Racconto di Kenji Albani

(Settima pubblicazione)

 

 

Beveva champagne, ascoltava musica e guardava la prostituta spogliarsi.

Rideva e non si interessava che i vicini di camera fossero disturbati dal baccano che faceva.

Era eccitato. «Dai, dai». Accanto a lui c’era una confezione di preservativi.

La ragazza si voltò a guardarlo e, senza che fosse riuscito a capire cosa fosse successo, all’improvviso era sul balcone della camera. Qualcuno lo spinse e precipitò nel vuoto. Per ultima cosa vide le cinque stelle dell’hotel.

Coca-party. Si tirava su a volontà, si respirava un odore insopportabile di ascelle non lavate, però a nessuno importava: i tavoli ingombri di strisce bianche subivano l’assalto di uomini in carriera e tutti sniffavano.

Anche lui voleva farlo.

Impaziente, prese a gomitate le altre persone e raggiunse un tavolo. Aveva una cannuccia tra le dita, stava per consumare un po’ di cocaina quando percepì la carezza fredda di un oggetto di metallo alla sua tempia.

Si girò di scatto e vide un revolver, poi una fiammata, dopo più nulla.

Filava che era una bellezza lungo l’autostrada. Il limite di velocità? Ma chi se ne fregava. Andava a centottanta e se la pula l’avesse fermato avrebbe reagito dicendo: “Voi non sapete chi sono io”. Il mondo era ai suoi piedi.

Accese la musica, sentì della morte di alcune persone: un suicida in un albergo cinque stelle e un altro morto in una rissa tra drogati, durante un coca-party.

Lasciò perdere.

Stava per accendere una sigaretta che incominciò a sbandare.

«Oh!» si disse. Forse aveva esagerato con l’alcol.

Accelerò ma si rese conto che a dare gas era tutto okay, frenare era sempre più difficile.

Il freno a mano!

Lo tirò di scatto e l’automobile inchiodò, l’airbag esplose ma lui sentì un fitto dolore al collo.

Un attimo soltanto e poi il buio.

Il tavolo era imbandito di fotografie: sangue, fecale, fluidi corporei, tutto il peggio del mondo, ma per Leonardo non c’era nulla di fastidioso.

Il commissario batté un pugno. «Questi tre uomini facoltosi sono morti in maniera violenta. Renzo Vagliani era con una spogliarellista, è caduto dal terrazzo; la ragazza era svenuta, non sa nulla. Alessio Furia era a un festino di drogati, gli hanno sparato e tutti giurano di aver dimenticato ogni particolare. Massimo Frignani guidava in stato d’ebbrezza e l’alcol che aveva in corpo non gli è stato d’aiuto visto che qualcuno gli aveva rotto i freni. Non sono incidenti, sono omicidi». Il commissario li guardò tutti uno a uno. «Indagate».

«Il commissario fa in fretta a parlare, ma questo è un bel casino: omicidi?, incidenti in cui nessuno ha visto nulla» si lamentò il collega. «E io non so neanche da dove partire». Si lasciò cadere sulla sedia.

«Coraggio, non siamo diventati ispettori leggendo Topomistery, Farnè. Ci dev’essere una falla in cui agire» considerò Leonardo.

Il volto gli si tirò in un sorriso forzato. «E sarebbe? Sentiamo».

«La spogliarellista». Leonardo batté un dito sul volto di un ungherese dalle labbra piene.

Era sexy e desiderabile, ma volgare, forse era per questo che tutti la volevano. In effetti, Leonardo aveva fatto fatica a trovare disponibile per un colloquio Sandy, nome d’arte di Sondra Katona.

«Parla» le intimò.

«Non so nulla. Voglio dimenticare».

«Parla, ho detto».

«Ero lì, mi stavo spogliando e qualcuno mi ha dato una botta in testa. Vede? Sei punti e per alcuni giorni non ho potuto lavorare. Adesso ho l’arretrato da smaltire».

«Ricordi cos’è successo?».

«No, solo un dolore fitto alla testa, poi più nulla».

«Renzo Vagliani era nervoso?».

«Era molto rilassato, speravo si innamorasse di me e mi sposasse, a volte ho a che fare con dei rospi. Era un bell’uomo!».

«Non mi interessano i giudizi estetici». Leonardo si chiese cos’avrebbe detto Sondra vedendo il suo bell’uomo sul tavolo dell’obitorio. «Avrai visto qualcosa».

«Ho detto di no».

«Ottima notizia» si lasciò scappare.

«Come ha detto?». La ungherese lo guardò senza capire.

«Non ho detto nulla». Leonardo abbandonò il topless-bar: Sandy si era salvata la vita.

«Parlo a nome degli Invisibili».

«Mi dica».

«Allora, hai avuto notizie?».

Leonardo si leccò le labbra. «Signore, nessuno sa degli Invisibili».

«Mi fa piacere. Nessuno deve più indagare sui nostri omicidi. Lo facciamo per lo Stato, non per capricci da mafiosi».

A Leonardo non interessava sapere che affari facessero le tre vittime. «Direi che è tutto finito».

«Non proprio» gli ingiunse la voce dall’altra parte del telefono.

«Sì?».

«Vai alla porta».

«Lo farò».

«Bene».

«La saluto».

«Sì, buona serata».

Leonardo posò la cornetta, si grattò il cuoio capelluto e chiedendosi cosa intendesse il capo degli Invisibili esitò, aveva una brutta sensazione.

Ma no, io sono loro amico, cosa vuoi che mi succeda? Era divertito da quella diffidenza, ma si confessò che da quando collaborava con l’AISE, non riusciva più a essere sereno. Meno male che fra un anno sarebbe andato in pensione.

Andò alla porta.

La aprì.

Una fiammata lo investì e diventò una torcia umana.

Il mondo era diventato dolore.

«Mi spiace, povero Leonardo».

Era una scena patetica: i famigliari, gli amici, i colleghi in divisa.

Funerale dell’ispettore Leonardo Guidi. Stava finendo.

L’ispettore Silvio Farnè scosse la testa. Era stato uno strano incendio, però.

Uscì dalla chiesa e il cellulare gli squillò.

Un numero privato.

«Chi è?».

«Parlo a nome degli Invisibili…».

-°-

https://www.amazon.it/Kenji-Albani/e/B07M742XNN/ref=aufs_dp_mata_dsk

https://delos.digital/autore/662/kenji-albani