Racconto di Paola Maria Di Somma

(Prima pubblicazione – 24 gennaio 2019)

 

Il Signor sporco d’unto nei suoi tasconi bulloni e chiavi inglesi.

Per il Signor sporco d’unto la materia oleosa e grassosa formava uno strato della sua epidermide.

Passandosi le mani, incallite e giallastre, tra i capelli o lisciandosi la barba l’effetto lucido era garantito.

Spalmato come una noce di burro su una fetta di pane, così si sentiva quando rientrava nel suo isolato sottotetto, situato all’ultimo piano di un edificio di epoca vittoriana sulla sponda destra del Tamigi.

In una Londra del 1950.

Un ambiente ristretto, essenziale: cucinotto, bagno, zona notte.

Si è sempre accontentato il Signor Gregory, convinto che uno spazio più ampio avrebbe ingigantito l’assenza di un figlio che non ha cresciuto, come se le dimensioni di una stanza ponessero un limite al suo senso di colpa.

E’stato giovane Gregory, ma anche padre e vedovo.

E’stato solo quando ha optato per l’adozione di Eric per non privarlo di una vita profumata, lontana dalla puzza dell’esalazioni e dalle maleodoranti ristrettezze economiche.

Cosparso dai liquidi del congegno allontanava ogni pensiero e rimorso. Già il congegno. Prendersi cura di quel meccanismo così ben incastrato nei suoi metallici pezzi, era la sua professione nonché principale distrazione. Quell’ingranaggio con l’emissione di vapore, quel continuo avvitare e svitare rientravano nelle sue funzioni che esplicava in quanto addetto del Tower Bridge, il Ponte della Torre.

Il ponte mobile, che dopo la posa della prima pietra nel lontano 21 giugno del 1886, è ancora oggi una delle attrazioni principali della capitale londinese.

Ma Gregory non è solo un uomo di mezza età, di media statura, mediamente incolto che interloquiva con tonnellate d’acciaio, pistoni e manopole riscaldate.

Lui era l’uomo dell’atteso segnale nei giorni di densa foschia. Solo se dato il segnale, il sollevamento

del ponte avveniva, consentendo il flusso del traffico fluviale. Difatti le navi di grosso cabotaggio, durante la traversata del Tamigi, rispondevano a quel campanello come se avesse bussato ad una delle cabine. Si compiaceva il volto rugoso di Gregory, in quei momenti comandante della Torre.

Nei giorni di sole i sottufficiali, che lo coadiuvavano nelle sue direttive di vigile fluviale, erano le lanterne semaforiche.

Fu proprio il cattivo funzionamento del segnale luminoso, la sequenza anormale del rosso e del verde, a distogliere Gregory dalla ruota meccanica precipitandosi sull’estremità del ponte dove erano collocate le luci alterne.

Imminente il suo intervento per evitare danni collaterali all’innalzamento delle piattaforme.

Ma i suoi scarponi, rivestiti da una patina d’olio da sembrare appena lustrati e poco aderenti sul suolo stillante di rugiada, lo “gettano” nel corso d’acqua. Scivola nel canale come se fosse una fuoriuscita dell’affluente. Non disperava mentre annegava. Immaginava il suo Eric con le sembianze e la voce rauca di uomo adulto, prima di addormentarsi sul letto del fiume.

Ma il suo corpo anziano, dove ormai c’era poco da avvitare ma tutto da rottamare, non fece in tempo ad essere risucchiato dalla gelida corrente. Afferrato per la tuta marrone fu riportato in superficie tra lo sgomento e il sollievo dei curiosi turisti e i naviganti.

Tre giorni, dopo provato fisicamente, ritornò al suo posto di comando e prima di azionare il motore a vapore scorse un berretto da marinaio. All’interno della fodera bianca le parole che allontanavano la vecchiaia dalla solitudine: << Siamo membri dello stesso equipaggio. Salvarle la vita ne ha cambiato più di una. Tornerò con il Capitano Eric che non ha mai smesso di cercarla.>>

Tutto è andato liscio come l’olio.