Racconto di Elisabetta Bordieri

(Sesta pubblicazione)

 

 

Scrivevo il nome delle vittime sempre con la mano sinistra. La mano del diavolo. La mano del cuore. La stessa cosa. 

 

– Ciao, bella.

– Ciao, sei in ritardo, al solito.

– Dieci minuti nemmeno. Non è ritardo. È consuetudine.

– Basterebbe chiedere scusa.

– Dio quanto la fai lunga! Sono dieci minuti. Che disagio ti avrà mai comportato aspettarmi? Sei seduta qui al bar, al tepore di un sole pomeridiano primaverile, con un drink tra le mani. Rilassati.

– In dieci minuti si possono fare tante cose.

– Per esempio?

– Per esempio uccidere.

– Uccidere?

– È più facile di quanto possa sembrare.

– Eh? Ma che dici? E poi che c’entra ora questo discorso? Piuttosto, ordino qualcosa da bere anch’io. Dimmi perché tutta questa urgenza di vedermi.

– Mi hai detto ‘ci sentiamo domani’ e sei sparito.

– Quando te lo avrei detto?

– Tre giorni fa.

– Ma è un modo di dire! ‘Domani’ significa ‘un giorno di questi’. Era questo il motivo della tua preoccupazione? Mi scusi mi porta un Negroni, senza Campari? Grazie sì, con ghiaccio.

– È che siamo fidanzati e io non mi sento amata.

– No, ti prego. Se queste sono le premesse me ne vado.

– Ecco.

– Eh no, ‘ecco’ lo dico io! Ma poi che modi sono di parlare. Ci conosciamo da due, tre o forse quattro mesi, ci vediamo ogni tanto, stiamo bene insieme, qualche cena, qualche sana scopata e finisce lì. Che c’entra ora ‘non mi sento amata’ o essere ‘fidanzati’. Non lo so cosa siamo. E nemmeno me ne frega niente. La conosci poi la mia situazione, no? Ho una storia seria con una tipa. Non te l’ho mai nascosta. Scusa un secondo, il telefono, è lei. Sì, amore, sono in giro per commissioni, tu? Che bello, d’accordo, vai vai, ti penso tanto, grazie anche di questi pochi attimi che riesci a trovare, a dopo, ti amo. Scusa eccomi. E dai non ti mettere a piangere ora.

– Le lacrime sono stille di pienezza. E non sto piangendo, mi sto solo nutrendo. Comunque ci frequentiamo da ottobre. Sei mesi. Se vuoi ti dico anche il giorno esatto.

– Non ti capisco quando parli strana. Non sembravi così all’inizio. Ascolta ho deciso, stasera vieni su da me che sono solo, ordiniamo una pizza e ci scoliamo qualche birra in più e vedrai che tutti questi brutti pensieri passano via. Ok? Cos’è quel cenno? Un sì? Così mi piaci, determinata. Dai, andiamo.

– Chiedi il conto.

– Sì, va bene. Scusi quant’è? Ok, tenga pure il resto. Vieni, ho parcheggiato qui dietro, tu sarai a piedi immagino come sempre. Che mal di testa maledizione, secondo me, quello il Campari ce l’ha messo.

 

Che poi vittime non direi proprio. Erano solo persone egoiste, aride, superficiali. No, non erano vittime.

 

– Vieni, entra, scusa il disordine ma la donna è in ferie e quando lei non c’è, io mi sento perso.

– Quale donna?

– Intanto telefono alla pizzeria.

– Quale donna.

– Come quale donna, quella delle pulizie. Fantastica peraltro.

– Certo. Quella delle pulizie. Una più una meno.

– Oh, ma che ti metti a fare la gelosa adesso? Piuttosto, che ti ordino?

– Una margherita per me. Con salamino piccante.

– Una diavola quindi, buona sì, la prendo anch’io.

– No, tu no. La diavola sono io, è solo per me.

