Racconto di Giovanni Boncristiani
(Quinta pubblicazione – 18 novembre 2020)
Anni fa i condomini non c’erano o almeno non li chiamavamo così; non c’erano neppure le anonime periferie urbane, si abitava in città oppure in campagna e noi abitavamo nel centro storico di Pisa in un grande palazzo antico o forse solo vecchio.
Ricordo che nel nostro c’erano ancora i campanelli, oramai in disuso, quelli azionabili da pomelli e funzionanti con lunghi cavi metallici. Tirando le manopole, alloggiate in un pregiato incavo in marmo posto a fianco del portone di ingresso, si azionava una determinata campanella, il tutto grazie ad una serie di fili, bielle e strani meccanismi; traccia di quando ancora l’energia elettrica non era conosciuta.
In ogni edificio di quel tipo c’erano diversi appartamenti dove vivevano famiglie spesso apparentate tra loro o comunque da famiglie i cui componenti si conoscevano da anni e per questo erano legate da sincera amicizia.
Ricordo che questi palazzi, dalle nostre parti, venivano chiamati «casamenti», letteralmente: grandi edifici abitativi con numerosi appartamenti. Per noi però erano qualcosa di più, una sorta di microcosmo, una comunità, come un piccolo borgo dove tutti ci conoscevamo intimamente e ci frequentavamo.
Si chiamava il vicino se ne avevamo bisogno oppure solo per stare insieme.
Si contattava il vicino per invitarlo a pranzo oppure per guardare assieme quel nuovo aggeggio chiamato Televisore.
Si “disturbava” il vicino per chiedere se aveva del prezzemolo, oppure ancora per lasciargli in custodia il pargolo.
Se si cucinava qualcosa di buono se ne faceva un po’ di più per donarlo al vicino.
Una comunità gioiosa e unita, entità oramai quasi completamente scomparsa.
Nel «nostro» casamento abitava anche Pietro.
Pietro era una brava persona. Da giovane era stato un abilissimo giardiniere alle dipendenze dell’Opera del Duomo di Pisa, ente che gestisce la piazza su cui si erige la famosissima torre pendente.
Nonostante la piccola statura Pietro aveva le mani grandi e robuste, tipiche dei contadini di una volta e, malgrado ciò, riusciva a maneggiare piante e fiori con una delicatezza impensabile.
In tarda età, erano gli anni ’60, ha vissuto con la moglie nell’appartamento sotto quello dove io e la mia famiglia abitavamo. Mio padre andava spesso, nel tardo pomeriggio, a leggergli dei libri in quanto da anni lui aveva perso l’uso della vista.
Nella bella stagione si mettevano sul piccolo terrazzo in marmo bianco che si affacciava sui verdi giardini interni. Ricordo ancora oggi che, quando andavo sul mio terrazzo, udivo, senza distinguerne i contenuti, la voce di mio padre e talvolta quella di Pietro.
Ero ancora un ragazzo e fui chiamato dalla anziana moglie ad aiutarla a riportare a letto suo marito che pareva addormentato sulla comoda poltrona posta sul balcone; lo presi in braccio come si fa con un bambino, lo adagiai nel suo letto, infine lo coprii.
Poco dopo seppi che era beatamente morto.
Lo ricorderò sempre così, semplice e gentile come un bambino, forte e generoso come un contadino.
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