Racconto di Giulia Ancona

(Seconda pubblicazione)

 

Il vecchio capì che era ora di alzarsi. Il suo cane gli girava intorno da un bel po’ tirandogli via la coperta.

– E va bene! Ora ci muoviamo! –

Il vecchio si sollevò, raccolse le sue poche cose nello zaino e si diresse verso i giardinetti vicini. Uno strano silenzio, insolito per quell’ora, lo colpì. Anche le strade, completamente vuote, sembravano catturate nell’incantesimo di un mago. Tutto quella mattina era silenzioso e immobile. Tutto tranne il suo cane che lo seguiva annusando l’asfalto. Di tanto in tanto si fermava per scrollarsi di dosso qualche ospite indesiderato. Si accovacciava e con una zampa tesa fino all’inverosimile si grattava un orecchio.

– Dai, Argo, muoviti! Oggi sembra che nessuno voglia uscire di casa. Siamo padroni della città! –

Argo lo fissava seguendolo senza entusiasmo lungo quelle strade deserte. Avrebbe preferito andare in quel vicoletto pieno di trattorie e osterie. Li, certamente, avrebbe potuto trovare qualche bel bocconcino gettato via da ragazzini rimpinzati da nonni e vecchie zie. A malapena, quindi, Argo, con la coda fra le gambe, seguì il vecchio ai giardinetti.

Anche quel luogo si presentò completamente vuoto. Di solito Argo doveva correre con altri cani lasciati liberi di fare i propri bisogni. A volte doveva cimentarsi con loro in una gara per rivendicare uno spazio dove fare le sue cose in piena intimità.  Oggi tutto lo spazio era suo. Lui e il suo amico avrebbero potuto dormire tranquilli sotto un albero e nessuno li avrebbe disturbati.

Quella calma assoluta rese triste il vecchio.

– Dai, amico mio, andiamo a cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Oggi non e’ giornata per fare amicizie! –

Argo precedette con entusiasmo il vecchio, pienamente convinto che avesse ragione. Di diresse verso il vicoletto conosciuto e tanto amato.

– Sei un gran furbacchione! – gli disse il vecchio sorridendo – Sai bene dove andare e chi ci darà da mangiare! –

Ma la loro trattoria era chiusa e come lei tutti i locali presenti in quella strada.

– Che diavolo succede oggi? Tutto chiuso! Mi sa che ci tocca arrangiarci con i panini che abbiamo. Certo sono un po’ duri, anzi un po’ troppo, ma se li bagniamo con l’acqua si potranno mangiare.

E così dicendo ripresero la strada a ritroso verso i giardinetti.

– Vedrai che li troveremo anche posto per passare la notte. La fontanella ci servirà per lavarci. Dai, Argo, oggi la città è tutta nostra e possiamo decidere dove stare-

Il vecchio parlava, parlava ed Argo pensava che peggio non poteva andare. Padroni un corno, non avevano nulla da mettere sotto i denti.

Delle urla scossero il loro pensare. Da un balcone in alto, una signora insieme ad un uomo, sicuramente suo marito, gridava come una forsennata.

– Incosciente! Delinquente che non sei altro! Te ne vai a spasso con il tuo cane per la città contagiando e infettando con il virus i poveracci che sono costretti ad andare al lavoro. Vattene via, tornatene a casa prima che chiamiamo i carabinieri! –

E così dicendo avevano sbattuto la porta finestre del balcone non prima di aver lanciato loro contro una mela marcia.

– Dio mio! La gente sta impazzendo tutta! – prese a dire il vecchio a voce alta mentre Argo, addentando il frutto cadutogli in testa, pensava che, nonostante il bernoccolo, quella mela era una vera manna per la sua colazione.

– Ma di quale virus parlava quella donna? E di quale, casa? Noi non abbiamo una casa! –

Il vecchio si distolse da quei pensieri quando si rese conto di essere nuovamente ai giardinetti.

– Dai, amico mio, cerchiamoci un bel posto per passare la notte. Forse potremmo stare sotto quel grande albero dove ti diverti con la tua cagnetta –

E così dicendo, aveva tirato fuori dallo zaino la sua vecchia coperta, due panini e una ciotola con la quale si diresse verso la fontanella.

– Eccoci qui! Come ti dicevo amico mio, con un po’ d’acqua questi panini torneranno freschissimi! –

Poco ci credeva Argo che, steso con le zampe anteriori sotto il muso, se ne stava tranquillo al tiepido sole del tardo pomeriggio pensando con nostalgia agli avanzi del cantiniere nel vicolo.

