Racconto di Gabriella Romolini

(Terza pubblicazione)

 

Caro babbo Ultimo,

mentre ti scrivo, sento ancora la tua voce, ogni tanto capitava infatti che mi telefonavi al lavoro, di sicuro lo facevi da una cabina telefonica, noi all’epoca non avevamo il telefono in casa e non c’erano ancora i cellulari; ma il tuo esordio era sempre lo stesso: “Gabri sono i’ tu babbo”.

Voglio partire da questo ricordo sonoro così dolce ed anche così lontano per far riaffiorare in me i ricordi di una vita insieme.

Per carattere, o per chissà quale remota ragione, tendo a dimenticare chi non c’è più, forse per staccarmi dai ricordi legati alla malattia ed alla morte, e questo è successo ancora di più con te, la persona che ho amato ed amo di più.

Con questa lettera voglio far riaffiorare in me, ricordi, pensieri, sensazioni, emozioni, silenzi, profumi, consapevolezze e tutto quello che anche solo per un attimo mi riporti a te; chissà se quando il tuo angelo ti porterà la mia missiva, aprendola con un misto di apprensione e di gioia, anche per te riaffioreranno i ricordi e se ne sarai felice? Sì, ti vedo ti fa piacere! Il tuo sorriso arguto e sornione mi dice già tutto, senza che tu proferisca parola.

Caro babbo, con senso di colpa e un po’ di rammarico pensavo di avere pochissimi ricordi di te, ma ecco che la magia della scrittura ne  sta facendo riaffiorare talmente tanti, da non sapere come fare per fermarli  prima che scompaiano di nuovo; vanno e vengono nella mia testa  in un’altalena di suoni, di profumi, di colori, sono ricordi struggenti, emozionati ed ancora troppo increduli per essere veri, eppure sono tornati, e ancor prima che fuggano di nuovo nell’angolo più  remoto del mio cuore,  voglio fissarli su questo foglio bianco.

Ricordi, avevi un’ampia cicatrice sopra il sopracciglio destro, quasi vicino alla tempia; a tutti quelli che ti chiedevano come te la eri procurata, rispondevi con semplici e scarne parole, probabilmente le stesse che quel bambino di appena tre anni, aveva usato quando la sua mamma lo ha ritrovato a pochi passi da casa pieno di sangue e di escoriazioni.

E tu davvero con lo stesso candore di un bimbo e sulla scia dei tuoi ricordi ci dicevi: “ero molto piccolo, mi sono incamminato per un sentiero vicino alla chiesa e sono scivolato in un dirupo, ero pieno di sangue, ma la Madonnina mi ha preso in braccio e mi ha riportato su!”

Tutti noi di famiglia, abbiamo accolto quel racconto quasi come la cosa più normale che possa succedere ad un bimbo piccolo, le tue parole sono state sempre così lineari e scevre da una qualsiasi altra descrizione, così sincere e vivide, da non aver mai sentito il desiderio di chiederti altro. Solo adesso che questo ricordo riaffiora alla mente mi appare, per la prima volta così intenso e pieno di mistero, tanto da far assumere alla tua figura, qualcosa di sacro e di straordinario.

Da buon contadino toscano però, quando la fatica dei campi diveniva insostenibile, dalla tua bella bocca uscivano una fila di imprecazioni, che adesso risuonano, nel mio ricordo, come un indistinto e disperato grido di aiuto. Mi viene infatti di pensarti come un bambino che sfoga con la propria madre tutta la sua ira; ma lei la tua adorata Madonnina, ha sicuramente perdonato quel piccolo bambino che ha raccolto e preso in braccio, tanti anni fa in fondo al dirupo, per riportarlo dalla sua mamma naturale.

Ricordi poi quando ospitavamo a casa il signor Carlo? Io lo ricordo come una persona fragile, ma estremamente intelligente. Nelle sere d’inverno, seduti accanto al fuoco ci raccontava aneddoti di una vita così diversa dalla nostra, ma ai miei occhi di bambina quei racconti così avventurosi apparivano oltremodo affascinanti. Mi ricordo che ci diceva di aver trascorso buona parte della sua esistenza in una casa di cura per malattie mentali, e che non aveva alle spalle una famiglia, né una dimora stabile.