– Come ‘tu no’. Oh, ma che hai oggi? Pronto, buona sera, due pizze alla diavola, tra un’ora se ce la fa. Perfetto, con consegna a domicilio, grazie. Aggiunga qualche fritto per antipasto, faccia lei. Sono io sì, solito indirizzo. Siediti dai, prendo due birre in frigo. Senti ma… se prima della cena ci sdraiassimo sul divano per qualche preliminare? L’attesa del sesso apre lo stomaco e magari mi passa pure questa maledetta cefalea.

 

Una vittima è un essere che viene consacrato a una divinità. Non eseguivo delitti. Semplicemente immolavo. A me stessa.

 

– Credo che prima dovremmo dare una connotazione al nostro rapporto, stabilire che cos’è. Quindi dimmi di lei. Me lo devi.

– E che cazzo, no guarda, io non ti devo proprio un bel niente. Io non so cosa tu ti sia messa in testa ma a dirla tutta e a voler essere precisi si dà il caso che sia lei a essere la mia fidanzata.

– Amante, non fidanzata, e pure sposata per giunta.

– Quello che è. E comunque di certo tu non sei niente di tutto questo.

– Vorrei solo sapere qualcosa di più. Andrete a vivere insieme?

– Ma che domande fai? Non credo. È solo che è complicato. I pensieri sono tanti. Non possiamo stare insieme tutte le volte che vogliamo: il lavoro e poi il marito e poi i figli. Un casino.

– Immagino le paure, le ansie, le aspettative, l’assenza da gestire.

– Sì, una cosa del genere.

– Capisco. Vivere quei momenti in cui vorresti stare in compagnia di qualcuno e la vita non te lo permette, è sempre difficile. Ma sai, le persone mica le puoi ingabbiare, puoi amarle fino a quando decidono di amarti. Quando smettono, vuol dire che decidono di andare a stare meglio.

– Sì ma che c’entra, lei non vuole lasciarmi e poi tu non sei mica la mia confidente.

– Sei ancora in tempo.

– In tempo a fare che?

– A tornare sui tuoi passi.

 

Davo sempre un’ultima possibilità.

 

– E perché mai dovrei scusa? Oh, suonano alla porta, cibarie in arrivo. Mi sa che il citofono non funziona. Ma è presto, non avevo detto dopo un’ora? Meglio così, ho proprio fame. Rimandiamo a dopo il resto. Apro e torno, tu intanto stappa le bottiglie. Buona sera a lei, no si sbaglia, questo pacco non è per me, e poi che consegnate pure a quest’ora? Ho detto che non è per me, può andare. Oh, ma hai capito? Che ti guardi intorno? Te ne devi andare! Ma dimmi tu la gente! Prende e suona a casa degli altri. Magari era un ladro, anche se mi sembrava guardasse proprio te e che tu guardassi lui. Ma che lo conoscevi quel cretino?

 

E poi far uccidere su commissione crea meno preoccupazioni. Basta uno sguardo furtivo alla persona incaricata e tu ne sei fuori.

 

– Può darsi che gli piacessi.

– Sì, fai pure la simpatica ora. Scusa, di nuovo il telefono. Ciao amore. Ma figurati, sono rientrato a casa. Ma no, solo una pizza e da solo. Domani ci vediamo? Ma non puoi nemmeno un’oretta? Lo capisco, certo, è che a volte vorrei… Lo sai, tutti questi segreti mi sfiancano… Ti posso chiamare più tardi? Sì, ok scusa, aspetto che mi chiami tu come sempre. D’accordo, vai prima che ti scopra. Un bacio. Ti amo anch’io. Eccomi, scusa era lei.

– Era di nuovo lei. È  sempre lei.

– E sarà sempre lei. Il citofono, la pizza finalmente!

 

Attimi di sosta, di finta serenità, funzionali per la ripresa.

 

Buonissima, me ne sarei fatte fuori almeno due.

– Farti fuori?

– La pizza, dico. Ne avrei mangiata ancora, intendo.

– Ah la pizza, sì. Fare fuori spesso è utile e risolutivo.

