Racconto di Marco Ismaili

(prima pubblicazione – 19 agosto 2020)

 

 

Le luci dell’alba delineavano un nuovo giorno sui campi di Vannette, facendo sorgere i loro corpi e denudandoli della loro vita, privatagli dalla guerra.

Sento il mio cuore esplodere. I suoi battiti ricalcano la fuoriuscita dei proiettili dal mio fucile. Ad un tratto il ricordo di Ryan. Sento ancora sulla pelle i granellini di cenere e il sangue delinearmi il volto. L’arrivo improvviso di una granata davanti ai nostri occhi portò via parte della mia umanità. Mi sentivo troppo paralizzato per reagire e salvare le nostre vite, a differenza di Ryan che senza pensare si lanciò verso la morte. Un vuoto mi riempì la mente. E mi sentii come la terra, sbalzato dal suolo.

L’oscurità non l’ho mai vista così da vicino. Ho paura di perdermi, sembra immensa. Ho paura ma mi sento più al sicuro qui che sul campo di battaglia. Ma non posso. Vedo una luce e devo credere che sia reale per allontanarmi dall’oscurità. Ma sento i tumuli di terra che mi soffocano e schiacciano il petto facendomi sentire l’anima imprigionata.

Pregavo cercando di non perdere la mia fede, sperando che Dio mi ascoltasse ma ormai avevo perso la condizione del tempo e dovevo reagire. Avevo la sensazione che il tempo passasse lentamente, chissà se era cosi anche per la mia famiglia… chissà se anche loro si erano persi nella paura della mia morte. I ricordi si facevano sempre più frequenti mentre vedevo i miei bambini giocare. L’udire le loro voci mi dava la speranza, quelle di Jack e Kevin che mi chiamavano.

Devo lottare, lottare per la sopravvivenza, ma mi sento amareggiato, sento che sto per perdere il controllo. Volevo solo ricominciare a vivere ma da questa guerra avrei ricavato solo il dolore che sto provando. Non so se è la sensazione della morte che sta venendo a prendermi, ma inizio a pensare che sia necessario perdonare coloro che mi hanno portato fino a qui.

Lei è lì. La sua pelle è bianca come la neve mentre le sue guance fioriscono di un rosso vivo. Ricordo ancora il sapore del suo viso, i suoi occhi azzurri in cui vedevo il mare… è un’emozione unica che forse non rivivrò mai più. Ma sono solo polvere senz’anima sotto questa terra deserta. Quando vidi il suo sguardo per la prima volta mi apparve come una splendida creatura fatta di petali e stelle che mi illuminò.

Le lacrime scivolavano lungo il mio volto sporco dal sangue dei miei compagni. Sono solo e mi sento sofferente, il mio viso prende forme diverse all’evolversi dei miei pensieri. Mi sento trascinato sempre più a fondo in questo baratro, non so cosa fare e resto abbandonato tra i ricordi che fino a poco tempo fa erano puro presente. Ho la sensazione che il mondo continui a girare mentre io, fermo, respiro piangendo la mia vergogna. I frammenti di terra mi circondano come spettri, che camminano nel campo di battaglia ormai perduto, vissuto solo da anime. La mia ombra sfumava sui corpi alienati dai miei errori.

Quando combattevo mi sentivo forte e immortale, poi in un momento si cade e niente è più come prima. Non sento più niente se non il rumore della mia mente devastata e ferita. Voglio piangere, urlare e scappare via dalla pesante realtà che grava sulle mie spalle, e penso a ciò che ho perso, a ciò che mi aspetta adesso, a ciò che potevo evitare. Non potevo rifiutarmi di uccidere, lo dovevo fare e basta.

La morte ha sempre un prezzo come la vita e sono consapevole che ho solo una vita e che la morte ci segue. Anche io ho problemi da affrontare, sofferenze da combattere e ricordi da lasciare sotterrati. È una continua battaglia. Stando qui sotto terra ho capito che la vita è breve, è un soffio e ciò che perdo non tornerà mai indietro… Mentre le lacrime percorrono senza fine con quella poca forza che mi rimane cerco di farmi breccia fra la terra e i corpi che mi opprimono. Spingo la mia mano, il mio braccio, tutto il mio corpo oltre tutto ciò finché non sento una brezza di vento accarezzarmi il palmo della mano. Sono riuscito a tirare fuori una parte del mio corpo, ma il buio torna e non riesco più a tenere gli occhi aperti.

