Racconto di Ambrogio Bozzarelli

(Terza pubblicazione)

 

Sedeva sempre accanto alla finestra, tutta rannicchiata in quella sua posizione quasi immobile come fosse statua; ma, se osservavi bene, potevi ascoltare il suo respiro lento e con più attenzione vedere anche quelle sottili vibrazioni provenienti dal suo velocissimo sferruzzare. Lei era così anziana, e con la vista sempre più debole fino a far nascere quei meravigliosi maglioni tutti lavorati: creati come per incanto dalle sue dita nodose. Gianni era abituato ai quei silenziosi suoni, li conosceva si può dire da sempre, perlomeno da quando la nonna era venuta a vivere in casa con loro. Era piccolo allora, avrà avuto due o tre anni, non ricordava con precisione, ma sempre gli rimase il ricordo della prima volta quando la vide quell’inverno, seduta con il viso quasi appoggiato al vetro, piccola donna un po’ fragile con le mani appoggiate al termosifone caldo posizionato sotto il marmo che faceva da base alla finestra. I capelli bianchissimi, ancora tanti per la sua età e abbastanza lunghi ma tutti raccolti in quello che lui vedeva e chiamava un “ tubo alto”: espressione che piaceva molto alla nonna che ne rideva con gusto. Quella prima volta, però, Gianni ancora non aveva coniato il termine, ma era rimasto come affascinato dalla visione di quella persona così diversa dalla mamma e dal papà.

Gli avevamo spiegato che era la “ nonna”, una parola per lui del tutto nuova, che dopo ben cinque anni era uscita dall’ospedale dove era stata curata da una brutta malattia.
Imparò presto a pronunciare con sicurezza la parola “ nonna” e scoprire quanta dolcezza vi fosse in quel suo sorriso, in quei suoi occhi azzurri che brillavano sempre quando si posavano su di lui.
« Smettila di perderti in sogni! » lo apostrofò la madre mentre lui se ne stava sul balcone mollemente allungato sulla sdraio con gli occhi chiusi a prendere il sole.
« Vestiti a modo che andiamo a fare la spesa. »
Aprì gli occhi scosse un poco le spalle e si alzò: «Perché così non va bene?» Guardava la madre toccandosi ora la maglietta, una “t shirt” ove campeggiava la scritta “Grateful dead” sopra una rosa rossa su di un bianco scheletro, ora i pantaloncini corti.
« Ma dai, Gianni! Non fare lo scemo! Ricordi cosa diceva la nonna?»
Gianni aveva 21 anni e la nonna, la sua bellissima, amatissima nonna non c’era più da due anni.
« Quando esci devi vestirti a modo!» Continuava la mamma «E ti pare questo il modo? »
« Eh già, la nonna! A proposito dov’è che andiamo? »
« Al supermercato, c’è da comprare un bel po’ di verdura, di frutta, su sbrigati che facciamo tardi. »
Con una nuova scrollata di spalle per tutta risposta Gianni si diresse nella sua camera per cambiarsi e con un colpo improvviso, quasi di rabbia, chiuse la porta dietro di sé.
Passarono dieci buoni minuti prima che la madre sbottasse aprendola:
« Ma allora, sei pronto?» Per poi rimanere interdetta alla vista del figlio ancora vestito come quando era sul balcone.
« Ma dico. Scherzi? Sei scemo o lo fai? ».
« La nonna … » quasi sussurrò Gianni, sorrise e si avviò verso la porta d’ingresso mentre la madre lo seguiva muovendo la testa con quel gesto di diniego che mostra sufficienza e perdita di speranza.
Sorrideva Gianni, sorrideva mentre scendeva in silenzio le scale, sorrideva perché in quel momento ricordava.
E ricordò ancora tante volte quel giorno, l’ultimo volta che la nonna volle uscire da casa.
Ricordò le sue parole: « Gianni, senti fammi un favore, mi accompagneresti con l’auto a comprare un po’ di verdure? »
Gianni era contento, aveva preso la patente da un anno e la preghiera, la voglia, l’affidamento che la nonna dimostrava in lui gli procuravano gioia e immensa soddisfazione.
« Certo, nonna, in che negozio vuoi andare? »
«  Prendi l’auto che mentre andiamo te lo dico. »
Così quel giorno, sulla vecchia 500 L di colore blu scuro, la nonna lo fece andare lontano, molto lontano da casa, dalla città e dai supermercati. Lo guidò, letteralmente, fuori dal caos cittadino.
« Ecco! Ora gira a destra e segui quella strada lì che sale. »
« Quella nonna? Sei sicura? È stretta e persino male asfaltata …»
« Vai tranquillo, io mi fido di te, no? E tu allora fidati di me! »
Ancora qualche chilometro tra le colline, circondati dalle fronde degli alberi che filtravano i raggi del sole e poi distese di verdi prati tutt’intorno, sin che la strada terminò dentro un cortile.
« Ma nonna qui è privato …» Gianni era perplesso.
« Fermati e scendiamo!» Pareva un ordine, anzi in effetti lo era.
La nonna s’incamminò con passo sicuro verso una vecchia porta in legno posta al centro di un lungo caseggiato, una tipica fattoria di una volta, si trovò a pensare Gianni. Poi lei suonò il campanello e venne ad aprire un uomo di una certa età, un po’ tozzo, dalle fattezze tipiche di un contadino, con braccia robuste e gambe un poco arcuate.
La nonna lo salutò come una vecchia conoscenza, poi indicando il ragazzo:
« Giuan, ti presento mio nipote Gianni.»

E lui ricordava.
Ricordava e per sempre, sempre, ricordò quel pomeriggio passato con la nonna nel campo; tra fiori, frutti e verdure: vi rimasero sino a sera, senza acquistare nulla, soltanto per ammirare, per percepire il profumo, per scoprire che le pesche non sono tutte uguali, ma alcune più mature altre meno, che le carote sono di diverse dimensioni e nessuna perfetta. Erano rimasti lì solo per capire che quello che conta non è la bellezza in superficie, ma quello che c’è dentro, per comprendere la realtà, quella vera.
Sorrideva ancora mentre apriva il portone del condominio alla madre. Fu allora che Lei lo osservò con altri occhi, gli occhi del suo ricordo riflesso. Rispose al sorriso, quantunque non fosse diretto a lei, aprì la borsa dalla quale tolse le chiavi dell’auto, sorrise di nuovo porgendole al figlio:
« Andiamo, ma guida e portami tu, come hai fatto con la nonna.»

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