Racconto di Leonardo Lastilla

(Prima pubblicazione)

 

Tanto lo so che l’unica cosa che vi interessa è sapere cosa c’è qua sotto. Anzi come è fatta, perché cosa ci sia lo sapete benissimo. Potrei fare come Caterina Sforza ma non ho la stessa spavalderia. Sono mediamente riservata io. Non riesco però a sopportare l’evidente e sfacciato rimestare visivo di certi uomini tra le mie forme, come ladri che cercassero gioielli nascosti dentro i cassetti, per l’appunto propriosotto la biancheria. Una volta, esasperata, chiesi ad uno che mi fissava come se fosse imbalsamato: “Ma non ne hai mai vista una?”. La sua risposta mi spiazzò: “Ne ho viste tante, ma non la tua. Ognuna è diversa e unica.” In un certo senso aveva ragione e sembrava volermi dire, nel suo modo totalmente assurdo, che fosse proprio interessato a me, in quanto io, speciale e rara. E che non mi considerasse come una fra le tante. Peccato che, come per tutti gli altri, il suo interesse partisse dal basso e non si alzasse oltre una certa misura. Mai nessuno che sia interessato, da subito intendo, a vedermi prima come una persona con cui intrattenersi per scambiare opinioni e pensieri su qualsiasi argomento. Ne sono pienamente capace, sapete? Gli sguardi di certi uomini, fortunatamente non tutti (ma dove sono gli altri?), sono freccette che centrano sempre il bersaglio e fanno male quando la punta di acciaio penetra nel sughero. Il diverso punteggio è determinato dall’intensità di quelle occhiate ma anche quelle più deboli milacerano. Mettiamo subito in chiaro una cosa: sarei un’ipocrita se dicessi che non mi piace essere guardata. E sono ipocrite tutte le donne che lo dicono. Essere guardata è sublime eccitazione. È confortante avere la consapevolezza che la tua apparente insignificante personasia percepita da un estraneo. Essere vista da un altro è in fondo la certificazione che esistiamo veramente e che non siamo delle ombre. Se nessuno ci guardasse, passeremmo le giornate ignoratee scansate. L’ autostima ne beneficia in maniera insospettabile. Entrare nel campo visivo di un altro fa temporaneamente dimenticare le insicurezze e le paure, spesso immotivate, con cui ci flagelliamo pensando di non essere abbastanza attraenti o sufficientemente all’altezza. Fin da bambini, tutti non chiediamo altro che essere notati e, come bambini, frigniamo quando questo non accade.

So anche benissimo che la seduzione passa dagli occhi e che guardarsi è sia una forma di conoscimento che di riconoscimento. Il primo sguardo è come la luce che riaccende le stanze dell’anima rimaste al buio per troppo tempo, se non per tutta la vita. È la prima parola del nuovo alfabeto che due innamorati creeranno e con cui scriveranno la loro storia. Non a caso quando una relazione finisce si abbassa lo sguardo: la lingua che si era usata fino a quel momento diventa lingua morta, muta. All’inizio uno sguardo d’amore può essere anche l’annunciazione di una profezia che si avvererà perché non si può fare a meno di crederlo. Tanta letteratura, ovvero tanta vita, è passata dagli occhi, scritta con l’inchiostro intinto in una sbirciatinafugace oppure nella folgorante vista di chi intontiva i sensi di un altro.  Guardare è un’arte, senza la quale tanti capolavori pittorici o architettonici non sarebbero nati. Saper guardare è poi una forma di cura con cui trasmettere un messaggio di rassicurazione, di presenza e appunto di amore. Infine lo sguardo ricambiato è la manifestazione più profonda di desiderio. Insomma, in sé e per sé guardare non è peccato. Lo so. Ma c’è modo e modo. Mi sto accorgendo, con crescente consapevolezza, che il modo in cui vengo guardata ultimamente non mi dà affatto piacere. È esattamente l’opposto. Si tratta di un turbamento traumatizzante. Ad esempio, quando sono in palestra a fare i miei esercizi, piegando il mio busto per assecondare i movimenti oppure quando mi devo chinare, per strada o al lavoro, per raccogliere qualcosa che mi è caduto, mi sento sventrata da bombe provenienti da prospettive diverse, trivellata come se occhi sconosciuti scavassero un tunnel dentro di me, perforata da mitragliatrici visive che mi bruciano i sensi. In ufficio, specialmente d’estate, gli occhi dei colleghi percorrono la mia scollatura come fossero formiche o scarafaggi che si infilano tra i bottoni seguendo le linee del mio seno per precipitare giù lungo la pancia. È sconfortante e ingiusto essere linciata dai fischi e dagli epiteti degli sconosciuti mentre passeggio o prendo l’autobus. Se accavallo le gambe, sia che abbia la gonna sia che non ce l’abbia, vengo assalita dai grugniti di animali pronti a saltarmi addosso. Sulla sdraio, in costume da bagno, intuisco nettamente il puntino rosso proveniente dal mirino del cecchino di turno, pronto a eiaculare la sua bava. Punto rosso che inevitabilmente identifica l’obiettivo da colpire in un capezzolo, una piega, una fenditura a piacimento tra le tante. Non sono neanche una donna bella. Almeno io non mi reputo tale. Ma questi uomini non cercano la bellezza, vogliono il possesso e la sopraffazione. Non si tratta nemmeno più di oggettificazione sessuale, quanto di pornograficazione, cioè la profanazione dell’eros. Lo sguardo pornografico, come lo chiamo, mi cancella interamente. Vengo consumata e basta. Quello che dovrebbe essere un palcoscenico per due, se io ricambiassi quelle occhiate, diventa un triste palcoscenico dell’uno, senza controparte. E rafforza la trasformazione perversa e narcisistica del sé di chi guarda. Un esibizionismo osceno, figlio di un’epoca esibizionista. Io, invece, penso di avere diritto al mio pudore e alla mia intimità e credo di dover essere io a decidere se voglio essere guardata, anche in maniera maliziosa, e soprattutto da chi. Ho provato a rispondere a modo qualche volta, a chiedere rispetto e pure a mandare qualcuno a quel paese. Di questi tempi, tuttavia, c’è da aver paura a fare così. Non sai mai come possano reagire certi individui. Dato il poco rispetto che si dà alla vita degli altri, mi tocca pure subire in silenzio.

