Racconto di Silvio Esposito
(Nona pubblicazione)
«Dove ha detto che devo andare, capo?»
«Al 221b di Baker Street… E mi raccomando, pulisci tutto dopo che li hai fatti fuori.»
All’indirizzo abitava Sherlock Holmes, un brillante investigatore dall’intelligenza sopraffina e un’ottima perspicacia. Amante del metodo scientifico, era un investigatore deduttivo, astuto, imperturbabile e imprevedibilmente ironico. Il coinquilino, invece, era John Watson, il suo compagno di indagini e migliore amico.
Il dottor Watson era un militare che, finita la guerra in Afghanistan, tornato a Londra, aveva iniziato a condividere l’appartamento con l’investigatore più conosciuto di Londra e ora, preso dal torpore, se la dormiva alla grande stravaccato in poltrona.
Dopo una notte turbolenta passata sveglio per colpa di una terribile tempesta, ora era giunto il riposo. “Era più che prevedibile” pensava Holmes al guardarlo dormire pacato. Quindi aveva preso il violino e, portatolo alla spalla sinistra, stava per accordarlo quando bussarono alla porta. Si fermò a riflettere per poi dire, con quel suo tono saccente: “Entri pure, signora Hudson”.
La governante non si meravigliò della cosa, era abituata ormai e, aperta la porta, dopo aver messo in un vaso un serto di fiori d’arancio, quello lanciato da Mary Morstan il giorno precedente subito dopo essere convolata a nozze con Watson, annunciò: «Signor Holmes, ha una visita di sotto, è il…»
“Non dica altro!” s’intromise Holmes perentorio, zittendo la povera governante.
La signora Hudson però non aveva fatto una piega, si voltò e andò via senza proferire parola. Conosceva Holmes e sapeva che, se lo avesse contraddetto, sarebbe finita con una diatriba senza fine. E poi lei aveva altre cose da fare, come preparare il pranzo a quel signor “so tutto io” che l’aveva appena ammonita di fare silenzio.
“Watson, si svegli! Su, non faccia tante storie. Avrà tempo dopo di riposare. Abbiamo infine un nuovo caso da risolvere e non vorrà perdersi i dettagli”.
Dopo essersi stiracchiato, Watson aprì gli occhi e, dopo aver fatto un enorme sbadiglio, si voltò verso l’amico con il tono di chi si sentiva in colpa: “Scusami tanto, Holmes, mi sono appisolato un pochino e non era mia in…”
“Non hai di spina dorsale, amico mio” ribatté Holmes fissandolo severo in volto.
“Rammenta sempre che io sono un dottore dell’esercito, Holmes. E questo vuol dire che potrei romperti tutte le ossa del corpo e, nel mentre, dirti come si chiamano” bofonchiò Watson con tono alquanto risentito.
“Non essere così suscettibile, Watson… comunque approfondiremo l’argomento dopo. C’è qualcuno di sotto che credo abbia bisogno del nostro aiuto”.
Quel qualcuno, però, ora si trovava sull’uscio e attendeva che loro due lo notassero per entrare e finire il lavoro per cui lo avevano pagato.
La governante lo aveva fatto salire ed era un uomo. Il tipo, corpulento, indossava una maschera antigas sul volto e stava per entrare e presentarsi, che Holmes lo zittì, come aveva fatto poco prima con la governante. Ormai aveva preso questo brutto vizio e lo faceva con tutti gli interlocutori: amava dare sfoggio della sua arte deduttiva e non perdeva l’occasione per mostrarla.
“Non dica nulla, signore… Ecco, Lei deve essere un giardiniere… non è forse così?”
“E tu come hai fatto a capirlo, Holmes?” ribatté Watson, che come sempre rimaneva sbalordito dalle deduzioni del suo amico, anche perché alla fine si mostravano essere esatte.
“Elementare, Watson, quando hai eliminato l’impossibile, quello che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità. Vedi, amico mio, se non lo hai notato, sul polsino destro dell’uomo si possono vedere distinte delle macchie di clorofilla e, come tu ben sai, quel pigmento verde è presente in quasi tutte le piante. Dunque, ora usa l’immaginazione, mio caro amico. Einstein in proposito affermò che, se è pur vero che la logica porta da A a B, l’immaginazione porta dappertutto. E di problemi lui se ne intendeva alla grande. Quindi usala. Occorre ampliare le vedute, aprire la mente, come un paracadute e poi farci entrare ogni possibilità, anche la più bizzarra, mio caro Watson”.
L’uomo, stanco di aspettare, interruppe il loro interloquire, che per lui era troppo dotto e non ci capiva niente. “Scusate, Signori! Però vorrei entrare dentro e.…”.
“Scusi Lei, Signore. Ah, a tal proposito, lo sa che l’avverbio che ha usato è pleonastico? Ma lasciamo stare la grammatica e ci dica invece in che guai si trova, siamo tutto orecchi” intervenne Holmes zittendolo di nuovo.
L’uomo a questo punto guardò Holmes, che superava il metro e ottanta e quindi un po’ lo intimidiva. Ma non solo per quello: lo intimidivano anche i suoi occhi acuti e penetranti, che lo fissavano intensamente. Tuttavia si fece coraggio e, guardandolo dritto negli occhi, con candore disse: “Forse c’è stato un malinteso, signori, io non sono venuto a chiedere il vostro aiuto. Hanno detto al mio capo che c’era un’invasione di scarafaggi in atto e quindi sono qui solo per disinfestare l’appartamento. Pertanto, se ora Lei e il suo amico foste così gentili da uscire, ve ne sarei molto grato”.
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