– Mamma mia, ma chi ti capisce? Andiamo di là, che ne dici di divertirci un po’ ora?

– Il tuo mal di testa?

– Passato tutto.

– Mi fai fermare a dormire qui allora dopo?

– Ma domani devo alzarmi presto e anche tu, meglio che ti riaccompagni.

– È così bello stare insieme la notte per attraversare la vita.

– Uh, che paroloni, senti mi faccio prima una doccia veloce. Io non faccio l’amore se non mi doccio, è liberatorio, sento che cede tutto, muscoli, scheletro, tendini, pensieri. Acqua bollente e poi capitolare sul letto carico di energia. Dieci minuti e torno. Tu sdraiati nel frattempo.

– Dieci minuti. Di ritardo. Di attesa.

– Eh?

– Niente, vai pure, ti aspetto.

 

Il taccuino serviva solo a ricordare. Un elenco di nomi scritti. Archiviati. Tranne l’ultimo. Quello in lavorazione. Nella speranza, ogni volta, che restasse tale. 

 

Eccomi tutto per te, fresco e profumato.

– Senti…

– No, non sento, stacca il cervello per una volta e lasciati andare.

– Io…

– Ma cosa tieni in mano?  Cos’è questo? Un quaderno, un diario? Cosa scrivi? Fammi vedere. Ma sei mancina, non me ne ero mai accorto.

– Sì mancina e questo è solo uno schedario, roba di lavoro, appuntamenti vari.

– Sono solo nomi di persone e di luoghi. È una specie di agenda, direi. Usi ancora carta e penna? Come sei antica! Ma creati una lista sul cellulare, no? Vediamo se hai inserito pure me. Sì, eccomi sono l’ultimo.

– Sì. L’ultimo. Spero.

– La croce sopra ogni nome precedente cosa indica?

– Che l’incontro si è risolto.

– Ma ce n’è una anche accanto e non sopra al mio nome, e l’incontro non si è ancora risolto.

Infatti, sta per. Tra poco la cancello e la sposto sopra.

– Come ‘sta per’?

Sta per risolversi, tra poco mi riaccompagni a casa, no?

– Sì, sì ma prima, molla il diario dei misteri e vieni qui che ti faccio vedere le stelle e tutto il firmamento.

 

Era il senso di inadeguatezza che mi portava a porre le croci sopra i nomi. Non sarebbe stato l’ultimo nemmeno lui. Anche il suo nome andava cancellato. Le faglie dell’anima non si acquietano mai.

 

Spogliati, bella.

Non mi chiami mai per nome.

– Ma che ti importa di come ti chiamo o di come mi chiami.

– Comunque preferisco andare.

– Come? Ora? Prima di…

– Sì, prima di. Non si può anche se mi piacerebbe.

– Che palle.

– No! Che palle tu! Ma non ti vedi e non ti senti?

– Ehi ehi che fai, ti scaldi?

– Ma guardati, stai con una che usa e abusa di te e nemmeno te ne accorgi, una che non lotta per te e che si guarda bene dall’intaccare anche solo di un millimetro la sua vita. Sei dentro un rapporto tossico fatto di dipendenza assoluta che spacci per storia d’amore. Lei ti chiama e tu accorri. Devi vivere nascosto e di nascosto. Hai infilato la tua dignità sotto i piedi fottendotene degli altri che hanno il loro minimo spazio solo quando lei te lo concede. Non provi nemmeno un briciolo di disagio e di vergogna.  Dipendi da lei, in tutto e per tutto. Ti ha contaminato l’anima rilasciando poco alla volta un veleno invisibile.  Io e te esistiamo solo quando smette di esistere lei per quelle poche ore. E tu, tu non esisti più.

– Oh, ma che cazzo vuoi?

– Giri intorno alla vita senza fermarti, ma non senti che la Terra grida? Le sue urla fanno paura ma tu sei sordo. Però ricordati che niente sedimenta. Nemmeno la memoria. E io non dimentico.