Si dice guardare e non toccare e per molte donne va bene così. A volte, lo ammetto, anche io guardo gli uomini e qualche pensiero provocante ha la meglio su di me. Ma il mio guardare non oltrepassa mai la soglia posta dai confini dell’altro. I miei sguardi sono evasione e non invasione. Invece, il modo di guardare di certi uomini è quasi peggio di essere toccata.

Quando ero più giovane, adolescente, paradossalmente gli sguardi dei maschi non mi davano così fastidio. Anche allora si trattava di sguardi atti a frugare nella mia intimità e a rubarmi l’innocenza. Probabilmente ero ingenua ma avevo però l’impressione che ci fosse del desiderio sincero allora. O forse ero io a desiderare inconsciamente quel desiderio. L’obiettivo era sicuramente quello di portarmi a letto e quindi per nulla differente da ciò che gli uomini vorrebbero ora da me. Ero sicuramente un oggetto anche trent’anni fa ma ero un oggetto che prima o poi sarebbe diventato soggetto. Insomma chi mi guardava lo faceva per attrazione ma anche perché voleva una relazione reale con me. Ho ceduto a molti di quegli occhi. Compreso a quelli di mio marito, il quale, la prima volta che ci siamo incrociati, mi osservava con supplichevole trasposto quasi a chiedermi di andare a riempirgli un vuoto. Così ho fatto. Credere che l’amore sia possedere le tessere necessarie a completare il puzzle visivo della persona con cui si ha una relazione è verosimilmente presuntuoso ed erroneo perché si finisce poi per sviluppare una dipendenza. Ma è un bisogno quasi naturale. Da quel giorno io e mio marito ci riempiamo i rispettivi sguardi e fino ad ora ha funzionato. Stiamo bene insieme.

Oggi invece mi sembra che gli sguardi degli uomini siano più sporchi e più corrotti. E non perché io non abbia nessun interesse in altri uomini, essendo già a posto con mio marito. Piuttosto perché in questi nostri tempi, forse a causa di un’esagerata civiltà dello sguardo dove la realtà esiste solo se viene vista, gli sguardi non servono più per sedurre, condurre a sé, ma per conquistare e affermare la propria esistenza, a discapito di quella degli altri. Si guarda per scaricare sugli altri la propria visione e poiché non si sa più parlare, si usano gli occhi per manifestare i propri pensieri, senza filtri e senza perdere tempo. Adesso gli occhi dei maschi spogliano immediatamente il corpo delle donne; lo violentano con aggressivo furore; lo maneggiano a loro piacimento rovistando tra i dettagli.

Queste riflessioni un po’ cupe mi fanno compagnia mentre sto facendo colazione nel bar vicino al mio ufficio dove tra poco salirò per cominciare un’altra intensa giornata di lavoro. Questa abitudine di sedermi al bar prima del lavoro e vedere la vita passarmi davanti è una pratica che mi rilassa, una sorta di meditazione. Oggi i miei pensieri sono un po’ più pesanti ma sono veramente stufa di scontrarmi quotidianamente sulla pedanadell’interazione contro occhi maschili affamati di carne su cui affondare i denti. Proprio mentre chiamo il cameriere per pagare mi accorgo di essere fissata da un uomo, crocifisso sulla sua stessa fissazione. Accortosi di essere stato scoperto, non fa una grinza; resta immobile senza distogliere lo sguardo che, anzi, si fa più intenso, Mi sale il sangue alla testa e con molto sgarbo gli urlo: “Oh ma che c’hai da guardare? Vattene!”. Lui, tranquillo, risponde: “Guardo te. È un problema?”.

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