caratteristiche una accezione negativa, dettata dall’inesperienza. Adesso ne colgo in pieno tutti i vantaggi ma, ahimè, non ne posso godere. Questa indagine è dedicata a me e a tutte quelle che vi si identificano.

Questa epidemia non risparmia più nessuno: sposate, vedove, plurimamme, di riflesso addirittura mariti! La caratteristica fondamentale rimane l’età.

Riposti i sogni di gloria della gioventù e la tendenza ad imbellettarsi e conciarsi in modo tale da attirare l’altro sesso, la femmina della specie umana volge improvvisamente lo sguardo in basso, verso i piedi, dove scorrazza una fauna morbida e bisognosa di cure e affetto.

E lei, che di affetto ormai inutilizzato ne ha scorte epocali, lo sparge a piene mani, sentendosi così di nuovo appagata. Che bellezza poter di nuovo usare sui figli pelosi i tradizionali metodi pedagogici tipo il buon vecchio “tiro della ciabatta dissuasivo” che tanta soddisfazione ha dato nell’educazione dei pargoli!

Prima dal parrucchiere, tra una tintura ed una piega, si parlava di figli e mariti, ora si confrontano le varie esperienze su croccantini, lettiere e antipulci, mentre l’amica che ci sta acconciando i capelli annuisce comprensiva, non si sa se per solidarietà o compatimento.

Questo tipo di gattara è definito gattara domestica, in quanto si limita ad ospitare in casa un numero limitato di felini, di solito trovatelli raccattati per strada o adottati da qualche rifugio, e ad amarli e accudirli con passione, fino a spingersi all’uso di imbarazzanti nomignoli su cui è meglio sorvolare.

Sulla rubrica appare in prima fila il numero del veterinario, molto prima di quello del medico di casa; in questa fase, di solito, è presente anche un marito che viene coinvolto, fino a dimostrare suo malgrado un notevole entusiasmo per gli ospiti pelosi; ne fotografa le pose strane e accetta di buon grado di essere usato come tiragraffi.

In seguito la gattara si spinge ad azioni di volontariato nei confronti di associazioni per la cura di felini randagi, dedicando una gran parte del suo già risicato tempo libero ai mici senza casa. C’è poi chi si occupa di appelli sui social network, dimostrando come anche una semplice e schiva gattara di provincia possa adeguarsi ai tempi. E via via fino ad arrivare alla staffetta che si presta per scarrozzare i mici in lungo e in largo. Dulcis in fundo, la gattara classica, gattara delle gattare, colei che antepone la cura dei gatti, di solito numerosi, a qualsiasi altro aspetto della sua vita, financo alla sua dignità.

Nel mio paese abitava una degnissima signora di mezza età che, rimasta vedova e allevato il suo unico figlio, si era dedicata alla cura di una colonia felina. Era una sarta sopraffina, oltre che una pettegola indefessa, e la sua attività era molto apprezzata in entrambi i settori. Ad un certo punto, conscia che l’impegno economico per sfamare i sui gatti si faceva vieppiù gravoso, aveva preso di mira un cassonetto dell’immondizia, dove ogni sera il supermercato vicino smaltiva le confezioni di alimenti in scadenza o da poco scaduti. Appena calava la sera, entrava in azione. A chi incautamente si avventurava a buttare la spazzatura dopo il crepuscolo poteva capitare di rischiare l’infarto, vedendo la faccetta della signora, corredata da una cresta di capelli rosso fuoco, saltar fuori dal cassonetto per salutare allegramente ed intrattenere il malcapitato con un excursus dei migliori pettegolezzi del momento, mentre continuava a rovistare con impegno. I bidoni, si sa, sono luogo di contatti sociali, ma questi di solito avvengono al di fuori e non dentro. Comunque, la signora dimostrava di essere completamente a suo agio, chiacchierando e frugando tra i rifiuti con le bucce di patate fino alle caviglie. Se la poca igiene della faccenda la preoccupava non lo dava a vedere; una bella doccia avrebbe cancellato ogni ricordo dell’incursione e lei avrebbe avuto di che sfamare le sue esigenti creature.

La signora in questione purtroppo non c’è più; andata via anzitempo, ha lasciato un grande vuoto perché, nonostante il suo stile di vita originale e la lingua tagliente, era amata da tutti. Le sue creature, orfane per la seconda volta, sono adesso accudite da altre gattare che assolvono il loro compito in una maniera, diciamo così, più tradizionale: comprano grandi quantità di scatolette e sacchi di croccantini. Sono sicura che i felini sentano la mancanza dei manicaretti made in “cassonetto del supermercato” non meno che della figuretta svelta e crestata di rosso che li salutava ogni giorno.