La luce si spegne, il freddo che mi avvolge è una sorpresa imprevedibile e agghiacciante. Sono ferma come una statua in un angolo della mia casa. Ovunque giro lo sguardo si aprono baratri e precipizi infiniti. Non posso muovermi, le gambe paralizzate come nel peggiore degli incubi. Rabbrividisco dentro le crepe dei muri. Questi sono gli spazi vuoti di una vita povera. Tutto ciò che ho di importante è il mio vestito giallo, giallo come il narciso, nato in circostanze di pace e trapiantato nel cemento, obbligato a sfiorirsi. Dagli inizi della sua vita è arrivato a una condizione miserabile, strappato dagli affanni di una vita dura.

Sto piangendo dal freddo e l’unico pensiero che mi sfiora è quello di scappare. Sto correndo per i campi di grano alla ricerca di qualcosa da mangiare. Le spighe mi graffiano. Odio questo posto, ma sono obbligata a viverci. Se un Dio esiste mi ha dimenticata.

Sto correndo ormai da troppo tempo e i miei piedi nudi iniziano a sanguinare. I sassi, e le spine mi riaprono le ferite cicatrizzate, ma la fame è troppa e continuo ad andare avanti. Senza guardare dove stavo andando, improvvisamente mi ritrovo a terra con un corpo al mio fianco. Urlo, la mia voce risuona nel silenzio straziante. Pochi passi più avanti trovo un campo illuminato dal sole ma immerso nell’oscurità. Davanti a me un mare fatto di terra, dominata da corpi e sangue che coprono tutto il campo di battaglia.

Ho paura a scendere ma il riflesso di una luce mi imprigiona lo sguardo di curiosità. Scendo lungo la collina e mi sento gli occhi addosso, le anime che mi seguono come degli spettri e gli ultimi respiri che svaniscono. Sto camminando in mezzo a dei soldati, proprio quei soldati che hanno donato la loro vita per far sì che io non perdessi la mia.

Cerco di stare attenta, di non sfiorare o calpestare ogni brandello sparso. Il richiamo di quel bagliore si fa sempre più intenso e accecante ad ogni mio passo verso di esso. Mi sembra di sentire le voci di questa battaglia, i sussurri di aiuto ma so che è solo la mia immaginazione… Mi sento così vulnerabile, così debole e spaventata e mi guardo intorno… Tutto questo è un’ ingiustizia.

Davanti ai miei piedi nudi trovo un elmetto. Mi abbasso a prenderlo per mettermelo in testa, così da sentirmi più al sicuro e protetta dai probabili mostri che possono essere ancora in giro. La luce che mi ha portato fino a questo oggetto è scomparsa, quasi come se il destino me l’avesse mostrata per portarmi al centro di questo campo fantasma.

Il mio respiro si fa sempre più pesante, i miei occhi scappano alla vista di questo massacro, il cuore batte senza controllo e poi… poi eccolo. Non è più un corpo, non è più un essere umano ma solo un ammasso di cenere bruciata.

Cammino su questo terreno colorandomi, ormai ovunque, di sangue. Vedo una mano che si muove ma secondo me è solo un brutto scherzo della mia mente… ed eccola che si muove di nuovo! Sono pietrificata, non so cosa fare e mi sento sopraffatta dalla paura. Il mio corpo sta iniziando a tremare mentre lentamente mi incammino inconsciamente verso quella mano, che mi sta cercando.

Mi fermo davanti a quella mano che sta cercando una via d’uscita, e allungo la mia per stringerla. La mano dell’uomo è talmente più grande della mia che mi perdo nella sua stretta. Tutto ciò mi spaventa, ma questa mi fa sentire più al sicuro facendo svanire la paura che mi schiacciava. Mi inginocchio sulla terra nonostante il dolore che mi stanno provocando i sassi. Allungo le mie mani sul terreno e inizio a scavare. La terra e il sangue si rifugiano sotto le mie unghie, fino a che sento urli di disperazione provenire da quella mano. Compare dalla terra un volto insanguinato, sporco di fuliggine e quasi inanimato che subito si protrae verso di me aggrappandosi con forza mentre io mi asciugo dal sudore spalmandomi in viso la cenere che nell’aria si è attaccata alla mia pelle.

