Racconto di Filippo Saguatti

(Prima pubblicazione)

 

Ha lasciato sua madre dal medico d’accordo di tornare a prenderla tra un’ora e si è incamminato lungo la strada trafficata. Il cielo è coperto di nuvole color neve sporca nonostante il caldo della piena estate. Per un momento pensa di aspettarla sedendosi sulle panchine del marciapiede e forse il frastuono dei mostri che si precipitano in tutte le direzioni per non arrivare mai in nessun posto lo spingerebbe a urlare fuori i pensieri, che stanno sempre chiusi a mormorare sicuri nella sua testa. Poi intravede un viale alberato e lo imbocca, sperando che lo porti a un giardino deserto.

Arriva invece a un grande parco e attraverso la rete di recinzione, sparsi in mezzo al verde, intravede una miriade di bambini e un gruppo di (conta) uno, due, tre, quattro… sette ragazzi. Il cancello che ha davanti sembra chiuso; ad ogni modo non sarebbe entrato. Teme che qualcuno gli chieda la ragione della sua espressione, la quale in verità è sempre diversa da come lui vorrebbe e si immagina, perché lascia trasparire i suoi veri sentimenti.

Mentre torna sui suoi passi nota però un’apertura nella rete e, dopo qualche attimo di riflessione, riluttante decide di entrare e si siede poco più in là sull’erba, lontano dalla gente. Estrae il quaderno dallo zaino e scrive: “Chissà quei ragazzi cosa pensano vedendomi. Chissà se almeno uno di loro immagina che non sono di qui, che faccio l’università, che non parlo con mio padre.” Vorrebbe essere lui, per un po’, quel ragazzo che lo guarda, anziché questo seduto sull’erba, vestito di scuro e con la testa china, che sembra fare niente di importante.

Da lontano vede avvicinarsi tre uomini. Non li distingue bene, ma giurerebbe che stiano fissando lui. Forse stanno discutendo di cosa ci faccia lì e di come affrontarlo, come predatori di fronte a una bestia mai incontrata prima. Lui riprende a scrivere e, quando alza di nuovo lo sguardo, le tre figure sono ormai abbastanza vicine. Si accorge allora che si tratta di anziani che avanzano a passo lento parlando del tempo e pensa ai vecchi del suo paese che per lui sono solo dei simboli, la dimostrazione della caducità delle cose e del ciclo dell’esistenza; suo nonno compreso. Una dimostrazione che però non ritrova in sé e nei protagonisti principali della sua vita, che gli sembrano sempre gli stessi da ventidue anni a quella parte. Niente cambia veramente: colori dei vestiti sempre uguali, identica la pelle rimarginata dopo una ferita, immutabile il mondo intorno. A volte dubita della realtà stessa dell’esistenza.

Nell’aria grigia e ferma del pomeriggio all’improvviso qualcuno urla “Mezzanotte!” e proprio in quel momento il prato si illumina, come se il sole sia uscito credendosi la luna. “Potrei anche credere a quel tizio che scherzosamente mi dice che ora è mezzanotte e non battere ciglio: me ne andrei a casa insieme a tutti gli altri abbandonando mia madre e giustificherei me stesso pensando a come il tempo passa senza che ce ne accorgiamo”.

Eppure, la differenza tra oggi e ieri è tanta; ma lui non se ne sorprende. Forse si rifiuta di crederci proprio perché lo stacco è eclatante, abituato com’è a percepire il passaggio da un giorno all’altro solo dal colore del cielo e dalla forma delle nuvole, o a non percepirla affatto. Scrive sul quaderno: “Ieri è stato solo la continuazione dell’altro ieri senza che la notte abbia spezzato nulla, e la conclusione di due giorni qualunque”.

Ieri: un pomeriggio passato in tre su un divano, in penombra davanti alla televisione, davanti a un ventilatore, alzandosi a turno per andare a prendere altra acqua in frigo come fosse la danza sacra di un antico rituale segreto, in un mondo che deve ancora venire. I loro telefoni avevano ronzato spesso e anche loro qualche volta avevano fatto vibrare quelli altrui; il tutto per mentire e lasciarsi ingannare e non accorgersi che il legame tra loro era più forte.

Oggi invece non c’è stata mattina, il pomeriggio è appena cominciato ed è già quasi l’imbrunire nella sua stanza. Scrive: “Ho tolto una parte di me e l’ho appoggiata qui e ieri è stato forse solo sogni e incubi. Chi può dimostrare il contrario? Non credo che il futuro lo possa.” E del resto, che importanza avrebbe?