Racconto di Angela Catalini

(Prima pubblicazione – 27 dicembre 2019)

 

Era la terza volta che Liliana guardava verso la finestra e scuoteva la testa prima di tormentare la sfoglia che era ormai pronta per il forno.

La sorella era seduta vicino al fuoco, in grembo aveva il cucito che doveva terminare entro la settimana. “Allora, non è ancora passato?” disse senza alzare gli occhi dal lembo del vestito che stava rammendando.

Liliana si morse un labbro, la sorella la conosceva bene e sapeva che ogni giorno scrutava la valle per vedere se arrivava il suo antico amore. Si erano conosciuti da giovani, a una festa paesana e si erano intesi fin dal primo momento. Sembrava una cosa destinata a dare buoni frutti, ma avevano entrambi un caratteraccio e alla prima discussione si erano allontanati a causa dell’orgoglio e della cocciutaggine di entrambi. Con il passare del tempo poi, era diventato più difficile tornare sui propri passi e la separazione era diventata definitiva.

Lui non si era mai sposato e neppure Liliana aveva preso marito. Erano rimasti “spaiati” come si diceva in paese, due anime sole. Perse. Lei lavorava alle risaie, poi erano sopraggiunti gli acciacchi dell’età e si era messa a impagliare sedie e fiaschi. Lui invece pascolava le capre e le pecore e non aveva più un nome, tutti lo conoscevano come il capraio.

Non si parlavano, però tutti i giorni lui passava vicino alla casa di quella che una volta era stata la sua fidanzata, si fumava un sigaro vicino al cancello e poi riprendeva il cammino. Era un’abitudine al quale non aveva mai rinunciato in tanti anni, un modo per salutarla, per dirle “Eccomi, sono ancora qui”. Però quel giorno non si era visto.

Liliana resistette fino a mezzogiorno, quando il sole cominciava a cuocere la strada, poi, senza dire niente alla sorella, si mise un fazzoletto sulla testa, lo legò sotto al mento e prese un viottolo che costeggiava il fiume: era la strada più corta per raggiungere la casa del capraio.

Durante il cammino sentiva il cuore che andava come una vaporiera, ma non erano solo la fatica o il caldo a darle noia, era preoccupata, ansiosa. In fondo avevano la stessa età e tutti e due erano messi male con le ossa e altri malanni.

Quando arrivò davanti alla casa del suo vecchio amore si guardò intorno scrutando ogni angolo con gli occhi celesti ancora belli che le rischiaravano il viso cotto dal sole. Poi lo vide accasciato su una panca, vicino al pozzo. Ebbe un sussulto e si avvicinò per controllare il suo respiro. Si chinò quasi a respirargli l’alito e con sollievo comprese che era vivo e vegeto. Solo un po’ stanco.

Lui a un certo punto aprì gli occhi e la guardò senza curiosità, come se fosse normale che lei fosse lì. “Che c’è?” disse staccandosi dal muro di pietre e recuperando il cappello che era finito nella polvere.

Liliana si voltò verso le pecore che premevano lungo la staccionata. “Quelle non aspettano in eterno” disse.

Lui si alzò e si mise in bocca il sigaro. “Si riparte” fece e liberò le bestiole irrequiete che lo seguirono giulive, ansiose di giungere al pascolo. Liliana restò a guardarlo e per un attimo si immaginò come la moglie del capraio che saluta il marito prima di tornare alle sue faccende.

Anche lui si voltò a guardarla, ma lei era ormai lontana e si vedeva appena l’azzurro del vestito. Cercò di ricordarsi cosa indossava la prima volta che l’aveva vista senza riuscirvi. Non aveva fatto caso al vestito, era lo sguardo fiero e limpido che gli aveva rubato il cuore.

“A domani” disse.

A domani, pensò lei.

 

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