Racconto di Daniele Cretaro

(Terza pubblicazione – 1 aprile 2020)

 

La fine dell’estate mi porta, sempre, inevitabilmente, a due cose: le mie care Martens, e l’odiatissimo, e soffocante, raffreddore. In realtà le Dr. in qualche occasione le indosso anche in estate, ma questo c’entra poco con ciò che voglio dire.

Dicevamo, anche il raffreddore. Come fai a prevederlo? Niente, ti svegli una mattina e ce l’hai, con una o entrambe le narici occupate, che cercano di soffocarti. Ovviamente non hai fazzoletti a portata di mano, ti butti sulla carta igienica che, tanto, per molti, pulirci il culo o la faccia, non fa nessuna differenza; l’unica differenza potremmo trovarla nel numero degli orifizi. Passi la tua giornata, quindi, ansimando, consumando tanta carta quanto l’equivalente di tre alberi, più o meno. La sera esci, per vederti con una tua cara amica. Ti rendi conto, in macchina, che non hai con te, i tuoi amati/odiati fazzoletti: sei a Roma, sono le venti, sei indeciso se arrivare in orario dalla tua amica o trovare un posto dove comprarli, opti per la prima soluzione, sperando che nella sua borsa Poppins un pacco di fazzoletti lo troverai. È raffreddata anche lei. Pensi che fra entro un’ora sarete morti entrambi asfissiati. Ma sei a Roma, dicevamo, no? Quanti semafori ci sono, per le strade della città eterna? Al terzo incontrato, forse al quarto, vedo un uomo, con in mano un rettangolo bianco: fazzoletti, il mio tessssoro di un preciso mercoledì sera freddo di settembre. È rosso, e mi fermo, ma probabilmente mi sarei fermato anche col verde, con tutte le conseguenze del caso (meglio morire tamponati che asfissiati). Mi poggia il rettangolo magico sulla macchina, gli chiedo quanto vuole, dice 2.00 €, io ho solo un euro e cinquanta, gli chiedo se possono andar bene, e mi risponde che non ci guadagnerà granché, visto che lui li compra a 0.95 centesimi, mentre mi lava il vetro. Gli faccio presente che proprio di più non ne ho, che non posso fare diversamente, e se io possa prenderli lo stesso.

Lui risponde che visto che sono stato gentile, per lui non c’è problema, posso comunque prenderli. Ho lavorato per anni con ragazzi stranieri, ma non riesco a riconoscere la sua nazionalità, faccio sempre fatica a riconoscerle, fondamentalmente perché mi interessa poco della provenienza di un qualsiasi tizio. Faccio caso sempre e solo a tre cose: alla maleducazione, alla prepotenza, all’arroganza, che per me si possono racchiudere in un solo termine: idiozia. E, l’idiozia, non ha razza; ma ho capito che, se ce l’avesse, allora sarei fermamente razzista anche io. Ma c’è una soluzione, evitare a priori tutti, che la percentuale di idioti, è abbastanza elevata. Tranne il mio amico del semaforo, ovviamente.