Racconto di Andrea Cabras

(Prima pubblicazione)

 

Per un mese, in terza elementare, Nico fu il fenomeno della sua scuola.

Fu un mese intensissimo, di una fama che sconfinava dal cortile dell’Istituto Comprensivo ed arrivava fino alla scuola privata, quella delle suore. All’inizio, si esibiva su semplice richiesta. Altri bambini entravano nella sua classe, chiedendo a gran voce il suo numero. Tra di loro, c’era gente che non lo aveva mai visto, ogni giorno più rara, e gente che lo vedeva anche per la quarta volta. Lui un po’ si faceva desiderare, nicchiava. Stava seduto sul suo banco e faceva gesti da umile genio.

Ma no, diceva, non è niente di che.

Dai, dicevano i suoi compagni, prima che finisca la ricreazione. Prima che i bidelli vengano ad urlarci dietro e a rimandarci nelle nostre classi.

Allora Nico si alzava, sbuffando, fingendo di essere tediato dalle luci della ribalta. Si avvicinava alla lavagna, mentre i compagni trattenevano il fiato. Il trucco era trovare un pezzetto di gesso della misura giusta, né troppo lungo, né troppo consunto. Prenderlo tra pollice e indice, leggermente inclinato. Polso flessibile, ma non troppo. Tipo quando sali l’acqua della pasta. Poggiare il gesso sulla superficie nera, premendo il giusto. Braccio quasi a novanta gradi. Ruotare la spalla a trecentosessanta gradi, velocemente, senza pensarci troppo. Bam. Un cerchio perfetto. Arte geometrica, armonia delle proporzioni, bianco su nero. Nico poggiava il gesso sulla vaschetta di plastica e se ne andava come un mattatore navigato, mentre la folla andava in visibilio.

Ero uno spettacolo fenomenale, e la cosa lo galvanizzò, almeno all’inizio. Essere al centro dell’attenzione, lui, bassottino, occhialuto, il tipo di bambino che vedi e ti dimentichi dopo dieci minuti. Non sapeva palleggiare e correva con la grazia di un pinguino, ma come faceva i cerchi lui, nessuno mai. Aveva scoperto questo incredibile talento per puro caso, quando la maestra lo chiamò alla lavagna per risolvere un problema di insiemi. Nico divise i numeri pari dai numeri dispari con una circonferenza perfetta, nella sua prima esibizione di prodezza giottesca. La maestra impallidì, i compagni rimasero inebetiti.

Chi ti ha insegnato a farlo? Chiese la maestra.

Boh, nessuno, rispose Nico, anche lui stupito dalla cosa. C’era gente che sapeva impennare con la bici al primo tentativo, lui faceva i cerchi. Sul come ci riuscisse, andrebbe ricercato negli insondabili e profondi misteri dei talenti innati. Nico, era, con tutta probabilità, predestinato a essere un artista del cerchio.

Con quel cerchio, il cerchio zero, il cerchio d’esordio, Nico diede avvio al più grande fenomeno di massa che la scuola avesse mai conosciuto.

Dopo qualche settimana, Nico iniziò però a sentire il peso della fama. La gente che veniva a cercarlo in classe iniziava ad essere troppa, le continue attenzioni lo facevano sentire sotto costante pressione. Persino i maestri e le maestre volevano un pezzettino di Nico, volevano vedere la sua mirabolante padronanza del diametro. Nico iniziò a desiderare di poter tornare alla sua vecchia vita da sconosciuto, sempre più spesso. I suoi viaggi alla lavagna, tra due ali di folla, si facevano ogni volta più pesanti.

Un giorno, durante l’ennesima esibizione, Nico dimenticò uno dei requisiti fondamentali della sua arte: il non pensarci troppo su. Poggiando il gesso sulla lavagna, pressato dalla schiera di coppie di occhi che lo fissavano, in estatica attesa, Nico pensò al cerchio che stava per fare, che così uscì innegabilmente storticchio. La delusione del suo pubblico fu palpabile. Nico rientrò al suo posto, lasciando il gesso nella vaschetta, sconfitto dalla sua ultima esibizione, ma allo stesso tempo sollevato.

Nessuno, da quel giorno, gli chiese più di fare cerchi. Nico tornò ad essere il Nico che veniva chiamato alla lavagna per risolvere le frazioni, e basta.

Anni dopo, quando il peso della celebrità si era sopito, riprovò a fare un cerchio, mentre nessuno lo vedeva. Nico era ormai al liceo e approfittò di un’aula lasciata vuota. Purtroppo, scoprì con delusione, come il passaggio generalizzato alle ipoallergeniche lavagne magnetiche con i pennarelli, davvero troppo scivolose, aveva condannato il suo eventuale ritorno sulle scene.

Però, nel profondo Nico ne fu felice. Non tutti potevano dire di essere stati famosi, anche solo per un mese.