– Tieni, mangia anche tu! – Ripeteva il vecchio quasi felice per il “pane miracolato”, che gli lanciava a piccoli pezzi.

–  Buon per lui che trova il meglio in ogni cosa! –  Sembrava pensare Argo mentre prendeva al volo quel pane ammuffito.

La sera calò e il silenzio diventò ancora più pesante, quasi insopportabile.  Il parco buio si popolò di mille ombre dalle forme più strane.  Ai due quel posto non era mai apparso così spettrale.

– Dai, non ci pensiamo. Non facciamoci impressionare, amico mio. Ne abbiamo viste tante noi due! Che vuoi che ci possa fare qualche ombra? Dai, Argo, vieni sotto la coperta con me e vedrai che dormiremo come due monsignori su questo letto di foglie sotto questo alberone –

Che bel nome: Argo! Gli era piaciuto da sempre. Da quando da ragazzo, a scuola, aveva letto le avventure di Ulisse. La vicenda del cane, Argo, che aveva atteso il suo rientro ad Itaca per tanti, lunghi, anni, lo aveva profondamente colpito. Quel cane era restato fedele al suo padrone senza mai scordarsi di lui. Benché vecchio e molto cambiato, aveva riconosciuto Ulisse per salutato un’ultima volta e poi morire. Da quel momento aveva pensato che se mai, un giorno, avesse avuto un cane, gli avrebbe dato quel nome. E quel giorno era arrivato, quando, solo e abbandonato da tutti, si era seduto su di un marciapiede a piangere. Un cucciolo era apparso all’improvviso dal nulla ed aveva preso a trotterellargli intorno alla ricerca di qualcosa da sgranocchiare. Gli aveva dato un pezzo del suo pane e da quel giorno, Argo, non lo aveva mai più lasciato.

La stanchezza prese il sopravvento. I pensieri diventarono un eco lontano   e il vecchio cadde in un sonno profondo insieme al suo cane.

– Che ci fate qui, voi due? –  Una voce tonante li fece svegliare di soprassalto e un fascio potente di luce li investì entrambi.

Argo prese ad abbaiare furioso. A nulla valse l’invito del suo padrone a farla finita.   Smise di colpo quando una figura più piccola, anch’essa con occhiali, tuta bianca e viso coperto da una maschera, raggiunse l’uomo che li aveva svegliati.

– Non avere paura! Non temere! Siamo volontari. Vogliamo soltanto accertarci che tu stia bene. Ti abbiamo portato qualcosa da mangiare ed una coperta-

Una voce troppo gentile era venuta fuori da uno scafandro che sembrava non appartenergli. Aveva, poi, accostato alla fronte del vecchio uno strano strumento.

– Che mai e’ questa diavoleria che lampeggia? – Pensò Argo – Non saranno mica venuti a prendermi per portarmi in un canile! Il mio padrone sta diventando troppo vecchio, cosa ne sarebbe di lui senza di me? Ma, per fortuna, nessuno aveva avuto il coraggio di toccarlo altrimenti avrebbe saputo lui come metterli a posto! –

I due imbustati in tute bianche, se ne andarono non prima di aver lasciato un bel vassoio con ogni ben di Dio.

– Mi raccomando di prendere le pillole che ti abbiamo dato – avevano raccomandato al vecchio – Torneremo domani a vedere come va. Questa sera sei un po’ accaldato-

– Vorrei veder loro al nostro posto! – Pensò Argo- Per tutto il giorno siamo stati in giro, sotto il sole, senza mangiare ed è normale che ora siamo un po’ fuori fase. Ma questo sicuramente ci rimetterà in sesto! –

– Ma che fai? Mangi a quest’ora della notte? Torna qui con me. Ho un freddo terribile-

– Notte o giorno che differenza fa quando c’è la fame-

Incurante delle proteste del vecchio, Argo ripulì il vassoio fino all’ultima mollica di pane addormentandosi, poi, sazio e felice accanto al suo padrone.

– Credo proprio che dovremmo andar via – Alle prime luci dell’alba il vecchio si era svegliato dando una scrollata ad Argo.

– È preferibile che non ci trovino al controllo, quegli uomini di stanotte-

Il vecchio stando a malapena in piedi, raccolse le sue cose e prese a camminare, verso dove non era chiaro neppure a lui. Certo lì non ci poteva restare, chissà dove lo avrebbero portato se gli avessero trovato la febbre. E poi lo avrebbero separato dal suo amico. Chi mai avrebbe potuto badare ad Argo?

