Racconto di Alessandro Prandi
(Seconda pubblicazione)
Consiglio durante la lettura l’ascolto di “Un giorno dopo l’altro”, Luigi Tenco (1966)
Il posto è questo, non mi serve controllare il numero civico. Lo conosco come si sa di una strada che non si è mai percorsa ma di cui la mappa è incisa nella memoria. L’appartamento è al terzo piano. Sei atteso. Lui non ci sarà. Suono.
«Sì?» risponde la voce gentile, come lo è tutto di lei.
«Buongiorno signora, sono Fabrizio, mi manda Georges.»
Non prendo l’ascensore. Salgo lento, un gradino alla vota. Non ho fretta di scalare il mio destino. Girata l’ultima rampa vengo accolto da un sorriso: non alta, non bassa, non grassa, non magra. Non bella, senza dubbio simpatica.
«Eccolo qui! – mi abbraccia forte – l’amico italiano. Prego, si accomodi.»
L’appartamento è come lo immaginavo. Né grande, né piccolo. Un teatro di scene che si ripetono uguali da anni, come un vecchio copione che nessuno vuole smettere di recitare. I mobili parlano di solidità, di cose fatte per durare, non per stupire. Il parquet è consumato in punti precisi, sempre gli stessi. La stufa a carbone, anacronistica, è il cuore del silenzio. Sento quasi il suono delle serate passate qui, fatte di chiacchiere monotone, di conforto dopo giornate complicate. Come si può odiare qualcosa di così perfetto? Come si può amarlo per sempre?
Il lungo corridoio si risolve nel salotto che dà sul regno della signora: la cucina.
«Mai stato a Parigi, Fabrizio?»
«Si, ma sono passati molti anni.»
«Che effetto fa?»
«Non saprei. Grande…»
«Ci si abitua. Certo l’Alsazia è altra cosa.»
«Non penso di fermarmi a lungo. Ho alcuni affari da sbrigare. A proposito, ecco il regalo del nostro comune amico.»
«Lui e i suoi regali. Mai una volta che venga a consegnarli di persona.»
«Quella vecchia storia…»
«Già, anche se sono passati quasi ottant’anni…»
«Non ha mai sopportato quelle accuse.»
«Vecchio, cocciuto e testardo. Lei, com’è che lo conosce?»
«… »
«Mi scusi! Che domanda sciocca. Ogni volta con i suoi amici è così.»
«Passano in tanti?»
«Da tutte le parti del mondo. L’ultimo André, un normanno e una bottiglia di calvados. Quella bottiglia, vede?» indica la vetrinetta dei liquori. Certo che la vedo, dentro ha più veleno che liquore.
«Non l’avete ancora aperta…» è il motivo per cui sono qui.
«Assolutamente no. La berremo insieme, quando verrai a trovarmi, gli ha intimato mio marito l’ultima volta che si sono sentiti, una decina di giorni fa. Allora il prossimo regalo sarà per tua moglie, ha risposto quel testone di un belga. Si è risentito.»
«Infatti, è per lei. Non è curiosa?» Indico il pacchetto ancora appoggiato sul tavolino.
«Per me. Caspita, non è mai successo!»
Scarta la confezione. Un tagliere in legno di ulivo, con sopra posato il coltello: 46 centimetri, 20 di lama.
“Scoprirà con quale facilità lavorerà ogni tipo di carne” aveva cinguettato la commessa del negozio.
«Bellissimo, grazie Fabrizio.»
«Grazie Georges…»
«Certo. Grazie George… li provo subito! Venga.»
«Galletto al vino bianco! Resta per cena vero?»
Il profumo di porro, carota, cipolla messi a rosolare si prende la stanza.
«Adesso è la volta del pol…?»
Non lascio che la frase finisca. Il coltello è già nella mia mano, freddo, definitivo come il giudizio. Il primo colpo è secco, preciso. Il secondo, più istintivo. Il terzo è il silenzio.
«Perché?» sussurra lei con un filo di voce, aggrappandosi alla vita che scivola via.
«Perché vi odia.» Li odia da sempre. Loro due, così perfetti, sempre insieme. Senza macchia, senza vizi. Sono tutto ciò che lui non può essere. Immobili, perpetui, compiuti. Io sono il suo strumento. Il braccio che spezzerà il ciclo, metterà fine alla sua prigione.
«Non è colpa nostra. È lui… è lui che ci ha voluti così…»
Poi più nulla.
Spengo il gas, apro la finestra. Lascio che il suo ultimo aroma si liberi tra gli alberi del parco che costeggia il boulevard. Mi siedo e aspetto. Non ci sono più comprimari. Solo lui ed io. Io, il nuovo personaggio protagonista. Georges lo ha promesso: pagine, pagine, pagine solo per me. Grazie ad un’impresa che agli altri non è mai riuscita: porre fine all’immortalità.
Non aver paura, Fabrizio. È solo un uomo, un uomo senza eccezioni.
Il ticchettio dell’orologio scandisce un tempo che non sembra mio. Poi, il rumore delle chiavi nella serratura. Il suo passo è pesante, trascinato, ma risoluto. Quando entra, riempie l’aria. È corpulento, sì, ma è qualcosa di più: è presenza. La sua ombra sembra allungarsi oltre di lui, fino a toccarmi. Ci sarà da lottare. La lama brilla nella penombra.
«Luise, sono a casa», sbuffa. Annusa l’assenza di profumi e mi vede. Ci vediamo. rimane fermo, le mani che sfiorano le tasche del cappotto. Sembra stanco, più che spaventato.
«Dov’è mia moglie. Lei chi è?»
«Sono l’epilogo, Commissario Maigret.»
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