Racconto di Daniele Piazza

(Prima pubblicazione)

 

È lì; all’angolo della piazza, lo vedo arrivare tutti i giorni alla stessa ora, che sia bel tempo oppure piova, che sia estate oppure inverno.
Lui, tutti i giorni, arriva.
Ha un baracchino d’altri tempi, a forma di vecchio ferro da stiro, buono per le caldarroste in autunno e per i gelati quando l’afa ti chiude il respiro.
Arriva e si ferma, calmo, tranquillo, sul viso l’espressione un po’ ironica di chi conosce la vita e i segreti che cela.
Poco a poco arriva gente, si avvicina mette mano al borsellino e acquista il suo cartoccio.
Non ho mai capito, di preciso cosa ci fosse nel cartoccio, vedo solo gente che arriva, indica, paga e se ne va soddisfatta con il pacchetto.

“È lì, è da un pezzo che lo vedo osservarmi da quella finestra di quel palazzo a lato della piazza. A volte mi aspetto di vederlo tra la gente che viene per comprare i miei cartocci, finora non è venuto, ci sarà tempo, prima o poi tutti passano di qui, basta saper aspettare.”

Oggi sono anch’io in fila, alla fine ho deciso di capire cosa ci sia in quei cartocci e, visto che ero già in giro per commissioni, questa volta mi son fermato, ma non riesco a vedere bene di cosa si tratti, le persone davanti a me coprono il bancone fumante e non si capisce cosa ci sia sotto la leggera nebbiolina che sale dal banco.
Eccolo.
Lo vedo dietro altri clienti, aspettavo la sua venuta e di fatti, eccolo.
Tocca a me, in realtà sono un po’ in imbarazzo, non so che chiedere, ho cercato di origliare quelli prima di me ma, pare, tutto si svolga in silenzio religioso. Quasi una cerimonia, il venditore si limita a seguire il dito del cliente e ritirare i soldi dopo aver consegnato il fagotto bello chiuso nelle mani dello stesso.
Un normalissimo cartoccio, proprio come quello delle caldarroste, fatto di carta di giornale, tutto, qui.
Il cliente lo prende e se ne va soddisfatto, poco lontano lo apre e annusa il contenuto con aria felice e serena, poi gira le spalle e s’inoltra nella folla.
Sono così preso da queste immagini che il suono della voce del venditore mi fa sobbalzare, tocca a me.
-Desidera?
-Ehm, non saprei, cosa vende esattamente?
-Cartocci di sogni, pensavo lo sapesse, ne abbiamo per tutti i gusti e per tutti i prezzi, dal sogno da un euro fino al sogno da un milione, lei quale vuole?

-Cartocci di sogni?

la mia mente fatica a comporre il pensiero, cioè tutte queste persone che vedo intorno a me, tutti i giorni, in qualunque tempo, vengono qui e si comprano un cartoccio di sogni.
Che vuol dire?
Che sogno posso comprare, il sogno è mio, come posso comprarlo?
E poi, il mio sogno è mio solamente non del signore al mio fianco o della ragazza dietro di me. “Infatti, riprende il venditore, io vendo cartocci di sogni, i sogni li mettete voi, sono vostri e di nessun altro, non potrei vendervi un sogno nemmeno per tutto l’oro del mondo, io, mi limito a vendervi il cartoccio, mi limito a darvi un catalizzatore affinché realizziate il vostro sogno, tutto qui”.
-Perché? la domanda nasce da sola, perché c’è bisogno di questo?
-Io non ho la risposta, vendo solo cartocci.