Argo lo seguiva di malavoglia. Qualcosa nel vecchio non andava. Camminava barcollando tenendosi stretta sulle spalle la coperta.  Quella tosse, poi, lo aveva disturbato tutta la notte. Per loro fortuna le strade erano deserte altrimenti qualche macchina avrebbe potuto investirlo.

– Mi sa che qui possiamo fermarci – Il vecchio prese a sistemarsi su una panchina nascosta fra fitti arbusti non potati chissà da quando. Argo lo imitò accucciandosi sotto di essa.

Un forte languore allo stomaco ricordò ad Argo che era ora di trovare qualcosa da mettere sotto i denti. Si diede una bella scrollata e cercò di svegliare il vecchio. Niente da fare. Dormiva profondamente e uno strano rumore gli fuoriusciva dalla bocca. Argo provò ad abbaiare e a tirargli via dalle spalle la coperta. Niente, di niente, nessuna reazione. Argo capì che qualcosa non andava, il suo amico stava male, troppo male. Doveva fare qualcosa, cercare qualcuno! Ma chi avrebbe seguito un cane randagio e poi in giro non c’era un’anima viva. Forse gli uomini in bianco della notte gli avrebbero dato una mano. Raccolse da terra col muso la coperta e la sistemò sul vecchio come poté. Di corsa si diresse verso i giardinetti dove gli uomini in bianco sarebbero tornati al mattino per il controllo, almeno così avevano detto.  Corse a perdifiato dietro il mezzo che, non avendo trovato nessuno, stava ripartendo. Prese allora ad abbaiare. Abbaiò così forte che il mezzo si fermò. Argo non smetteva di abbaiare e tirare l’uomo in bianco che era sceso dal furgone. Il cane si disse che doveva farsi seguire. Riprese la sua corsa verso la strada che portava al suo padrone.

– Ci sta chiedendo di seguirlo! – Si dissero gli uomini – Sicuramente ci porterà dal vecchio di questa notte –

– Povero vecchio! Ha una febbre da cavallo e respira a fatica. Dobbiamo portarlo in ospedale. E il cane? Ma se la sa vedere da solo, non possiamo pensare a lui in questo momento –

Gli uomini parlavano fra di loro mentre Argo continuava a girare intorno.

Quando il mezzo partì a sirene spiegate, Argo lo seguì. Corse fino a non avere più fiato, poi si fermò.

– Non posso farcela – si disse- Cercherò il mio amico con calma, appena mi sarò ripreso un po’-

La notte Argo non dormi. Non per la fame di cui, stranamente, non se ne curava, ma perché gli mancava il suo vecchio. Non poteva abbandonarlo.  Doveva, assolutamente, scoprire dove lo avessero portato. Ma come fare?

– Ci sono! – il suono di una sirena lo aveva attirato – Seguirò questi mezzi che urlano, loro mi porteranno dal vecchio.

Argo iniziò la sua ricerca. Prese a correre ed inseguire ogni mezzo che urlava. Ne passavano di continuo in quelle strade deserte. Corse per giorni, finché, sfinito, si fermò davanti ad un enorme cancello. Da esso uscivano ed entravano uomini bianchi che portavano fuori strani scatolini che sistemavano per terra. Da lontano, immobile, Argo osservava quella fila di scatoloni diventare sempre più lunga.

– Ma quello non ti sembra il cane del vecchio? – Disse l’ uomo in bianco al suo compagno.

– Così sembra! Poveretto non sa che il suo padrone l’ha lasciato! –

Andando via gli lanciarono qualcosa, forse un pezzo di pane, ma Argo non si mosse. Rimase immobile, come impietrito. Non poteva non trovare il suo vecchio.

Non c’era più nessuno che potesse vederlo. Si avvicinò quatto, quatto a quella lunga, immobile fila di scatoloni.

– Che il vecchio si fosse messo a dormire in uno di quegli scatoli? Sicuramente saranno comodi, più del pavimento! –

Annusa, annusa, annusa!

– Lo sapevo, è qui! Questo è il suo odore! Che furbacchione, il mio vecchio! Proprio furbo! Aspetterò che si svegli! Mi accuccio qui e lo aspetto. Finalmente mi riposo anch’io.

– A dopo, vecchio mio! –

Argo si sdraiò ai piedi di quello strano scatolone, posò il muso sulle zampe anteriori e chiuse gli occhi.

Così lo trovarono i militari che vennero   a caricare quelle bare sui loro camions per portarli via verso i forni crematori.  Argo non si era mosso, ma di lui nessuno si curò.

Era morto!

Morto con il suo padrone, anche lui da eroe!