– Senti maestrina, mi avresti anche rotto tu e le tue belle paroline messe in fila. Io non dipendo da nessuno, tanto meno da lei visto che, come vedi, sono qui con te e non a piagnucolare la sua assenza. Anzi no, guarda, è vero dipendo da lei, non ne posso fare a meno e mi sta bene così!

– Drogato, sei come un drogato. Hai il cervello alterato e spappolato da una sostanza che tu chiami ‘la tua donna’. Te la sei iniettata, fumata, inalata, ingerita, sciolta e assorbita. Tutte le droghe hanno un effetto temporaneo tranne questa che hai il coraggio di chiamare amore, che ti devasterà quando resterai solo, quando ti lascerà. Perché lei ti lascerà. E tu morirai.

– Vaffanculo.

– Me ne vado.

– Sì, meglio che te ne vai. Ti riaccompagno. No, ci ho ripensato, ti prenoto un taxi.

– Bene. Chiama subito.

– Non chiamo. Ho detto ‘prenoto’. Con l’app. Ammesso che tu sappia cosa sia.

– Fa’ come ti pare. Basta che ti sbrighi.

– Ci metto un secondo.

– Un secondo è già passato.

– Fatto. Dieci minuti e arriva.

– Dieci minuti, sempre dieci minuti. Incontro risolto.

– Decisamente risolto. Dammi quella minchia di diario che la croce ce la faccio io. Sopra, sotto, accanto, di lato e dappertutto!

 

E allora scendevo le scale del mio cuore lacerato per l’ennesima volta e me ne andavo via dando le spalle all’ultima vittima.  

 

Lo squillo del suo telefono arrivò puntuale, come avevo programmato con il mio sicario e io sentii distintamente le sue domande serrate, il suo sconcerto, i suoi ma chi parla, come fa a saperlo, ma com’è successo, un incidente, che tipo di incidente, sicuro che si tratti proprio di lei, ma perché chiama proprio me, ah no io la conosco appena, grazie lo stesso per avermi avvisato, no no non conosco il marito e poi le sue grida di disperazione nel rimbombo del vuoto di quattro miserabili mura.

 

Povere donne. Povere amanti. Sposate o single che fossero. Peccato dovessero pagare sempre loro per le ferite inferte a me dai loro innamorati. La mia missione era cercare di redimerli. A volte ci riuscivo e allora il mio obbligo finiva lì e sparivo dalle loro vite, ma spesso la cura degli squarci solitari dei tormenti passava attraverso percorsi impervi e scoscesi ma sopratutto alternativi.

 

Il viaggio verso casa in taxi mi esonerò da un posticcio mi dispiace tanto, ti sono vicina, coraggio. Alla fine sarebbe sopravvissuto anche lui a un dolore fittizio, contingente, necessario. Non era compito mio cicatrizzare la sua ferita. Presi il diario, apposi la croce sopra il suo nome e lo rinfilai nella borsa. Grazie giri pure qui a sinistra e accosti. Come dice? Gentile da parte sua, i complimenti fanno solo piacere. Sì, sono mancina. No, io non sono sposata. Lei sì? Allora auguri, il matrimonio non fa per me. Ma no, un caffè ora davvero no, la ringrazio. Non è questione di non fidarsi, si figuri, è che preferisco non accettare comunque. Il suo telefono sta squillando. Ma certo, prego, prego risponda pure. Telefonata brevissima, sua moglie? Ah, mi scusi, da come le parlava mi sembrava. Eh sì capisco un’avventura, cioè non capisco, ma non si deve giustificare con me, ci mancherebbe.

 

Risoluta ripresi il taccuino.

 

Senta… senti, a ripensarci però a quest’ora sarebbe meglio un drink. C’è un bar carino proprio qui dietro. Ma certo finisci pure il turno, io intanto mi avvio e ti aspetto dentro. Dieci minuti? Perfetto. In dieci minuti si possono fare tante cose. Dirtene una ora no, meglio dopo. Direi di presentarci. Come ti chiami? 

 

E scrissi sul foglio ancora un nome.