In estate il signor Carlo preferiva dormire nella capanna del fieno, nel periodo invernale in una branda vicino al fuoco. Ogni volta che gli capitava di passare dalle nostre parti, ci veniva a trovare e rimaneva con noi diversi giorni, questo era motivo anche di qualche discussione con la mamma che non condivideva la tua grande generosità, verso una persona che conoscevamo appena. Le sue visite si sono succedute per diversi anni, ma da un certo periodo in poi non lo abbiamo più visto, né ricevuto sue notizie.

I ricordi sono tanti, belli e variegati, ma prima di ogni altra cosa però babbo caro devo farti delle scuse.

Ti ricorderai sicuramente il giorno che è nata Giulia, la mia primogenita, era il 30 novembre del 1980; esattamente 101 anni dopo, stesso mese e stesso giorno della nascita della tua mamma, per tutti la cara nonna Lilla. Ti ho visto arrivare alla Maternità del Sant’Antonino di Fiesole, con gli abiti ancora imbrattati di calce, sul viso un sorriso smagliante e gli occhi raggianti di gioia; io però ti ho sgridato subito per il tuo abbigliamento dicendoti: “babbo perché sei venuto con gli abiti da lavoro!” Ma tu eri così ansioso di conoscere la tua nipotina che certo non avevi voluto sprecare un momento di più per cambiarti.

Mi sono subito pentita per quanto ti avevo detto, ma ormai la luce dei tuoi occhi non era più la stessa lasciando intravedere un moto di tristezza e una stanchezza improvvisa dello sguardo.

Avevo sbagliato profondamente nel rivolgerti quelle parole così superficiali ed ingiuste, ma non sapevo davvero come rimediare.

Ho pensato spesso a quell’episodio e non sono mai riuscita a chiederti scusa, lo faccio ora, fuori tempo massimo potrai obiettare tu ma come dice un vecchio proverbio “meglio tardi che mai”!

Scusami ancora babbo caro.

Ma veniamo alle News: di sicuro saprai tutto del Covid, io preferisco non aggiungere altro, se ne parla già così tanto sulla terra! Ti è arrivata la notizia che insieme alla mamma, per ingannare il tempo abbiamo scritto un libro dal titolo “Sotto la neve pane – Una lunga chiacchierata”? Mi sa di no, il mio Ufficio Stampa lascia parecchio a desiderare!

Non importa te lo racconto io: abbiamo rispolverato i nostri ricordi, la mamma mi ha raccontato di te, del matrimonio, del vostro viaggio di nozze, io le ho raccontato del mio, abbiamo rivissuto insieme i colori della vendemmia, il giorno della mia prima comunione e insieme ci siamo commosse e riso di cuore.

Non posso però raccontarti troppo di questa magnifica avventura toglierei il gusto della sorpresa a qualcuno che ancora voglia leggerlo il nostro libro!

Senti, ne approfitto, potresti parlarne con qualcuno più in alto lassù? So che questo contravviene a tutti i tuoi principi morali e filosofici, ma per una volta fai uno strappo alla regola! Il fine è davvero benevolo…lo so è più forte di te, non vuoi farlo vero? E va bene rispetto il tuo pensiero, però il link di Amazon te lo invio lo stesso: https://amzon.it e comunque vada…sarà un successo!

Caro babbo, il mio successo maggiore è che scrivendo, ancora incredula di felicità, ho scoperto che i miei ricordi con te ci sono ancora tutti, parte nelle pieghe della mia anima, altri nell’angolino più buio del mio cuore, i più nella mia memoria, e sarà stupendo, prendere carta e penna per ridargli d’incanto calore e nuova vita.

Di te, a parte poche fotografie, ho tenuto solo un vecchio giubbotto di velluto color marron glacé, è appeso nell’armadio accanto ai miei vestiti; ma  non appena avrò finito di scriverti, lo tirerò giù dall’armadio, lo  indosserò per un po’ e accarezzando il tessuto morbido, solo un  po’ liso ai polsi, ricorderò i giorni vissuti insieme, senza nostalgia né rimpianto, ma  con la sola consapevolezza di essere erede di un amore incondizionato testimoniato da un esempio concreto di  fede, di onestà e di rispetto per gli altri. Ogni giorno ci hai regalato con azioni concrete, le stesse che mi hanno guidata ed aiutata ad essere la persona che in questo momento ti scrive.

Ciao babbo ti scriverò di nuovo presto.

Tua Gabri.

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