Racconto di Myriam Ambrosini

(Nona pubblicazione – 18 gennaio 2021)

 

 

C’era … non lo si poteva negare, quel sassolino, come una perla deforme tra le valve di un’ostrica, si era rintanato nel suo seno.

L’alba stava per affacciarsi su Roma, ancora quieta e mansueta, dopo gli eccessi della notte e le sgraziate dissonanze del giorno e, nei fumi di una veglia agitata, quel sassolino fu la prima cosa che affiorò nella sua mente e per lei fu subito chiaro che quell’oscuro corpuscolo di nulla avrebbe scatenato la più spaventosa delle burrasche nello stagno della sua vita.

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Quella musica briosa invadeva il grande salone e insieme ai tanti lampadari scacciava le ombre negli angoli, scivolava soave sulle pareti, abbracciava tutti gli ospiti, così eleganti ed ubriachi di vita.

Ed anche lei, più di ogni altro, era ubriaca di vita. Le occhiaie abilmente celate da un trucco sapiente ed il corpo, valorizzato dal corpetto imbottito del bel vestito di raso verde, metteva in evidenza la sua vita sottile, mentre l’ampio spacco laterale ne esaltava le lunghe gambe affusolate. Nessuno ne avrebbe così notato la magrezza, forse un po’ troppo eccessiva.

Quella nave da crociera era la sua Shangri Là, la sua…per un attimo raggiunta Isola che non c’è.

Lì, in mezzo all’Oceano, in quella sorta di “terra di nessuno”, in quella dimensione parallela, lei era sana, desiderabile e con davanti ancora un futuro certo.

Per un breve battito di ciglia rivide l’opacità nebulosa di quella stanzetta d’ospedale, vide l’ago infilato nel suo braccio, mentre lo specchio rifletteva un volto cereo che non poteva essere il suo e fu assalita da un conato di vomito. Ma fu soltanto un attimo … poi la musica la riafferrò e tutto tornò a colorarsi intorno a lei e lei fu, nuovamente, la splendida donna fasciata dal lungo abito di raso verde.

<Clara Calidei …>

Lei seguitava a fissare i complessi arabeschi che ornavano il soffitto del salone delle feste.

<Clara Calidei…> ripeté la stessa calda voce di prima, con tono ora lievemente ansioso.

<Clara …> chinandosi premuroso verso di lei, suo marito la sollecitò a rispondere.

<Sì … sono io …> disse allora, sollevandosi lentamente dalla sedia dove era seduta.

<Signora, complimenti … Lei ha vinto il titolo di Dame plus jolie di questa crociera!> Fu finalmente lieto di poter affermare il presidente di quella improvvisata giuria.

<E ciò>, proseguì con tono affettato, <le da diritto a consumare i pasti al tavolo del Capitano della nave sino alla fine della crociera>.

Fece poi una pausa d’effetto < Ora venga cortesemente a ritirare la fascia e la statuetta di bronzo che di diritto le competono>.

Un lungo applauso di tutti gli astanti accompagnò quelle parole e, come se non fosse lei ma un’altra a farlo al suo posto, prese, con passo incerto, ad avvicinarsi verso il tavolo dove sedeva la giuria, mentre il fotografo di bordo scattava foto su foto.

La favola bella che da qualche giorno l’avvolgeva pareva avviarsi al suo culmine.

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Il Capitano della nave, con garbo ed eleganza, le cingeva la vita, guidandola in un appassionato valzer. Era un bell’uomo, sui cinquant’anni, alto e snello e poteva ancora vantare una folta chioma castano dorata e due iridi blu come il mare che stavano solcando.

“Cenerentola ed il Principe azzurro …” pensò, osservando il suo elegante vestito da sera, l’impeccabile cavaliere e la fastosa cornice che li circondava. “Sicuramente con qualche anno in più … ma anche con una maggiore certezza di un’unione realmente ben riuscita!”, si confidò poi, non senza un pizzico d’ironia.

D’improvviso, a quella vicinanza fisica, come ormai non le accadeva da tempo, si sentì eccitata … lei, proprio lei che non aveva mai preso in considerazione né amato nessun altro uomo che non fosse suo marito.

Il Capitano parve cogliere nel suo sguardo quel senso d’eccitazione … quasi un non meglio trattenuto lampo di lussuria ed allora, stringendola ancora di più a sé, le sussurrò in un orecchio: <Clara, lei è davvero bellissima e… può credermi…una delle più jolie dame  che su questa rotta e con questa nave si sia aggiudicata il suo stesso titolo!>

Lei annuì, non arrossendo come era al suo solito, e per tutta risposta chiese invece <Non conosco ancora il suo nome, capitano …> e gli regalò un sorriso.

<Pardon, mia cara, ha ragione …> l’assecondò lui, restituendole il sorriso.

<Rodolfo … mi chiamo Rodolfo>.

“Rodolphe” si ripeté lei mentalmente, modificando lievemente quel nome e, d’improvviso, da Cenerentola si sentì trasformata in una peccaminosa quanto infelice Madame Bovary.