Il volto dell’uomo inizia a rinascere dal terreno mentre continuo a togliere i tumuli di terra dal suo corpo dilaniato dal dolore. Improvvisamente l’uomo alza il viso sporco al cielo e, con gli occhi chiusi, urla, spezzando la linea di confine tra la vita e la morte.

Come una fenice rinasco dalle ceneri di uomini che mi hanno donato la loro anima. Cerco di aprire gli occhi ma la luce mi provoca bruciore. Penso che tutto ciò sia un incubo ad occhi aperti… mentre invece è tutto reale. Davanti a me c’è una bambina piccola con indosso un vestito giallo. È un angelo splendente di luce propria che mi ha salvato, non credevo potessi sopravvivere e invece ora lo so. Sono salvo.

Lei è lì ancora in ginocchio, con il viso sporco di sangue della mia battaglia, che mi guarda con i suoi occhi grandi e tristi mentre la luce la avvolge come una coperta. Si porge verso di me e mi dà una lieve carezza, togliendomi quella poca terra rimastami sul volto.

C’è stato un momento in cui ho pensato “Non ce la faccio. Io sto per morire”. Poi ho chiuso gli occhi e ho creduto in me stesso. Ho resistito e ce l’ho fatta, sono vivo, non ho superato la paura, ma ce l’ho fatta.

Sono seduto a terra ancora senza forze, stordito, paralizzato e con la paura di non essere veramente in salvo, mentre il dolore inizia ad appropriarsi del mio corpo. Sulla testa lei ha un elmetto… era il suo… era quello di Ryan. Per quanto mi affanno per evitare il ricordo di quella scena, l’incubo si evolve rapidamente nella mia mente, mentre le lacrime cadono frantumandosi sulla terra facendomi perdere nella sofferenza.

Era la bambina che mi aveva salvato. Le sue grida risuonavano nell’oscurità del terreno, la voce cosi lieve che pensavo fosse quasi surreale. Muovevo la mano che ero riuscito a tirare fuori, e la chiamai con tutta la forza e il coraggio che avevo dentro, perché era proprio la speranza a rendermi ancora vivo. Tutto ciò finché non sentì una mano stringere la mia e la terra scivolarmi intorno rendendomi poi libero.

Il sangue mi scorre nel mio corpo spezzato dalla fredda battaglia. Il fuoco dentro di me divampa di malinconia. Rimangono chiari solo i ricordi del passato, rimembrati da questa luce, una luce diversa che filtra dentro i corpi morti dei soldati, annullando il buio. “Come stai?” esclama la bambina dal vestito giallo. “sì sto bene e provo una felicità incomprensibile e profonda che non so descrivere”.

Guardo la bambina che si mette seduta al mio fianco appoggiando la sua piccola testa sulla mia spalla a guardare un mondo ormai perso nella paura. “Sembra strano, ma ho paura della felicità, mi spaventa. Perciò anche se assaporo un briciolo di gioia, rabbrividisco dentro” le dico. Lei alza la testa e mi guarda spostandosi i capelli dal viso. “Tutto il dolore, tutti i sacrifici, hanno prodotto solo del bene, ed è questo che conta. È questo che devi pensare. Adesso e per sempre. Devi solo convincertene di nuovo. Ora alzati forza. Va! La tua famiglia ti aspetta”.

Così la bambina si alza in piedi mettendosi davanti a me. Allunga il braccio dandomi la mano e aiutandomi ad alzarmi con fatica e dolore. Shock, negazione, accettazione, rabbia, risentimento, paura, remissione… la guerra mi ha segnato a vita ma posso ancora afferrare la vita e vivere.

Cammino tra i corpi mutilati dei miei compagni, lasciandomi indietro le ferite della mia anima, ma so che non posso eliminare il passato. I momenti vissuti rimarranno sepolti per sempre là, e la mia memoria li conserverà in eterno. Guardo quella bambina con il suo abito giallo che si muove col vento, mentre mi stringe la mano camminando assieme a me verso la libertà e mentre il sole si fa più alto nel cielo.

Mi chiamo Simon Newille, e sono un sopravvissuto di Vannette. Un tempo mi sentivo umano mentre ora sono solo uno dei tanti sopravvissuti della guerra.