I giorni trascorrevano felici e stranianti, solcando il mare con quella nave che s’impegnava a trasformarsi il più delle volte in una sorta di castello incantato.

I pasti condivisi al tavolo del Capitano rappresentavano uno dei momenti più gratificanti dell’intera giornata.

Lei – e non soltanto lei – aveva potuto notare come, nonostante la presenza del marito e dell’altra giovane donna, a sua volta vincitrice del titolo di“demoiselle plus jolie” , tutte le premure e le galanterie del bel Rodolfo fossero indirizzate soltanto verso la sua persona.

Era lei e soltanto lei la regina di quel sogno dorato che attendeva la sua completa realizzazione.

L’acqua era scura ed impenetrabile e le luci di bordo le disegnavano curiosamente intorno un’aureola sfocata, come la corona nunziale ormai un po’ sbiadita di una vecchia sposa.

Affacciata sul ponte superiore di poppa fissava la lunga scia d’acqua che si andava perdendo verso l’orizzonte, quasi triste metafora della sua vita, quando qualcuno le si pose a fianco.

L’oro dei capelli s’inargentò ai raggi di una luna quasi al suo colmo e lei poté riconoscere il capitano della nave.

Tra loro non ci fu bisogno di parole. Intrecciando le dita delle mani in una muta reciproca intesa, si abbandonarono all’ipnotico sciabordio dell’acqua dove si mescolavano e si disperdevano ricordi e speranze.

Distolsero infine gli occhi da quella comune contemplazione e si scambiarono uno sguardo sospeso.

“Quando?” si chiesero in un mutuo volere.

“Quando?”

Il cielo era incredibilmente terso ed i bersagli si distinguevano allora con grande facilità.

Ad ogni “plick” che indicava un bersaglio colpito, lei sapeva che suo marito era ancora impegnato in quella gara “di tiro al piattello” dove sapeva di eccellere.

Plick …” un altro piattello si frantumava sotto i raggi del sole, così come lei si frantumava e disperdeva le tossiche ansie e le artiglianti paure sotto i poderosi colpi di reni del bel capitano.

La morte, anche se non sconfitta, pareva essersi presa una pausa, impossibilitata com’era, al momento, a prendersi quel corpo fremente, ancora così attaccato alla vita.

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Gli occhi appannati sfiorarono per l’ennesima volta le lancette dell’orologio … Lo intuiva … meglio lo sapeva: quello era il suo ultimo giorno … le sue ultime ore di vita.

<Caro …>

Suo marito era lì, come sempre premuroso ed attento, accanto al suo letto di dolore.

<Caro … prima di lasciarti, non posso non dirti … confessarti qualcosa.>

Fu rapida e concisa nel suo racconto, ma non tralasciò tuttavia alcun dettaglio nel riferirgli di lei e del Capitano.

<Perché?> chiese soltanto lui, sconcertato, addolorato, forse anche umiliato, ma ancora una volta privo di quell’astio e di quell’ira che avrebbe invece avuto pieno diritto di nutrire.

“Perché?” si ripeté a sua volta, bisognosa forse ancor più di lui di conoscere la risposta.

<Il corpo … il corpo ha parlato … ha agito per me, quasi a volersi far perdonare il suo tradimento>, sussurrò poi con quel po’ di voce che le rimaneva.

<Un corpo che, forse per l’ultima volta, ha espresso le sue esigenze vitali … ed anche la trasgressione… ha rappresentato come un urlo di ribellione finale.

L’ammirazione che il Capitano aveva mostrato per questo corpo, che io sapevo già preda della morte, ma che si rivelava ancora capace di eccitare i sensi di un uomo così piacente e di risvegliare quelli miei ormai già assopiti, ha rappresentato la miccia che ha poi dato il via all’esplosione.

Per quanto macabro, c’era qualcosa d’irresistibile nel pensiero che il Capitano, mentre stringeva tra le braccia quella bella donna, così desiderabile nel fasciante abito di raso verde, stava in realtà già stringendo un cadavere … qualcosa che, di lì a poco, sarebbe divenuta soltanto putrida e marcescente materia.

Il teatro della mia vita che si chiudeva con una sorta di opera buffa … il beffardo cachinno che il destino da ultimo aveva in serbo per me.

Eros e Thanathos … le due forze che regolano e reggono il mondo.

Perdona dunque questo mio corpo … per tutto!>

L’orologio seguitava a far girare inutilmente le lancette per chi ormai del tempo poteva bellamente beffarsi.

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Il Natale era ormai alle porte e la crociera era al suo colmo.

Nel salone delle feste, appoggiato ad una parete, il Capitano osservava, confusa tra le tante altre di repertorio, la foto di quella bella donna, così desiderabile nel lungo, aderente abito di raso verde.

“Clara …” pensò allora e fremette al ricordo di quel corpo caldo ed appassionato che con tanto slancio si era donato e stretto a lui.

“Clara …” ed ebbe il desiderio improvviso di telefonarle … di rivederla, ma qualcosa d’indefinibile, qualcosa che neppure lui fu in grado di spiegarsi glielo impedì.